Si sono ritrovati dandosi un appuntamento nell'eternità dell'amore domenica 20 dicembre 2015
di Pierfranco Bruni
Abito il mio esilio nella immensità dei ricordi che bussano fortemente nella mia anima. Sono passati mesi. Sempre passano le ore. Inavvertitamente. Sano passati anni. Passano sempre i giorni. Implacabilmente. Lasciano silenzi. Non più nostalgie o fili di rimpianto. A volte ragnatele di rimorsi. Tutto si aggrappa al vuoto. Le assenze sono inevitabili. È inevitabile il cerchio che si chiude tra parole non dette e vocii taciuti. Si resta soli quando il Porto è diventato un deserto. Anche a cercarlo nelle ombre del sepolto non si trova. Le immagini sono impermeabili sul leggero gioco delle acque. Mia madre non c'è più. La mia energia la nostra forza. Mio padre aveva già preso il volo qualche anno prima. Il mio coraggio il nostro capitano.
Li cerchiamo. Non ci sono. Io e Giulia abbiamo rovistato nei loro anni e abbiamo trovato appunti di vita. ANNOTAZIONI DI UN LORO ESISTERE CHE È STATO IL NOSTRO ED È IL NOSTRO. La vita è fatta sempre di appuntamenti. Mancati. Persi. Non capiti. Io li ho mancati tutti. Mia madre restava ad aspettarci. Ad ascoltare le attese e a contare le distanze. Quante distanze. Ci manca. Mi manchi madre che colpisci il tempo con il tuo incidere di racconti. Resto solo tra le parole e le parole sono un vuoto indefinibile. Perché mi manchi così tanto... Mi manca anche il tuo silenzio ora sapendoti assente... Abito il tuo esilio ed è come se fossi ancora un Ulisse che non sa uscir oltre il vento d'altura e consuma quello che più non ha lungo un pellegrinaggio del mistero. Sei il mio pensiero fisso e tu ascoltami quando la notte mi sveglio perché mi sei venuta incontro. Parlami. Ascoltami e parlami. Tu e papà non siete stati soltanto le mie voci. Siete le mie voci negli echi che non hanno segreti ed io voglio restare in vostra compagnia.
Scrivo dalla grande casa di paese. Immersa nella completa solitudine di voci. Vado da una stanza ad un'altra e mi domando dove le vostre mani hanno poggiato l'ultima volta. Mi domando chissà quante volte avete percorso questi spazi e vissuto il vostro tempo scandendo orari e misure di sguardi. Tutto ha un senso. Io dormo dove mamma ha dormito per lunghi anni. Ma è qui in queste stanze che voi continuate ad esserci a vivere a camminare con il vostro cadenzato passo. Ed è qui che sento di vivervi ancora con la certezza che il vostro pensiero non è mai andato via. Sono ritornato in questa casa di paese il giorno in cui mio padre è andato via con l'aquila. Oggi neppure mia madre ritrovo. Non sono triste. Ho la serenità del dolore. Un dolore che si fa coerenza nel tragico che ha un senso. Una serenità che lascia sguardi immensi nel proprio esistere. Mia madre non c'è più. Mio padre non c'è più. La luna sbatte sulla palma che dondola nel vento e lascia riflessi. Mi lascio accarezzare dalla solitudine e continuo a parlare con loro, mio padre mia madre, come se loro ci fossero realmente. Ma loro ci sono con il loro esilio con il mio esilio. Non smettiamo di abitarci. Nonostante il tempo si sia spezzato e ognuno di noi percorre deserti e mari noi restiamo un dialogo costante. La luna taglia la notte e la notte ha il buio. Le uniche luci accese sono nelle stanze della mia casa che loro hanno vissuto. Meno di tre anni e mia madre ha ritrovato mio padre. Si sono dati appuntamento. Qui non esiste incontrarsi senza darsi appuntamento. Mio padre le ha teso le mani come quando doveva salire i gradini più alti e si sono abbracciati nella loro eternità d'amore. Hanno creato il loro amore infinito e indefinibile. Così si scrivevano nelle loro lettere del 1948. Io ascolto li cerco li vedo mi guardano mi accarezzano mi parlano e so che mi mancano. Tanto mi mancano.