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In un tempo di sguardi feriti e di mancanza di rispetto...
martedì 17 settembre 2013

di Pierfranco bruni




IN QUESTO NOSTRO TEMPO A VOLTE BISOGNA FARE A MENO DELLA PAZIENZA PER NON LASCIARSI AGGREDIRE DALLA POCHEZZA IRRISPETTOSA DELL’

…in un  tempo di sguardi feriti e di mancanza di rispetto nelle trincee  abbiamo il silenzio come baionetta e l’ascia come linguaggio…

 

di PIERFRANCO BRUNI

 

 

Siamo in un tempo di sguardi feriti. Non sono soltanto gli occhi ad essere colpiti. Le parole vengono pronunciate  per restare bellezza con il silenzio, e per farsi macerie, pronunciandole nel momento della rottura del rispetto. Bisognerebbe avere sempre rispetto per i viaggi non condivisi. Chi perde lungo il suo dire l’orizzonte del rispetto ha già smarrito la lealtà, la fierezza della dignità, il coraggio della coerenza.

Ci sono sempre dettagli nella vita, come mi ha insegnato il mio amico Alberto. Più piccoli sono tanto hanno la forza di togliere le ombre dalla visuale che ti porti dentro. Puoi capire. È necessario. Puoi comprendere. È doveroso. Puoi ascoltare sino alla sillaba dovuta o alla vocale mancante. È giusto. Ma il vento d’altura non può trascinare la tua vela da una costa ad uno scoglio. C’è un limite. Il limite non segna il confine. Come l’orizzonte non segna il finito o l’indefinibile dell’infinito. Ma il rispetto per la propria storia, per il proprio testimoniarsi, per il proprio mestiere è un legame imprescindibile con un concetto forte che è quello dell’onore.

Quando viene meno il rispetto per l’altro si sono già consumate gli abusi della tolleranza. Ci sono due culture nell’epoca moderna che hanno straziato la storia per la loro intolleranza e per lo sgretolamento del rispetto verso culture altre, pensieri altri, processi emozionali altri: quella cattolica, mondo diverso, completamente diverso, da quello cristiano, e quella illuminista che si affida “razionalmente” alla ragione. In fondo il cattolico ha bisogno della ragione per darsi una giustificazione.

Entrambi i processi storici nascono dalla mancanza di rispetto nei confronti dell’eretico (parola importante per il sublime dell’intelligenza che non si accoda al gregge) e di chi coltiva l’estetica della metafisica. Siamo in un campo non minato. Ma questo campo è di chi conosce la filosofia dell’anima per averla attraversata e per essersi lasciato attraversare con la pazienza, con la devozione, con l’ascolto. La mancanza di rispetto non è mai ribellione e neppure rivolta. Camus ha insegnato le differenze e Maria Zambrano bisogna penetrarla per lasciarsi raccogliere dal suo esilio.

Siamo in un tempo in cui la provvisorietà dei linguaggi è una provocazione dei saperi. Ma ci sono “intellettuali”, uso un termine gramsciano a me non caro come non è parte integrante della mia scuola di pensiero lo stesso Gramsci, che agiscono come se avessero la verità nel linguaggio.

Ma chi è l’intellettuale? Storica domanda. Leonardo Sciascia aveva perfettamente ragione nel dire che l’intellettuale deve restare sempre contro perché sa di poter “ragionare” con il proprio sapere, attraversandolo e portando avanti la capacità dell’opinione. Ovvero la capacità di fare scuola, di essere scuola (nulla a che spartire con la realtà degli istituti scolastici e dei suoi apparati). Di essere altro e non reputarsi un semi-colto proveniente dalle antologizzazioni che sono aspetti diversi dalla ontologia del coraggio di esprimersi, comunque e ovunque, con il rischio sempre di essere impopolare.

Bisogna essere impopolari per riscrivere il tempo dell’uomo e non degli addestrati e addomesticati ripetitori di libri già conformati secondo schemi di culture intolleranti. Il rispetto proviene anche dal coraggio di mettersi in gioco sapendo di rischiare tutto, ma sapendo anche di conoscere, di avere consapevolezza, di restare sempre se stessi. Ma come si fa ad “essere” un “essere” tale?

Ci sono tre cattive strade in letteratura, oltre alle due vie culturali già indicate, che provengono dall’aver consumato il concetto di poesia su un personaggio come Dante che non è poeta, ma un cattivo teologo (ho cercato di dimostrarlo in più occasioni), Manzoni che, come i convertiti all’intolleranza,  ha tentato di confondere la bellezza di Don Rodrigo con il paesanuncolo Renzo e la brutta Lucia con l’intensità della monaca di Monza, Carducci che, animalista fino in fondo, ha dichiarato eterno amore al suo bove. Ormai questa letteratura fa ridere i capponi di don Abbondio.

Anche in ciò c’è mancanza di rispetto. Gli Inni a Satana del colto Carducci sono il brutto nella giustificazione di una letteratura cattolica che non si è mai guardata nelle antologie scolastiche. Le classifiche dei gironi danteschi sono l’imposizione di un cattolicesimo occidentale che punisce ma permette di peccare, perché ti invita al perdono. Manzoni? Bisognerebbe conoscere la storia della sua vita per raccontare il Fermo e Lucia o con altri titoli. Perché la letteratura è la vita. Il maestro D’Annunzio è un maestro di stile e di rispetto nelle intolleranze altrui.

Ma la storia continua, perché fino a quando i pappagalli resteranno addomesticati mica si può conoscere il vero destino dell’antirealista Pavese? Questa è un’altra avventura? No. Nella vita ci vuole stile. Ma occorre, per essere veri, nel rispetto la coerenza.

La coerenza non è il gioco del cosa vediamo o del cosa vedono gli altri. No. Io vengo da una “scuderia” che ha fatto della dignità e della libertà il proprio esistere: da Giuseppe Berto a Nantas Salvataggio, da Francesco Grisi ad Alberto Bevilacqua e prima da Giovanni Papini a Giuseppe Prezzolini, da Robert Brasillach a La Rochelle, da Mishima a Maria Zambrano, da Cristina Campo a Grazia Deledda, da Rumi  a Musashi sino a Lin – Chi… Tutto il resto è provvisorietà persino il dialogare tra il cattolicesimo e la ragione degli Illuministi.

Ciò detto: io non sono un cattolico nell’intolleranza del cattolicesimo e tanto meno un illuminista nell’intolleranza della ragione. Ma sono fedele sempre a me stesso. Già, siamo in un  tempo di sguardi feriti ma nelle trincee abbiamo il silenzio come baionetta e l’ascia come linguaggio.

A volte, e questo è importante, bisogna anche fare a meno della pazienza per non lasciarsi aggredire dalla pochezza irrispettosa dell’altro.





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