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John F. Kennedy: le ragioni del mito.
sabato 23 novembre 2013

di Pierfranco Bruni




 John F. Kennedy resta l’estetica nel mito e non un mito infranto oltre la Baia , il Vietnam e Marilyn

 

di Pierfranco Bruni

 

 

Gli anni sono passati e il tempo conserva le memorie oltre che i ricordi. Ma ciò che è stato un immaginario si è subito trasformato in simbolo e il simbolo si è fatto mito.

Perché John F. Kennedy è diventato un mito? Abbiamo molto discusso in queste epoche e si continua a discutere in questi giorni. Si prende come modello la sua figura e il suo esempio è citato tra le storie delle politica e la politica che con lui sembra perdere l’attualità per ritornare a cinquanta anni fa.

Ho cercato di rileggere la sua storia. Ho cercato di rivedere quelle immagini in bianco e nero. Foto ingiallite e segni tra ricordi che tracciano generazioni e una due tre vite. Non mi sono sfuggite quelle immagini e neppure le edizioni straordinarie della Rai di quei giorni, ma in questi anni ho molto riflettuto sul personaggio che si è mitizzato proprio in contesto in cui la storia diventava immaginario.

Non si tratta soltanto di una questione politica e neppure di un rapporto tra personaggio e tragica morte e tanto meno posso dare semplicemente un senso antropologico ad un uomo potente e giovane che resta nell’immaginario giovane bello e decadente. Il personaggio che diventa mito dura e supera la storia nel tempo.

Molti di noi hanno cercato di imitarlo. Molti di noi, allora ragazzini, hanno cercato di gesticolare con i suoi atteggiamenti. Ho fisso negli occhi la sua presenza mentre scendeva dalla scaletta dell’aereo. Con la sua sicurezza, giovane quarantenne, affascinante, con  i tipici occhiali kennediani e i capelli ciuffati al vento. Accanto la sua  Jacqueline sempre impeccabile nella sua armoniosa e sorridente attrazione. Non c’è dubbio. Hanno creato uno stile.

Lasciamo perdere i tentativi di false imitazioni alla Veltroniana maniera o alla Zapatero: in queste ore si sono cercati “prolungamenti” completamente fuori luogo. Come è fuori luogo il veltroniano kennedismo politico. Sono “battute” che lasciano lo spazio di una discussione al bar dello stadio. John F.Kennedy è stato Kennedy. Punto.  

Può piacere o meno. Posso e possiamo trovare tutti le schegge impazzite per distruggere oggi il personaggio ma ne usciremo delusi e sconfitti. Se cercassimo o se cercassi, meglio usare la prima persona, di scalfire la sua immagine lo farei soltanto per invidia. Ricco, bello e affascinante, amato e amante di belle donne, una donna a notte si dice senza avere riguardo per alcuna: non posso parlarne male.

È ancora un mito. Può piacere o meno. Posso condividere o meno la sua politica e le sue contestate, da destra e da sinistra, imprese e ingerenze di politica internazionale ma non può essere accerchiato dall’onda di filo-comunismo. Erano altri tempi.

L’errore della Baia dei Porci è stato fondamentale. Aveva visto bene ma non è stato tempestivo ed stato, come si sa, spiato e tradito come sempre avviene. Non sono giustificazioni le mie. La posizione degli Stati Uniti, in quegli anni, era potenzialmente non solo strategica, ma ideologicamente preponderante rispetto a Cuba e all’Unione Sovietica. Il Vietnam è un altro capitolo ancora bloccato nella storia di una documentazione da rileggere. L’impresa dei missili era nella funzione di una politica internazionale tra un Occidente democratico (o repubblicano) e una fasce orientale comunista. È stato debole?

Kennedy resta Kennedy. Il personaggio ha una sua imponenza, una sua forza, un suo modello anche nei processi mediatici. Gli Stati Uniti d’America hanno commesso errori peggiori rispetto al dramma e alla debolezza militare e politica della Baia dei Porci. Non pongo giudizi di merito, ma continuo a riflettere sul mito, sulla sua forza carismatica nei confronti di un immaginario che ha attraversato dieci lustri.

E poi la sua storia d’amante con Marilyn. Si sono amati? J.F. riusciva realmente a perdersi nella passione di Marilyn? Ormai è diventato un personaggio nel romanzo di un’epoca. Anzi, è diventato il personaggio di se stesso. La sua assenza ha incarnato la presenza del personaggio e la sua morte non ha creato un “caso”. Piuttosto è diventato il destino di un’avventura centralizzata dal fascino del personaggio che noi abbiamo focalizzato come tale. Ma J.F. era già di per sé un personaggio. Ogni suo atteggiamento diventava uno stile. Non dobbiamo perdere di vista quest’aspetto.

Tutto il resto è nelle cronache o nel ruolo delle politiche non solo americane. Tutti abbiamo cercato di imitarlo. Tutti abbiamo cercato di immedesimarci nell’estetica di quest’uomo. Il fatto, come accennavo, non resta legato soltanto alla tragica morte perché altre tragedie si sono consumate davanti i nostri occhi.

Ma J.F. aveva il senso dell’estetica. Un’estetica che è diventata mito passando attraverso il simbolo: al di là del bene e del male. Ancora oggi resto fisso nell’osservare i suoi atteggiamenti, le sue movenze, i suoi gesti e guardo con attenzione l’immagine.

Cosa si nascondeva dietro quell’immagine? Usciamo fuori da esiti psicoanalitici o da analisi sociologiche. L’uomo di fascino c’era. L’uomo di fascino che, in pochi anni, è diventato il personaggio di se stesso. E le donne, le sue amanti, la sua elegante Jacqueline fanno il mosaico della sua estetica e quella sua estetica è il mito non scalfito. E resta a raccontarci oltre le cronache la magia conturbante o meno di un uomo diventato personaggio.

Non smetto di osservarlo. Senza condanne e senza ammirazione. Ma ha dettato, in pochissimo tempo, i dettagli di un’avventura ad un personaggi che ha segnato destini.

Quanta malinconia in quei suoi occhi, il quel suo sguardo, in quel suo attraente disegno onirico… Ma l’avventura – destino con Marilyn non aveva forse una attrazione tragico – onirica nell’ironia che ha contrassegnato la sua morte?

Avrò modo di parlare di Cuba, della Baia, del Vietnam, della Lunga vita a Fidel… ma J. F. resta, comunque, l’estetica nel mito… e non un mito infranto…

 




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