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Maddalena Costa: “Le perversioni di Niné”
martedì 20 agosto 2013

di Pierfranco Bruni



Niné nell’eros e nella magia: un raccontare perverso per amare la vita e l’amore nel romanzo – racconti di Maddalena Costa: “Le perversioni di Niné”


C’è sempre una magia nascosta nelle parole. Il segreto delle parole e nelle parole che vivono il gesto, l’azione, la sensualità dell’atto e del pensiero. La letteratura è un raccontare? È un raccontarsi? È un ritrovarsi? È un dirsi o un darsi? L’eros che entra nella passione del linguaggio costruisce non solo l’immagine ma anche l’immaginario. La parola è fatta di finzioni, di un immaginario che si vuole tale per dare un senso alla maschera della realtà, di maschere nel teatro dell’assurdo che tutti abitiamo o che, volontariamente (nolenti o volenti) e necessariamente, ci abita, di realtà che cerchiamo di velare.
Il velo non è un’ombra. Il velo è l’erotico trasporto di un’immagine nella “descrizione” dipinta dalle parole. E le parole sono vita. Mica sono sempre delle pietre. Le parole sono bellezza. Mica sono sempre dolore. Sono leggerezza. Mica sono sempre insopportabile bilanciamento.
Tutto questo per dire che il romanzo (o i racconti che enucleano un percorso in storie, non stiamo a definire i generi letterari, chiamiamoli racconti con un nucleo di partenza che strutturalmente forma un romanzo) di Maddalena Costa dal titolo: “Le perversioni di Niné”, (Damester edizioni) di circa 220 pagine, provoca non solo emozioni “eccitanti”, ma parla soprattutto con un linguaggio che ha una chiarezza di acque che hanno la pioggia dannunziana.
Eros, passione, descrizioni di rapporti sessuali, straziamenti d’animo e di corpo. Tutto è sesso? Ma sì. Uccidiamo la noia se tutto il resto è noia, avrebbe detto Califano. Perché? Ninè ama l’amore, ama farsi l’amore, ama offrire amore. La storia di “Bocca di rosa” di De André. Forse no. Forse sì. Ma Niné è sesso – sensualità. Chiamiamole perversioni o “emozioni” (Battisti) di corpo e tremore di pancia e di testa. Il gioco è un sorriso ma anche il sesso è un sorriso altrimenti cosa sarebbe. Se la testa va in tilt come si fa a fare sesso? E allora facciamo in modo di armonizzare il pensiero per dare un senso e un orizzonte ad una risposta immediata all’armonia del pensiero che è, appunto, la sensualità del sesso.
Vi ricordate la canzone di Rino Gaetano cantata con l’ironia dei ragazzi ribelli, monelli, irrequieti (ma chi non accetterebbe di essere ribelle? Gli ipocriti e di ipocriti il mondo apre alle folle, non ai folli) quando dice: “Gianna non perdeva neanche un minuto, per fare l'amore/Ma la notte la festa è finita, evviva la vita/La gente si sveste e comincia un mondo/un mondo diverso, ma fatto di sesso/e chi vivrà vedrà...”. “…fatto di sesso…”. Spesso canticchiamo questa canzone. Senza dargli un significato? O cerchiamo di rubargli il significato immaginandoci le nostre fantasie antelucane e notturne?
Maddalena Costa spoglia Niné dalle perversioni ma, attenzione, ci spoglia dalle nostre maschere e questo fa paura. Il libro mi piace e ne parlo con gioia, con divertimento, con allegria per dire: ma dai facciamo meno i penitenti che si battono il petto per stringersi i peccati nascondendoli. Siamo nella vita e siamo l’ironia giocata sulla corda della letteratura. Mandiamo a farsi sfottere la noia, la malinconia, gli ipocriti, i moralisti, i perbenisti e cerchiamo di guardare in faccia, negli occhi, nello sguardo la vita vera. Ho letto il libro ascoltando in sottofondo un testo di Battiato (non mi ero ripromesso di non ascoltarlo più?) dal titolo “Come un sigillo”: “E tu passavi appena le sottili dita sul prepuzio/poi sfioravi il glande e i sensi celebravano il loro splendore/ed era bello starti ad osservare./Confermavi il mondo della coesistenza materiale”.
