Pur favur
me regala cheste parole…
Raccontando
l’Italia nel mondo con le parole della letteratura
di
Pierfranco Bruni
Se il tempo mi cammina dentro
posso restare ad ascoltarlo? Ho camminato lungo i miei viaggi e ogni viaggio camminamento
ha tracciato il suo segno. Siamo attraversati da segni e i segni ci
testimoniano. Ma cosa sono i viaggi? I viaggi sono incontri e la vita si
vive tra gli incontri. Forse parlarsi è un dovere. O un diritto. Ma è solo la
capacità di comunicare o forse il segno di un affetto che va oltre ogni
barriera culturale.
Parlarsi con la poesia. Con i
versi dei poeti italiani che recitano l’amore e le contraddizioni, il senso del
tempo e la tragica resistenza degli incontri. Certo che la poesia è linguaggio
universale. Altrimenti che senso avrebbero i nostri viaggi tra città e luoghi
che sembrano insondabili.
C’è una città che non
dimentico. Non mi lascia con le sue immagini, il suo immaginario e gli
incontri. Sono stato a Santo Domingo, nella Repubblica Domenicana, in visita
istituzionale e per i “soliti” incontri che permettono comunque di creare
legami e di capire il rapporto tra la lingua italiano e le lingue, tra la
cultura italiana e le culture altre.
Un fascino dell’esotico e di
una estate che non smette di essere mai mare, sabbia, palme, piante di banane e
musica. Echi che lasciano un segno anche quando si è lontani. La musica scava
il vento tra gli Oceani e i profumi andalusi.
La musica delle donne che
ballano scalze sulla sabbia o su un tappeto di bicchieri e riportano alla
erosione delle monotonie perché qui la donna è bellezza ed eros. Un fascino che
cattura. Hanno bisogno di capire e noi abbiamo bisogno di osservare, di entrare
in un mondo che ci sembra di conoscere ma così non è.
Quanta italianità tra le strade
di Santo Domingo. Sembrano vie familiari. Sarà certamente per i viaggi antichi
ma soprattutto per la presenza di Cristofaro Colombo. Cristobar…
Qui Cristoforo è stato di
“casa”. Non si tratta di una metafora. Ma la casa c’è veramente. Quel
Cristoforo che amava Isabella. D’altronde la lingua che si parla è una calda
parola spagnola. Non poteva essere diversamente. L’accoglienza è stata di una
manifestazione d’affetto eccezionale.
L’Italia, ospite d’onore,
ovvero la cultura italiana. Abbiamo parlato di lingua e linguaggi ed io
soprattutto di letteratura italiana del Novecento: da Giovanni Verga a Giuseppe
Prezzolini.
Verga è molto amato. Ma non è
il Verga scolasticizzato. È quello che di “Tigre reale”, è quello degli amori
perduto e perdenti. Così Prezzolini… Il Prezzolini di “Dio è un rischio” che
pone interrogativi e non deposita alcuna risposta. Ma Santo Domingo è mare. È
il mare del sogno. È la città dei casinò e non dei casini. È la città della
festa.
La festa dei giorni. I giorni
che si fanno festa.
Qui veramente la notte è una
festa mobile che direbbe il caro Ernest. E la festa te la senti addosso per
l’intera giornata come ti senti dentro la musica o come ti porti negli occhi le
donne che danzano a suono di merengue o di salsa.
Che meraviglia quella ragazza
con riccioli tra i capelli e una gonna da zingare che volteggiava su un tappeto
di bicchieri al ritmo di una passionalità inebriante. Meraviglioso e
meraviglioso il sorriso della gente pur in una non ricchezza mai ostentata.
Belli gli occhi di quella donna
che ti tirava nel gioco del ballo e dovevi ballare perché tutto è parte
del gioco delle notti di quella città. Con le luci che sono riflessi.
E la cultura italiana? Sì, che
giornate intese al Salone del Libro. Una conferenza dietro l’altra e con
studenti che vogliono sapere e chiedono, interrogano e non smettono di offrire
poesia. Amano la poesia. Soprattutto la poesia d’amore.
Accanto a Lorca, a Neruda, a
Cervantes, a Becher e a quelli propri della loro terra non ci sono soltanto
Dante e Petrarca ma Collodi, Pirandello e addirittura Isabella Morra. Che ci fa
Isabella Morra a Santo Domingo? Anche negli alberghi è sempre festa.
Una studentessa giovane mi ha
chiesto: “Come si fa a diventare poeta?”. Abbiamo letto anche le poesie di
Giovanni Paolo II ed io ho tenuto conferenza “particolare” sulla funzione
poetica del verso woitiliano con una riflessione sulle immagini della Cappella
Sistina scattate nelle parole che non solo recitano ma anche raccontano.
Ed è una festa nel Corso
centrale di Santo Domingo. Il caldo e l’estate non conoscono pause. Le piazze
sono indefinibili. Le piazze restano dentro l’anima nel canto che ha gocce di
rugiada.
La piazza con Cristoforo
Colombo si apre ai negozi di corallo e ai mercatini dove il sigaro dominicano
sfida quello cubano. Nell’aria si respira tabacco e odori di frutta. Esotica.
