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Forse io ho detto ciò che mi hanno detto e tutto il resto
non è mi è stato ancora detto

sabato 22 agosto 2015

di Pierfranco Bruni



Noé non racconta leggende. È una preghiera.
Il canto è un suono che giunge con il vento che porta foglie di sabbia.
Le parole volano.
Le storie sono ricordi.
Il silenzio è contemplazione.
La donna con il velo sul viso restava inginocchiata e aveva negli occhi il monte Ararat.
E recitava:

“Ogni leggenda è una preghiera
e nella preghiera si vive l’evocazione”.



La donna con il velo sul viso aveva attraversato i deserti e aveva navigato i mari per ritrovare il suo castello perso nelle nebbie.
In quel castello era custodita la memoria.
Aveva la nostalgia nell’anima e nel cuore il rimpianto.
Sapeva però che il viaggio, il suo viaggio, non aveva senso se sulle porte restava scritto il vissuto e tra le sette vie il respiro della nostalgia.
L’eco scavava nel tempo.
La donna con il velo sul viso pregava il Dio Illuminante:

“Fai che ritorni,
il mio signore è il padrone della memoria
e nulla io posso
senza la sua presenza.
Io di memoria sono fatta
e di memoria è il mio cammino
lungo le strade che portano all’orizzonte”.

Il suo signore era il Principe del castello e nei giorni della tragedia, quando i cavalli infuriavano, le lame tagliavano le gole e le acque erano diventate rosse, il castello venne raso al suolo e tutto divenne polvere e restò polvere.
Soltanto la donna con il velo sul viso si salvò.
Si salvò ma impazzì.
Le fiamme toccavano le nuvole.

Il fuoco non impallidì in quelle notti.
La morte si inventò i fantasmi.
Tutto finì.
Finì per essere ricordato anche se la memoria venne rasa al suolo.
Forse si racconta tutto ciò.
O forse no.
C’era una volta un popolo che visse di preghiera e il Cristo in Croce restò inchiodato ad assistere allo scorrere del fiume di sangue, che si intrecciava nelle città nate e custodite come giardino, ma diventate campi di sangue.
La donna con il velo sul viso non ritrovò più la memoria nel castello di polvere.
Il vento dell’alba spinse la polvere sull’altura del monte Ararat e tutto penetrò la terra.

Ancora oggi, nei giorni di freddo, quando la pioggia resta chiusa nelle nuvole, si sente l’odore della polvere e si ascolta la preghiera della donna.
Tutto si intreccia nella storia e nella leggenda.
Noé custodisce la sua Arca tra le radici del Monte e l’infaticabile viaggio che trova sempre il suo porto.

La voce della donna si ode nel pianto:

“Ararat ti affido quello che ho perso
perché ciò che si perde
non per sempre si perde
e dietro questo mio velo
non ci sono soltanto gli occhi e lo sguardo.
Ci sono i ricordi. Ci sono le nostalgie.
Ma di ricordi e di nostalgie la vita è colma
e non si vive di tutto ciò.
Quello che resta è soltanto una foglia di sabbia.
Se io ho amato il mio signore è cosa vana
e se l’ho perso non è per mia volontà,
ma per sciagura.
Anch’io diventerò polvere
e abiterò il cielo
dove la cima dell’Ararat incontra il silenzio”.



Così si racconta.
O forse sono parole rubate alla preghiera.
Chi mai potrà saperlo…
Ogni strada ha il suo infinito.
Ogni infinito ha il suo limite.
Ogni confine non conosce la sua sorte.
Il castello della memoria aveva ceduto alla notte di fuoco.
C’era una volta una castello nel quale la memoria non aveva silenzio.
Forse c’era una volta la memoria che il castello aveva raccolto nel silenzio…

Forse io ho detto ciò che mi hanno detto
e tutto il resto non è mi è stato ancora detto.
Anche questa volta caddero tre arance.
La prima è della donna con il velo sul viso.
La seconda è di chi ha compreso che la memoria è polvere.
La terza è di chi è ha capito che la memoria è silenzio.






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