Pierfranco, è sempre un grande piacere
intervistarti. Hai appena pubblicato un bellissimo libro dedicato a Ulisse dal
titolo “Il Canto di Nessuno” (edito da Edizioni Saletta dell’Uva). Un libro che
ho letto tutto d’un fiato e che ho amato moltissimo, come tutti i tuoi libri
del resto. Perché leggere i tuoi libri non è soltanto concedersi qualche minuto
di evasione, ma è sempre un viaggiare attraverso i grandi personaggi del
passato alla riscoperta del proprio Io, infatti come spesso affermi, si parte
soltanto per cercare se stessi, il viaggio è un costante ricercare. Alla fine
c’è sempre una grande scoperta e riscoperta esistenziale che emerge. Non è
così?
“È proprio così. Hai toccato un punto
nevralgico non solo di questo libro ma di tutta la mia ricerca sul viaggio, la
ricerca omerica dell’ulissismo. Si parte sempre per cercare se stessi pur
avendo la consapevolezza che si parte, e una volta partiti, ci si rende conto
che si è partiti per trovare se stessi. Siamo tutti come Ulisse, si parte con
la non volontà di partire perché si ha “l’isola sicura” e non sappiamo a cosa
andiamo incontro, se il mare diventerà una mareggiata… Ciononostante, una volta
che si è dentro la vela, ci si rende conto che tutto questo viaggiare diventa
un vero e proprio processo esistenziale, la ricerca di noi stessi.
Ulisse ha compiuto questo viaggio,
impiegando decenni, per ritornare a Itaca e lungo il viaggio ha ritrovato se
stesso. Dopo aver lasciato Troia in fiamme, il destino lo ha fatto
viaggiare costantemente facendolo fermare su diverse isole incontrando
maghe, magie, alchimie, miti. Il suo è stato un viaggiare anche attraverso il
regno dei morti tramite il personaggio di Tiresia che andrebbe di sicuro
rivalutato. Ulisse, a mio avviso, è il punto di contatto non soltanto della
cultura occidentale, di quella che noi abbiamo definito cultura occidentale
all’interno di una dimensione dell’erranza geometrica quale è la Grecia, ma è
un punto centrale per unire quel Mediterraneo spezzato che diventa parte
dell’Oriente e del Mediterraneo. Riflettevo su un fatto serio che forse non ci
siamo mai posti per pudore: Ulisse quanto anticipa la figura di Cristo? Questa
è la domanda centrale che oggi dovrebbe porsi l’uomo dell’erranza: senza il
mito, il sacro sarebbe stato tale? Senza la figura emblematica di Ulisse, al di
là del mistero biblico o meno, la teologia del Cristo si sarebbe costruita o
sarebbero stati in grado di costruirla senza Omero? Con questo libro tento di
trovare delle risposte che non ho e che cerco dentro di me rileggendomi
attraverso la figura di Ulisse”.
In questo libro (Cfr. il Video:
https://www.youtube.com/watch?v=yj_77DUs0TI&feature=share) tendi a
contemplare il tema dell’ulissismo da diversi punti di vista rifacendoti ai più
grandi autori della letteratura quali Joyce, Pound, Eliot, Pavese, Pascoli,
D’Annunzio, e molti altri. Ritieni che oggi il tema dell’ulissismo sia ancora
attuale in un’epoca come la nostra che pare aver perso di vista il valore del
sentimento dell’appartenenza, “del ritorno al focolare domestico”, un concetto
tanto caro a Eliade?
“Io credo che sia un concetto chiave
per uscire da questa decadenza, da questa leggerezza e da questo relativismo
nel quale siamo caduti perché il relativismo ci porta a relativizzare tutto.
