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Il relativismo, oltre la menzogna della politica
lunedì 27 gennaio 2014

di Pierfranco Bruni




 

 

 

 

 

La necessità e il bisogno, in questo nostro tempo di divagazioni, si “inceppano” davanti a un processo politico che ha come referente la menzogna del realismo, che supera l’immaginario della realtà. Se la politica ha perso la sua struttura e i suoi limiti non ci sono soltanto responsabilità immediate della politica come elemento pensante.

La politica è un esercizio tra la società e l’economia. Nonostante sia il presupposto per guidare la transizione delle società e lo sviluppo dell’economia legato a un tempo che non può essere immobile. Il problema serio è che, dopo la fantastica caduta delle ideologie, la politica è diventata una sovrastruttura nel mero mercato dei poteri.

Questo non significa che non fosse tale anche prima. Ma i due elementi caratterizzanti della politica come religione delle idee e progettualità economica trovano nel pensiero filosofico il diritto di manifestarsi attraverso le ideologie stesse.

Il vento dell’Est ha spazzato le ideologie ed è rimasto soltanto il vento che soffia sulle macerie. Gli “ismi” non sono stati abbattuti. Sono implosi. I fascismi sono implosi. Il comunismo è imploso. Altrimenti avrebbero ancora dominato la piazza.

Nonostante tutto le ideologie avevano una loro filosofia. Non si può parametrare il rapporto tra menzogna e ideologia. Probabilmente la menzogna è diventata necessità e bisogno dentro una politica senza più una filosofia.

Il dato centrale è che occorre prendere coscienza che ogni Stato o si governa con una filosofia della politica, e quindi con una ideologia del fine e del mezzo, o la stessa visione di democrazia diventa occultata con l’esercizio di strutturare il potere nei vari poteri senza una causa e una efficacia che sia ideologica.

Ma è chiaro che, venendo meno l’ideologia come filosofia della politica, è emerso il condizionamento di una economia della filosofia. Ormai non si trasmette più una idea. Piuttosto si trasmettono modelli economici dentro le società.

Un altro aspetto significativo è che oggi non viviamo nell’epoca della competizione delle idee. Si è tutto relativizzato. La filosofia vincente, se vogliamo chiamarla tale, è quella del relativismo che ha, comunque, le sue forti basi in un materialismo non dialettico e in uno storicismo pragmatico e marxista. Questo dimostra che anche se i comunismi sono crollati ciò che è rimasto in piedi è la spaccatura tra idea, ideologia e funzione politica.

Il materialismo storico, se vogliamo dirla tutta, si è trasformato in un relativismo che si agita tra la necessità e il bisogno. Ciò che avrebbe dovuto fare da argine, o dovrebbe fare da argine, è la cultura dell’umanesimo, ovvero quella cultura legata alla tradizione, ovvero quella visione della società che allontana la focalizzazione sull’individuo e favorisce la centralità della persona.

Il marxismo, trasformatosi in relativismo, ha trovato sempre una parte dialogante e accogliente nel mondo cattolico. È sorprendente come la Chiesa del progresso, incarnata oggi da papa Francesco, venga costantemente elogiata dai modelli relativisti e non venga accolta pienamente dalla cultura tradizionalista. Tutta la cultura che si identifica in quella del processo progressista ha un riferimento nella realtà cattolica di papa Francesco. Il tradizionalismo vede in Benedetto XVI ancora un faro.

Sono incisi che dovrebbero porci in ascolto di tutto ciò che accade nel momento in cui non si comprende il rapporto tra necessità e bisogno. C’è in atto una lacerazione ed è, negativamente, straordinario come la Chiesa non voglia (o non ha la forza) prendere atto di ciò.

Crollati gli “ismi” sono rimasti il dogmatismo e la certezza del dubbio. La teologia e la filosofia sono mancanti. Non possiamo pretendere che la chiave di lettura o il riferimento che vorremo ci venga dalla politica recitata al teatro della menzogna.

È tempo di dubbi, ma è anche tempo di porre tra le pagine della nostra vita, in questo tempo, una dichiarazione di ragione legata alla filosofia robusta dell’essere, che possa superare l’esercizio abituale al relativismo. Soltanto una filosofia della “fortezza” può, nel tempo dell’insostenibile divagazione, recuperare l’elogia della persona.

 




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