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Cosa sono i Mediterranei?
Tra storia letteratura etnie.

martedì 11 febbraio 2014

di Pierfranco Bruni


Pierfranco Bruni con un Baktishiva, 2007

Pierfranco Bruni, alle spalle una Moschea, 2006


 

Cosa sono i Mediterranei? Tra storia letteratura etnie. Per parlarne bisogna conoscerli, averli abitati, averli attraversati altrimenti è meglio raccontare di peperoncini appesi alle finestre

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

Quali sono le condizioni per un Mediterraneo condiviso? Il dilettantismo, in un tale argomento, occupa ormai lo scenario. Occorrono vissuti profondi per raccontare i Mediterranei. Non è possibile o pensabile discutere dei (o nei) termini culturali del Mediterraneo, pur in una sempliciotta visione letterarie, se non si raccordano nodi e snodi, gordiani o meno, che hanno radici storiche, archeologiche, linguistiche, antropologiche, economiche, finanziarie che hanno intrecciato popoli e civiltà: dalla Mesopotamia ad oggi.

Ormai discutere di Mediterraneo è diventato come disquisire sulle cipolle di Tropea o sui peperoncini calabri o tunisini. Smettiamola con il fatto che tutti possono disquisire di geo-politica in una visione mediterranea. Bisogna conoscere, ma per conoscere non bisogna aver letto un’antologia o due o tre. Bisogna aver visitato quei luoghi. Bisogna aver abitato quei contesti. Bisogna aver penetrato le coscienze di un Mediterraneo che è Siria ma anche Omero, che è la Striscia di Gaza ma anche la Cappadocia, che è letteratura albanese (sì, perché l’Albania è un mondo balcano nella storia dei processi ottomani mediterranei), che è il Regno di Napoli con Corrado Alvaro che  offre le straordinarie immagini di Istanbul e Ankara, ma anche il vento del Libano, le strade di Siviglia, la roccaforte di San Paolo a Malta.

Smettiamola di parlare di Mediterraneo per entrare nella ovvietà. Non serve un dilettantismo, dicevo, fatto di parole, perché anche in letteratura non c’è un solo Mediterraneo, come non c’è un solo Mediterraneo nella visione di Braudel, perché il rapporto tra etnie e religioni è imprescindibile da una struttura che sia letteraria o antropologica. Ci vuole attenzione e conoscenza, professionalità e saperi.

È da trent’anni che lavoriamo su questioni relative al rapporto tra etnie, letteratura e mediterraneo ed è da decenni che pubblichiamo testi con relativi bilanci su una tale questione e non smettiamo mai di approfondire, restare estasiati, rimanere rattristati in quelle realtà cangianti tra il gioco dei colori, la misura del tempo e la cifra dello spazio.

Albert Camus che ha inventata la linea meridiana era un grande conoscitore del Mediterraneo nella coscienza dello straniero e nella caduta delle rivolte. Carl Schmitt in “Terra e mare” ha disegnato l’inizio e la fine del Mediterraneo. Il Mediterraneo è fatto di voci. Ma il Mediterraneo, si comprenda bene una volta per tutte, non è il musulmano, il cristiano, il bizantino che proviene da una geografia ben definita.

Il Mediterraneo è anche il Pascoli che legge e introduce la storia del Novecento moderno in una Mediterraneo  della linea magrebina. È anche Enrico Pea che dedica le sue pagine più belle all’Egitto. È il Ludovico de Varthema che ci fa compiere quel “meraviglioso” viaggio alla Mecca.

Ma di quale Mediterraneo si vuole parlare? Ho partecipato a centinai di incontri in tutto il mondo discutendo dei Mediterranei esclusi e dei Mediterranei includenti. Ma il concetto di condivisione esula da qualsiasi interpretazione che possa avere alla base la profondità della conoscenza. L’etnia e la lingua sono un dato di fatto. Come è un dato di fatto l’intreccio tra la fuga, l’esilio e la nostalgia.

Il mondo Mediterraneo è un intreccio tra realtà araba, musulmana, islamica, cristiana. Ma anche in termini culturali non basta puntare lo sguardo su questi semplici elementi. Siamo nostalgici dei dervisci, ma per capire io dervisci abbiamo bisogno di aver capito Rumi e Kajjam in un intreccio tra Oriente ed Occidente.

Il punto nevralgico della visione di una mondo e di una identità nelle identità del Mediterraneo è la consapevolezza di essere occidentali, non in una visione terzomondista, negli Orienti che non solo sono civiltà frontaliera, ma sono ben strutturati in un processo culturale che trova la sua sintesi contemporanea in Italia, come ho avuto modo di sottolineare in una mostra su “Donne mediterranee” presentata su Rai Uno recentemente, attraverso tre processi storici: il Regno di Napoli e l’Unità d’Italia, che nasce sotto la spinta di conquista del Mediterraneo, la guerra giolittiana la cui fase, come preannunciò Pascoli nel 1911, termina con la Grande Guerra, l’occupazione dell’Africa e dell’Albania da parte del Fascismo e l’importanza che ha avuto Italo Balbo nel mediteraneizzare l’Africa.

Tutto ciò che è avvenuto dopo nasce sotto la spinta di un Occidente americano ed europeo sino alla primavera di Tunisi e alla “rivoluzione” in Libia, compresa la Guerra del Golfo, con la morte di Gheddafi.

Non si può prescindere da ciò anche in letteratura. Soprattutto per una letteratura che è metafora della fuga, del viaggio, dell’esilio, della estraneità, della religiosità portata alla tragedia con il 2001.

È dentro questa constatazione che si fonde vita, storia, letteratura tra poesia e racconto. La letteratura diventa un innesto di un linguaggio esistenziale che è linguaggio di lingue, di etnie, di tradizioni. Si tratta di un’antropologia vissuta sulla conoscenza e non sulla lettura soltanto.

Ecco perché orami, dopo una vita spesa viaggiando e lavorando con le culture dei Mediterranei, diffido sentir parlare di Mediterraneo e di raccontare il Mediterraneo soltanto attraverso la lettura di pagine di libri o dalle singole voci di testimoni che sono nate sulle sponde del Mediterraneo soltanto.

Per dare un senso ad un Mediterraneo, che non potrà mai essere capito attraverso la versione della condivisione, bisogna averlo penetrato,  bisogna aver penetrato i Mediterranei, bisogna aver frequentato i luoghi: dalle Medine ai deserti, dai Camini delle Fate alle Moschee. Essersi incontrati e scontrati con il mondo musulmano e islamico. Aver osservato le Gerusalemme e i mari che toccano i deserti di Tunisi, aver capito che la Macedonia e il Kosovo sono in un Oriente islamico e in una ambiguità cattolica sino a toccare l’ortodossia di Cipro.

I Mediterranei sono una letteratura inafferrabile e quando riusciremo a trovare il legame tra queste geografie o la definitiva discordanza tra gli Oceani e l’Adriatico e il Tirreno, che sono nell’abitazione dei Mediterranei, possiamo cominciare a muovere qualche tassello del vasto mosaico anche sul piano della consapevolezza.

Ci vuole conoscenza e frequentazione, capacità interpretativa e molto coraggio. Non basta una lettura tra fogli di libri per discutere di Mediterraneo. Altrimenti è più semplice dialogare di peperoncini appesi alle finestre come cantavano Fabrizio De André e  Mia Martini o di danze recitate da Franco Battiato, che ha abitato il Mediterraneo tunisino.

 




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