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C.S.R.
Centro Studi
e Ricerche
"Francesco Grisi"
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A proposito del
dibattito elettore politico
Dai beni
culturali alla scuola. Ripensiamo con il coraggio dell’utopia una progettualità
culturale: dalle aree archeologiche ai libri di testo
Intervista a
Pierfranco Bruni
Tempi
elettorali. La politica come scelta. La politica come aggregazione di
schieramenti. La politica come condivisione o divisioni di idee, di riforme, di
percorsi e di investimenti. Tempi elettorali in un clima di fiamme e burrasche.
Ma in questo nostro tempo si deve pur parlare di politiche culturali, di
investimenti sulla cultura, di progettualità sulle idee, di formazione, di
nuova visione della scuola italiana.
Di questi
aspetti abbiamo discusso con Pierfranco Bruni, esperto di politiche culturali,
già vice presidente della Provincia di Taranto con deleghe come Assessore alla
Cultura, Beni Culturali, Università e Pubblica Istruzione ma, soprattutto, come
esponente di primo piano nel dibattito culturale italiano, e presidente del
Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”, con incarichi istituzionali in vari
dicasteri alla presidenza della Camera dei Deputati.
Oggi ritorna a
ricucire il filo tra politica e cultura con un suo nuovo libro, che non è
letterario, etno - storico o antropologico in modo diretto (le discipline di
cui si occupa), ma riguarda proprio il legame che dovrebbe esserci tra politica
e cultura.
A Pierfranco
Bruni abbiamo rivolto alcune domande.
DOMANDA. Dopo i
suoi testi su "La politica al bivio" (2000), "L'estetica della
politica" (2006) e ancora "La sfida della cultura" 2010 oggi
ritorna ad occuparsi di politica e di cultura, nonostante i suoi impegni
letterari e di esperto di letteratura mediterranee nel campo dei beni
culturali, con un saggio sulle utopie delle culture dal titolo: "Il
coraggio dell'utopia. La cultura oltre i deserti". Si tratta di un saggio
ben articolato con delle individuazioni precise che partono dalla sua
esperienza.
RISPOSTA. “In un
momento particolare come quello che stiamo vivendo credo che parlare di cultura
è sempre più un progetto utopico. Dobbiamo stare con lo sguardo attento.
Ritorno al mio vecchio modello che è quello in cui ho sostenuto, e da molti
preso come esempio ma rimasto solo applicato in forma teorica, che il suicidio
della politica passa attraverso l’omicidio della cultura. Il più delle volte
confondiamo il patrimonio delle culture con il progetto culturale. Se non si ha
un progetto culturale orizzontale e verticale il nostro patrimonio resterà
memoria. Ora anche una memoria allagata come il caso recente di Sibari.
Dobbiamo partire da un progetto che non deve prescindere dal rapporto tra beni
culturali, mondo della scuola e università”.
DOMANDA. Ma sono
tre “emisferi” articolati e in parte diversi che implicano competenze e
specificità ben definite.
RISPOSTA.
“Certamente sì. Ma quando parliamo di cultura parliamo anche di formazione e
quando entriamo nei campi eterogenei dei beni culturali penetriamo l’asse
prettamente scientifico. Un progetto per una Nazione o per un territorio deve
avere delle coordinate che sono quelle certamente, della conoscenza prima che
della tutela. Se non conosciamo che cosa tuteliamo? Se non conosciamo la storia
in termini scientifici cosa raccontiamo ai ragazzi? Ma il Progetto di cui io ho
spesso parlato interagisce con i vari campi. Ecco perché è necessario porre un
legame stretto tra la conoscenza e la tutela ma anche creare i presupposti per
la valorizzazione. La cultura non ha senso se mancano i presupposti della
valorizzazione e dell’elemento valorizzante”.
DOMANDA. E la
scuola nel discorso culturale oltre che formativo che ruolo potrebbe avere?
RISPOSTA. “Una
volta si parlava della scuola come agenzia educativa. Resta valido questo
concetto. Ma ci sono i vari stadi che comprendono fasce generazionali. La
scuola è l’intreccio tra i vari saperi che passano inevitabilmente attraverso
una metodologia non amministrativa ma prettamente pedagogica e, quindi, una
pedagogia ben impiantata sul sapere delle culture che non è soltanto, quella
dei libri scolastici. E qui il problema diventa serio ma anche politico”.
DOMANDA. Lei
ritorna, dunque, a parlare di politica culturale. Spesso entra nel dibattito
italiano la questione relativa ai libri di testo sui quali Lei già dal 1996 ha
condotto una forte battaglia proseguita negli anni. Si conoscono i suoi
interventi quando scoppiò la polemica sui libri scolastici ideologizzati e le
sue conferenze alla fine degli anni novanta. Ma ha parlato anche di recente di
libri che presentano errori di date e di dati. Ciò può rientrare in una
verifica per ampliare il suo concetto della cultura come coraggio dell’utopia?
RISPOSTA.
Certamente sì. La progettualità culturale, ripeto, non è soltanto quella
praticata dai beni culturali come elemento ministeriale o istituzionale, questo
ministero lo chiamerei Ministero della Cultura e dell’Identità Italiana, ma va
oltre. Una scuola che adotta un testo, senza voler entrare ora nel merito, che
presenta vistosi errori o una impostazione platealmente ideologica è,
certamente, una questione di cultura. Anzi di cattiva cultura e credo che la
scuola dovrebbe farsi carico di questi aspetti. Noi abbiamo bisogno sì di una
progettualità ma di un rigore culturale”.
DOMANDA. Nel suo
libro però si parla di utopia e di coraggio. Sono scelte che fanno pensare.
RISPOSTA. “Già,
la cultura deve far pensare proprio trovando nel coraggio dell’utopia di
affermare delle verità. Io punto su questo. Soprattutto, noi mediterranei
dobbiamo ripensare la nostra storia, riflettere sui nostri modelli etno-antropologici,
schierarci, ovvero avere, appunto, il coraggio di schierarsi. Ci sono libri di
testo che hanno fatto una scelta precisa. Io credo che vada smontata
scientificamente attraverso una controproposta denunciando nelle sedi opportune
che la cultura è libera ma è liberà nella verità storica. Il discorso deve
essere fatto a tutto campo. Separiamo i saperi, dall’archeologia ai libri di
testo, per unificarli in una visione globale. Ecco perché dall’utopia bisogna
passare alla verità. Dalla storia detta e parlata o recitata alla storia
documentata. La buona politica non può fare a meno di ripensare tutto ciò”.
Toni Mena