Ulisse diventa il senso dell’assoluto, ma il senso dell’assoluto è la figura
cristiana di Gesù Cristo stesso. Il guaio, a mio avviso, è che la rottura
di questi schemi siano stati dati dalla teologia perché ha imposto delle regole
che sono fuori il senso del mistero. Dobbiamo recuperare il senso del mistero
perché dobbiamo recuperare il senso dell’appartenenza, delle radici. Questo
nostro tempo, che è un tempo prettamente relativista, ha perso il punto di
riferimento che è quello dell’uscire dal labirinto. E’ come se si vivesse in un
kaos costante, ma il “kaos” è un concetto diverso dal “labirinto” perché noi
dobbiamo ritrovare il “focolare domestico”. Questo è l’insegnamento del grande
etnoantropologo Eliade. Dobbiamo attraversare questo labirinto, che non è solo
mentale ma è anche delle coscienze, del cuore, per capire come il “focolare
domestico” diventi il punto di riferimento e di attracco. Ecco, allora, la nave
che viaggia verso questo ritorno che non trova più. In questo nostro tempo
bisogna ritrovare nuovi presupposti, ritornare alla classicità della cultura
perché c’è troppa modernità che si lascia passare per modello contemporaneo. Il
modernismo è un elemento che fa i conti con l’attualità, ma l’attualità è la
cronaca, con la cronaca non si fa cultura, filosofia. La filosofia e la poesia,
come diceva Maria Zambrano, non possono essere scissi. La filosofia non
la fa un “Festival della filosofia” come la poesia non la fa un “Festival della
letteratura”. Sono presupposti e metafore che vivono dentro l’uomo, non dentro
le società, ma dentro le civiltà. Noi oggi viviamo in una società che ha perso
il senso della civiltà, ecco perché bisognerebbe ristabilire il senso delle
civiltà. Come si ristabilisce il senso della civiltà? Con un processo profondo
riscoprendo e recuperando le nostre identità, l’identità della cultura e
dell’identità dell’uomo, la centralità dell’uomo e non delle cose. Questo è uno
degli insegnamenti che la scuola dovrebbe impartire più che insegnare l’analisi
dei testi. La sua dovrebbe essere un’operazione prettamente antropologica”.
Tu scrivi che l’ulissismo, (cfr. il Video:
https://www.youtube.com/watch?v=QaR1LhLfyXw) in termini letterari, è una
metafora, ma rappresenta anche una “contestualizzazione esistenziale”, nel
senso che può assumere il significato metafisico di “cerchio esistenziale”,
ossia un ritornare da dove si era partiti con una nuova maturità e
consapevolezza. Ci vuoi parlare di questo?
“Diventa una metafora ed è una metafora
perché anche geograficizzando questo modello dell’erranza di Ulisse, non si può
ritornare nella storia, perché Ulisse non è storia. Ulisse è mito ma la
metafora del viaggio, che in fondo è proprio questo, ci deve insegnare a capire
che viaggiando si acquisisce la consapevolezza di essere uomini, popolo,
civiltà. Pensiamo a cosa ha compiuto Ulisse. Ulisse va via da Troia ma sempre
con l’obiettivo di ritornare. La differenza tra Ulisse ed Enea sta proprio in
questo. Ulisse è l’impatto tra Occidente ed Oriente perché trova nel suo
messaggio il bisogno di catturare il senso della nostalgia. La nostalgia è un
tema classico, un tema che la nostra contemporaneità dovrebbe riproporre come
senso del “nostos”. La nostalgia non è rimpianto, la nostalgia è la capacità di
non dimenticare, di conservare la memoria, la capacità di essere nel tempo e di
attraversare il tempo senza farlo diventare rappresentazione del reale.
