In una città come Taranto è il Museo che crea sviluppo
e indotto e non la Soprintendenza. Andiamo oltre la nostalgia storica
di Pierfranco Bruni
Il
dibattito sulla questione dello spostamento della sede centrale della
Soprintendenza prosegue con uno strascico di polemiche. La mia posizione è
ormai nota. In un coro di voci a pianura la mia è una lettura o una
interpretazione che giunge dal Monte Ararat (metafore che potrebbero avere un
senso).
Resto,
comunque, convinto che il punto centrale del motore culturale di una città, e
nel caso specifico, ancora di più, come Taranto, resta e diventerà sempre più
il Museo con le sue competenze, con le sue strategie, con la sua progettualità
articolata tra la funzione degli eventi e i collegamenti internazionali.
Al
di là di ciò, non ho letto e non ho ascoltato, nei miei vari incontri culturali
da Milano a Roma, da Taranto a Reggio Calabria, dalle varie testate
giornalistiche cartacee e da quello online, una motivazione di “ragione della
prassi” che dica il danno reale che porterà lo spostamento.
Nel
concreto non ho letto e non ho ascoltato, finora, nulla che possa farmi capire,
(e anche rivedere la mia posizione), io da addetto ai lavori, all’interno del
Mibact, che ha lavorato e pubblicato testi sul Codice dei Beni culturali (2004
– 2005), scritti sulla antica Riforma Bottai (1939) ed ha appoggiato con
diversi saggi la Riforma Franceschini sin dalle discussioni in nuce, quale
possa essere la reale mutilazione per Taranto.
Si
parla di “scippo”, di “governo ladro”, di antica eredità da Viola a Quagliati,
di capitale della Magna Grecia (quale ora non è Taranto), di soprusi e si
costruiscono (giustamente per chi non la pensa come me) manifestazioni,
sfilate, occupazioni e così via.
Ma
qual è il contendere? Un fatto burocratico – amministrativo o un dato
valorizzante sul piano culturale? Si sopprime la tutela archeologica su Taranto
o si cambiano i sistemi di applicazione geopolitica e geografica sulla tutela e
sull’amministrare il patrimonio culturale?
Siamo
una società in transizione e lo siamo soprattutto in un sistema interattivo tra
strategie amministrative. Ciò che è avvenuto è stato applicato a Taranto come è
stato applicato in tutto il territorio nazionale. La tutela è una questione
giuridica e culturale. La valorizzazione è sviluppo, è economia, è immagine, è
fruizione, è capacità di costruire una città diversa attraverso la forza degli
eventi e delle intelligenze che sappiano puntare al binomio costi – benefici in
un ulteriore binomio che è quello cultura – economia.
È
questo il punto nevralgico di una discussione profonda. Facciamo in modo che
Taranto diventi punto centrale della cultura del Mediterraneo attraverso il
Museo perché soltanto attraverso il Museo può diventare una città in
competizione con il resto del mondo. Nel momento cui si va verso una
trasformazione dell’impresa Italia o del sistema Italia la cultura deve essere
il perno dei cambiamenti e deve diventare l’asse progettuale verso una nuova
identità.
Soffriamo
troppo di nostalgie. Ma il tempo in cui viviamo non ci permette di custodire
nostalgie o di riprendere discorsi antichi nel dire che noi siamo stati… Siamo
stati in un tempo che è stato. Ora siamo in un tempo in cui ci tocca vivere.
Ecco, allora, la necessità di riflettere con serenità sul fatto che
culturalmente non cambia nulla. Anzi fortifica nel processo culturale, con
l’autonomia del Museo, una città che in questi anni è scomparsa dalla geografia
degli eventi culturali, dalle attività nazionali, dalla progettualità politico
– culturale e universitaria del territorio nazionale.
La
mia può essere considerata una voce contro la coralità ma resto convinto che
bisogna puntare ad una organizzazione delle culture e a gestirle.
Cosa
che non compete alle Soprintendenze, ma ai musei. Il Museo crea indotto. È la
vera questione di fondo. Soltanto nel legame tra risorsa, vocazione e indotto è
possibile dare un senso allo sviluppo della geografia di Taranto e provincia.