Questo romanzo – fatto di racconti di Maddalena Costa è un romanzo in cui l’erotismo tocca tutte le pieghe del corpo imbarazzando, dunque, i moralisti che vorrebbero vivere almeno cinque minuti con Niné e con altri personaggi, però nessuno deve saperlo. È erotismo puro dentro la letteratura. Ed è una pagina (per dirla nella totalità delle pagine e della scrittura) scritta bene, finalmente dopo tanti “Gomorra” che mi fanno paura per le cronache dettagliate di altri pezzi di vita.
Io preferisco le perversioni e preferisco Niné e gli altri viaggiatori “insonni” e sensuali che camminano dentro il libro e che lasciano tracce inevitabili nel lettore. Anche il tradizionalista Goffredo Parise scrisse un libro considerato “forte” e pubblicato postumo, guarda un po’, in cui si racconta un rapporto a tre ma con delle immagini straordinarmente eros – erotiche (dal quale è stato tratto anche un film di Mario Martone) che è stato definito da Cesare Garbali “ipnotico e sconvolgente”.
Maddalena Costa usa gli strumenti non dello “scandalo” (d’altronde cosa significherebbe?) ma di una ipnosi sessuale. Le pagine, a parte i primi capitoli in cui Niné, dolorosamente ma magicamente, gioca, si diverte, si mette in gioco, trascina il suo passato nel presente e fa del suo presente una moderna contemporanea visione della propria vita, del capitolo “In nomine patri” hanno una valenza letteraria di grande spessore non solo nella griglia della trama, ma anche nelle cesellature poetiche. Don Raffaele è un personaggio vivo nelle sensazioni e trova l’amore nell’eros e trasforma l’eros in amore. Un sacerdote che trova l’amore, la passione, il desiderio del sorriso nell’eros. E cosa vogliamo di più?
Ma come mi è piaciuto questo capitolo (brava Maddalena Costa) perché fa rivivere un uomo dandogli il senso del suo essere. Certo. È un romanzo forte. Alla Ernaux, alla Anais Nin, alla Liu Yichang. Ma D’Annunzio, ed erano altri tempi, non sosteneva spesso che bisogna vivere ardendo senza cercare di bruciarsi mai? Le perversioni toccano il punto del realismo della fisicità e non siamo alla metafora della “mandorla” di Nedjma. Ma la mandorla è ciò che possiede Nené ed altre donne che si incontrano e la fa vibrare.
Un romanzo nei racconti viaggianti che si fa vibrante. Leggetelo amando e facendo l’amore. È scritto in modo perfetto. Altro che “Porci con le ali” della metà degli anni Settanta. Qui c’è la fisicità e la bellezza. Lì c’erano i porci ai quali bisognava mettere le ali e c’erano i maledetti anni sessantottini che hanno portato alla tragedia del terrorismo.
Già il titolo: “Le perversioni di Niné” ha una sua eleganza aperta al dubbio E poi il sorriso con il quale si chiude magicamente il libro: “Rimase a guardare il soffitto per qualche secondo, e poi scoppiò in una fragorosa risata”. L’ironia non vince l’erotismo. L’erotismo è ironia. Sapete perché? Solo l’eros (scopate e cercate di non morire, scopate e cercate di allontanare le malattie, scopate e cercate di vincere le solitudini, le depressioni, le ansie, il senso di panico: una scopata ci salverà? Va bene? Altrimenti pensate alla morte, perché nel momento in cui Cesare Pavese ha smesso di scopare o di pensare a ciò si è infilato in quel “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” ed è giunto a quel maledetto suicidio) ci condurrà oltre le nostalgie e gli oblii.
Estremamente seducente la chiusa che potrebbe essere un inizio nuovo: “Ci sono giorni in cui scrivo per sedare il mio sentire, altri in cui potrei non sedarmi”.
Il libro si arricchisce di una eleganza puntuale di scatti fotografici che la stessa autrice ha realizzato. Fotografa e scrittrice. Un copertina squisitamente nell’estetica dell’eros, ovvero nella “coesistenza materiale”.




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