A completamento del comunicato
di Fulvia Gravame (rappresentante nodo PeaceLink Taranto) per l'incontro di
domani presso la sede dell’istituto Enrico Fermi (Corso Italia 306 Taranto)
dalle 8.30 alle 10.30 dedicato a ricordare il giovane Alessandro Rebuzzi, che è
deceduto nel 2012, vi invio un ricordo di Alessandro.
17 febbraio 2012, sulla ringhiera
A febbraio del 2012 Alessandro si era arrampicato su una ringhiera davanti
alla Procura di Taranto. Ritmava lo slogan: “Noi-vo-glia-mo-a-ria-puli-taâ€.
Alessandro era lì a manifestare a sostegno dei magistrati con tanti ragazzi.
Una folla aveva pacificamente accerchiato il tribunale perché cominciava il
procedimento penale sull’inquinamento dell‘Ilva di Taranto.
Il suo non era solo uno slogan. Alessandro era affetto da fibrosi cistica,
una malattia polmonare. Le persone affette da questa patologia di tipo
infiammatorio sono predisposte a sviluppare, in seguito ad esposizione alle
polveri sottili, un rilevante aggravamento. Fino a soffocare.
Alessandro giocava a pallone ma poteva stare solo in porta. Attendeva il
giorno del suo trapianto polmonare. “Così potrò giocare all’attaccoâ€, diceva.
Ma all’attacco Alessandro già ci giocava nella vita. Era un trascinatore e a
scuola incitava i suoi compagni all’impegno civile, a non voltarsi
dall’altra parte e ad essere presenti con lui ovunque ci fosse un’iniziativa
cittadina per l’ambiente e per la salute.
Quella lotta era diventata la sua vita. I suoi amici lo
chiamavano “il guerrieroâ€. Alessandro si era anche scontrato con alcuni
insegnanti che non apprezzavano questo suo impegno. Lui era arrivato a
rispondere: “Voi non avete capito cosa è veramente la vitaâ€.
Alessandro dimostrava la maturità di un adulto, forse perché sentiva di
essere vicino alla fine. Aveva deciso di non sprecare il suo tempo. Diceva
che se Taranto avesse vinto la lotta contro l’inquinamento forse anche lui
l’avrebbe vinta e probabilmente non sarebbe stato urgente il trapianto dei
polmoni.
“Alessandro amava Taranto in maniera smisurata e, anche se i dottori avevano
consigliato di cambiare città , lui aveva deciso di restare per dare il suo
contributoâ€, mi spiega il papà Aurelio.
Cerco su Internet: ‘Alessandro Rebuzzi‘. E, come se aprissi uno
scrigno segreto, mi imbatto nelle parole di una ragazza: “E’ come se ancora
sentissi il suono della tua voce, della tua risata. La tua allegria
coinvolgente che illuminava il mondo e dava un senso alla mia vita. A 15 anni
cosa ti aspetti? Le delusioni d’amore, i 4 in matematica, il genitore che non
ti fa uscire il sabato. Ma la morte? No… quella no. Perché? Perché le
persone muoiono? Non ti ho mai detto ciao, non ti ho mai abbracciato come
avrei voluto, non ti ho mai detto quanto ti amassi, e quanto avrei voluto
vivere la mia vita, i miei successi, i miei fallimenti insieme a teâ€.
25
luglio 2012, l’ordinanza
Il 25 luglio del 2012 il Gip Patrizia Todisco dava l’ordine di
spegnere gli impianti inquinanti dell’Ilva dichiarando che “la gestione del
siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza
dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca
all’ambiente e alla salute delle personeâ€.
Il Gip aveva letto la dettagliata perizia epidemiologica di tre consulenti – Annibale Biggeri,
Maria Triassi e Francesco Forastiere – i quali concludevano: “L’esposizione
agli inquinanti emessi ha causato e causa nella popolazione fenomeni
degenerativi che si traducono in malattia o morteâ€.
Il Gip Patrizia Todisco in quell’ordinanza di sequestro preventivo degli
impianti dell’area a caldo, scriveva: “Non un altro bambino, non un altro
abitante di questa sfortunata città , non un altro lavoratore dell’Ilva, abbia
ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa
delle emissioni tossiche del siderurgicoâ€.
In quei giorni sembrava imminente il fermo degli impianti dell’area a caldo
dell’Ilva. E Alessandro ci sperava.
2 settembre 2012, la morte
Ma in quegli stessi giorni si stava avvicinando alle settimane del suo
calvario. Il 2 settembre i suoi polmoni avrebbero finito di respirare per
sempre.
Il papà Aurelio mi racconta la storia di suo figlio come una corsa contro il
tempo. Una storia illuminata dalla fiducia che Alessandro – figlio unico –
infondeva ai suoi genitori. “Vedrete che ce la farò, non vi preoccupateâ€. GiÃ
all’età di 12 anni aveva scritto: “Chi butta la vita non è degno di essere
ricordatoâ€. Il signor Aurelio me le mostra e si commuove.
Alessandro aveva preso contatti con ragazzi e ragazze nelle sue condizioni e
a tutti faceva coraggio.
Aurelio Rebuzzi racconta gli ultimi giorni: “Non farò il trapianto,
sto morendo, disse qualche giorno prima di lasciarciâ€. Di fronte ho un papÃ
straordinariamente comunicativo.
Mi dice che al prossimo incontro con gli studenti mi accompagnerà lui,
“perché in me vive Alessandroâ€. E aggiunge: “Alessandro sarebbe venuto
sicuramente all’incontro che farete con i ragazzi e quindi verrò io per lui.
Adesso vado da Alessandro e glielo dico. Mi sento caricoâ€. Aurelio ogni giorno
va dal figlio e gli parla. Gli racconta quello che succede, il suo dolore e le
sue speranze. “Sono andato a chiedergli scusa – racconta – per tutti i
tarantini che non hanno votato al referendum sull’Ilva. E gli ho detto: non andando
a votare ti hanno traditoâ€.
6 maggio 2013, il compleanno
Il 6 maggio 2013 è stato per i genitori il primo compleanno senza Alessandro
e il signor Aurelio lo festeggia portando un regalo ad una ragazza che non sta
bene. Come se a portarlo fosse Alessandro.
“L’unico stimolo che ho – mi racconta il signor Aurelio – è continuare il
progetto di Alessandroâ€. Mi dà una fotografia del figlio e io gli prometto
di scrivere questo articolo per il compleanno di Alessandro.
Lo ascolto commosso questo papà così fiero e determinato. Rimango in
silenzio e lui mi dice: “Qui non c’è Aurelio Rebuzzi, qui c’è Alessandro
Rebuzziâ€.
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