Noi veniamo da una scuola che ci pone davanti
a due eroi: Ulisse ed Enea, i due miti per eccellenza. C’è una differenza di
fondo, però. Ulisse vuole ritornare a Troia, Enea invece lascia una città in
fiamme e scappa. Pensiamo a queste metafore della fuga. Ulisse vive la metafora
del viaggio, Enea vive la metafora della fuga. Prende con sé le persone più
care e scappa lasciando la città in fiamme dietro le spalle. Due miti che
rappresentano due modelli di civiltà, di cultura, di processi esistenziali
diversi. Enea cosa fa? Va a fondare una nuova città, Roma, e quindi
l’Occidente. Enea viene oggi da quella che è stata Troia che si trova in
Turchia, quindi Roma non è la capitale dell’Occidente in sé, è l’imbarbarimento
di alcune civiltà, il meticciato di alcune civiltà. Il mondo asiatico si sposa
con il mondo latino, questo è il dato di fondo su cui riflettere e non porre
sullo stesso piano Enea ed Ulisse. Omero è grecità, è il mondo occidentale che
incontra il mondo dell’Epiro, il mondo archeologicamente più compatto dal punto
di vista dei presupposti civili, culturali, di interazione, mentre Virgilio è
all’interno di un mondo che è un mondo non solo puramente latino ma un mondo
che porta dentro di sé l’esperienza di Troia con una differenza di fondo. Enea
scappa da una città che avrebbe dovuto difendere e la lascia bruciare, Ulisse
ha invece la necessità di trovare Penelope, Itaca, Telemaco, di parlare con la
madre nel regno dei morti. Questa è la grande diversità tra Ulisse ed Enea che
non abbiamo il coraggio di dire perché siamo stati infarciti da una cultura
completamente sbagliata. Ovidio non amava Enea proprio per questo motivo.
Ovidio era la latinità pura perché aveva capito il confronto con la Grecia, con
il mondo mediterraneo, con il mondo egiziano”.
Dedichi un intero capitolo alla questione se
Ulisse può essere un nostro contemporaneo, un Ulisse che, secondo Dante, osa
sfidare le Colonne d’Ercole, che torna vincitore da Troia, che supera con la
sua astuzia mille difficoltà, un uomo che riesce a resistere al canto delle
sirene ma che cede al fascino della ninfa Calipso, continuando a rimanere
fedele a Penelope. Quanto di questo eroe epico si è perso nel tempo, non solo
in ambito letterario, e quanto, invece, è stato recuperato e conservato, e in
certi casi “personalizzato”, dai grandi autori che hanno fatto la storia della
letteratura?
“Ci sono alcune riflessioni su questo
aspetto. La riflessione popolare vuole Ulisse furbo, astuto, un personaggio
donnaiolo, ma c’è una classicità della letteratura che interpreta Ulisse come
figura metafisica. Pensiamo a Pascoli. Pascoli non fa ritornare Ulisse da
Penelope ma lo fa morire tra le braccia di Calipso e questo è già in sé una
chiave di lettura molto bella, singolare. Dante, da parte sua, in modo nobile
fa andare Ulisse fuori dalla cornice omerica e lo fa penetrare oltre le Colonne
d’Ercole. Poi ci sono le interpretazioni classiche nelle quali ci si chiede
come abbia fatto Penelope a non riconoscere Ulisse al primo impatto, quindi non
è vero che fosse questa donna che tesseva e ritesseva la tela. Oggi le
interpretazioni sono diverse ma credo che Ulisse resti il simbolo di un
destino, quello del viaggio dell’ulissismo, all’interno dei processi culturali
ed esistenziali. Forse è uno dei miti più studiati e più espressi in modo
articolato e contraddittorio ma in grado di resistere all’urto della storia.
Tutto ciò che non resiste all’urto della storia diventa cronaca,
rappresentazione”.
Hai affermato che anche tu, come Ulisse, avresti
accettato lo sguardo di Calipso, però saresti rimasto con lei sull’isola di
Ogigia, perché come scrivi «Calipso è il tutto oltre la storia. La sensualità
che va oltre la noia». Che cosa rappresenta per te Calipso, e che cosa
rappresenta invece per Ulisse?
“Questa è una domanda molto complessa. Ne “La
bicicletta di mio padre” ho scritto che chi ci ha fregato è stato Ulisse perché
non si doveva aspettare il cristianesimo per avere una lezione di fedeltà.