Nei ristoranti le fettine di banana fritta o arrostita ha un sapore dolciastro
e piacevole ma noi abbiamo cercato spesso ristoranti con cucina italiana.
Che provinciali… E’ un
paese cattolico. Non ci sono dubbi tanto che ricordano con amore l’opera e la
figura di Giovanni Paolo II. D’altronde il primo viaggio all’estero che fece il
Pontefice fu proprio Santo Domingo e ci sono le testimonianze, i segni, i
simboli.
I domenicani sono orgogliosi di
quel Papa e nella principale ancora campeggiano le scritte che rimandano al
passaggio di Giovanni Paolo II. Ho tanti ricordi dei giorni trascorsi in quella
terra che mi ha molto colpito e mi ha lasciato dei tracciati indelebili.
Il giorno prima della partenza,
in una casa nobiliare, anzi in una villa elegantissima, si svolge un
ricevimento in nostro onore. Ambasciatori, consoli, istituzioni. Una serata
dove la musica era diventata assordante. Ad un certo punto della nottata
irrompono una quindicina di ballerine vestite tutte di piume colorate e con
delle maschere che rimandavano a delle divinità.
Che spettacolo… Fummo
completamente presi alla sprovvista. Ci chiesero di recitare dei versi di un
poeta italiano. Dovevamo improvvisare. Ognuno di noi si improvvisò attore
ricordando e declamando poesia. Io subito ripescai alcune versi di una poesia
di Cardarelli.
Furono delle scene
indimenticabili. Ogni ballerina – danzante si avvicinò agli attori improvvisati.
Si tolse la maschera e con un sottile filo di corda la pose sul nostro viso
legandola dietro la testa. Le ballerine – danzanti rimasero senza più maschera
mentre noi eravamo diventati delle divinità. Fu un gioco affascinante e fummo
tirati al centro della villa con il battito di una musica e di un canto latino
– americano. Che strazio di gioia e di emozione. L’emozione continua ancora
oggi soltanto a pensarci.
La notte finì e ci colse il
giorno. Non capimmo più nulla. Dovevamo ripartire per l’Europa, per l’Italia.
Ci attendeva un fuso orario di sei ore. Arrivai a Parigi completamente
stravolto.
Quanta cultura italiana nella
Repubblica di Santo Domingo, in quell’isola dominicana dove le parole di
Cristofaro Colombo e della cultura genovese e genovese – spagnola resta un
nucleo importante. Non mi sono meravigliato poi tanto quanto tra i ritmi e le
note delle canzoni cantate dai giovani al Salone del Libro c’erano anche i
testi di Fabrizio De André. Genovese, mediterraneo, Alvaro Mutis…
C’è stata una promessa
strappata all’ultimo momento: quella di ritornare a Santo Domingo per un
seminario proprio sui testi di Fabrizio De André. Certo che lo farò.
La musica è poesia e la poesia
si fa musica. Mi sono ritrovato nella valigia anelli di corallo e collane. Non
solo un corallo rosso, rosa o verde ma un corallo splendente nero. Un corallo
che cambia colore con la luce della luna e con i riflessi del mare. E poi la
danza è un ritmo che non ha spazio e neppure tempo perché continua nel
volteggiare del vento tra gli echi e le nostalgie.
La poesia non è fatta solo di
parole ma anche di sguardi. Così mi ha detto un ragazzo che con attenzione ha
seguito una delle mie conferenze. È proprio vero. Guardandolo negli occhi gli
ho recitato: “Io l’ho veduta già vestita a verde,/sì fatta ch’ella avrebbe
messo in petra/l’amor ch’io porto pur a la sua ombra:/ond’io l’ho chesta in un
bel prato d’erba,/innamorata com’anco fu la donna,/e chiuso intorno d’altissimi
colli”.
Dante. Il Dante che da noi
viene giudicato minore. Il Dante che non è metafisico ma si gioca l’anima tra
gli spigoli delle Rime. Mi ha guardato in silenzio e mi ha chiesto: “pur favur
me regala cheste parole?”. Con la dolcezza e con gli occhi grandi.
Ho capito in quel momento come
la universalità della poesia non conosce frontiere o confini e va verso
orizzonti. Che bel viaggio! Un viaggio interminabile tra le parole di Giovanni
Paolo II che insistono tra i miei ricordi e l’amore in Rime di Dante.
L’amore che si fa fede e la
fede che è carità. L’amore degli incontri nelle sere di Santo Domingo. Ho
puntato al casinò. Ma non ho vinto.
La poesia
è nell’amore e l’amore ha gli occhi della nostalgia. Santo Domingo resta una
festa tra i libri raccontati e i libri proposti. Ernest avrebbe parlato di
“fiesta mobile”. I miei viaggi non smettono. Sono scavo di vita e restano
incisi di memoria. E oltre... Il mare è un orizzonte e la ragazza era un giro
di vento a piedi nudi su un tappeto di bicchieri nel suono e nel canto di una
Spagna che si taglia tra le parole: “…corales en sus pechos y los ojos del
viento mar/la chica estaba bailando alrededor en el círculo en los labios y el
rojo de la puesta del sol/y sus manos un juego entre los matices de la
luna/todos los silencios tenían el ojo ...”. E così ho cercato di raccontare
con le parole della letteratura una immensa storia e un indefinibile destino che
è stata l’Italia.