Ulisse dimostra il senso della fedeltà al di là degli incontri con Circe,
Nausicaa, le sirene e Calipso. Il suo ritornare a Penelope significa avere
dentro di sé il senso della fedeltà, quindi il ritornare a casa da
Penelope significa avere in sé il senso della fedeltà. Gli incontri che
facciamo lungo la strada sono gli incontri del destino, ma hanno un senso
questi incontri? Se non fosse stato con Circe, Ulisse si sarebbe salvato? Circe
viene descritta come una maga, ma era una donna esemplare, così come lo era
Calipso che invita Ulisse a restare sull’isola in cambio dell’immortalità.
Ulisse rifiuta l’immortalità perché vuole ritornare dalla sua Penelope. Io
forse sarei rimasto con Calipso, non voglio essere ipocrita. Questo è un fatto
che mi fa molto riflettere, che pone davanti alla questione dell’essere uomo,
dell’essere divinità. Ulisse dimostra di essere un uomo vero proprio perché
rifiuta l’immortalità. Ulisse ci ha educato in modo occidentale alla fedeltà”.
Pierfranco, è sempre un grande piacere, ma più
che un piacere è sempre un “arricchimento”, parlare con te dei tuoi libri. Sono
tutti lavori letterari che lasciano la loro impronta non solo nella nostra
mente e nella nostra anima, ma anche nel nostro cuore e questo perché vi è
sempre una sorta di identificazione tra te e i personaggi di cui ami parlare, e
questo amore nei loro confronti emerge in maniera tangibile. Ed è proprio
questo grande amore che ti ha spinto ad avviare un progetto teatrale che si
prefigge la finalità di far rivivere questi personaggi anche a teatro. Ti va di
anticiparci qualcosa in merito?
“Stiamo lavorando su alcuni progetti
che abbiano la loro consistenza sia dal punto teatrale, sia da un punto di
vista innovativo. Tra questi progetti ve ne sono alcuni che riguardano Ovidio,
Ulisse, Pirandello. Una triangolarizzazione importante perché comprende diverse
epoche, la classicità e la contemporaneità. Mi auguro di non fermarci qui
perché sono molti i personaggi che bussano alla porta dell’anima come Cesare
Pavese, Hemingway e tanti altri, personaggi che hanno un disegno ben preciso
nella vita non soltanto della letteratura, ma nella vita di tutti noi”.
Stefania Romito
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PIERFRANCO
BRUNI PRESENTA A FIRENZE IN ANTEPRIMA NAZIONALE "IL CANTO DI NESSUNO"
PER CONTINUARE A VIAGGIARE NEL MITO!
Mercoledì 20 settembre, alle ore 18, presso la libreria NARDINI Bookstore -
LiberPop a Firenze si terrà un importante evento letterario. Pierfranco Bruni presenterà in
anteprima nazionale il libro "Il Canto di Nessuno" (edito da Edizioni
Saletta dell'Uva).
L'Ulisse omerico viene vissuto, da un Pierfranco Bruni archeologo delle
esistenze, nelle sue infinite personalità mediante il pensiero dei grandi
letterati del passato tra cui Joyce, Eliot, Pound, Whitman, Eliade, Pavese,
D'Annunzio e Pascoli. Autori che hanno interpretato il tema dell'ulissismo
vivendolo e otrepassandolo proprio come osò oltrepassare le Colonne d'Ercole
l'Ulisse dantesco ed è, dimostrando lo stesso coraggio e propensione alla
sfida, che questo ultimo capolavoro di Pierfranco Bruni sarà in grado di
sfidare le barriere del tempo annoverandosi tra quella "letteratura che
non si perde" ma che rimane per sempre nelle nostre memorie e coscienze.
Un viaggio mefatisico dal carattere mitologico alla scoperta della propria vera
essenza.
Prenderanno parte all'incontro Ennio Bazzoni e il poeta Emanuele Martinuzzi.
Evento organizzato dal CENTRO LEONARDO DA VINCI.