La
mistica nella profezia dell’esilio
di Pierfranco Bruni
Nella sua Spagna Musulmana ha tracciato un viaggio che ha come dimensione
onirica un giardino nel quale ci sono perle e diamanti. Questo giardino è la
metafora dell’anima. Non si vive l’anima. Si abita l’anima come se si
abitassero le stanze del castello del proprio cuore. Santa Teresa d’Avila è
una mistica che ha attraversato il sogno della Profezia attraversando la
Provvidenza e i suoi sentieri.
Santa Teresa abitando il suo castello – anima
si definisce nella grazia dei setti “ambienti”, i quali intrecciano i gradini
dell’essere. Viviamo sempre dentro un "Castello". Siamo fatti di
castelli. Si entra tra gli incisi o gli intagli per cercare per capire per
vivere l'intensità che potrebbe condurre alla Illuminazione.
Siamo noi un "Castello interiore". Conoscerci per conoscere. Una
cifra di una intensa metafisica che "Possiamo considerare la nostra anima
come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove
sono molte mansioni...".È un concetto di Teresa D'Avila. Di Santa Teresa
D'Avila.
È da anni che studio leggo medito sul senso
dell'anima sul quale lo spazio di Teresa si è impostato con il suo coraggio e
la sua bellezza. Una Santa che viveva nella nicchia dei miei labirinti.
Labirinti che “descrivono” la vita come “una notte passata in una scomoda
locanda”.
L'altra notte ha bussato al portone del mio castello e mi ha domandato perché
perdo ore e ore a scrivere su un argomentare che mi lascia a volte vuoto a
volte ricco a volte strapazzato da idee e pensieri. Mi ha chiesto di riflettere
sulla spiritualità delle sette mansioni. Questo sette mi riporta a mio padre.
Già. Mio padre morendo mi ha sussurrato che volando sarebbe arrivato al settimo
piano del Castello. Nessun vento mi ha ricordato, allora, la mia Teresa, che ho
studiato nei primi anni universitari, ma le pagine belle del Castello del Re
risalgono addirittura agli anni ultimi del Liceo.
Ebbene, è venuta a trovarmi e mi ha ricordato
che avevo fatto una promessa dopo l'uscita del mio Canto di Requiem,
dedicato a Giovanni Paolo II, scritto a Santo Domingo nel 2005. Un Canto che
resta tra le letture che Teresa intreccia nelle sue “meditazioni” sul Canto
del Cantici che accompagna il mio camminare tra la passione e la sensualità
dello sguardo dei miei Orienti che sono andalusi e musulmani, cristiani e
culturalmente bizantini in un Rinascimento – Barocco che è l’espressione di
senso.
C’era una promessa dentro di me. La promessa era quella di riflettere meditare
silenziare assorto sul suo Castello e sulla metafisica dell'anima.
Era nata il 28 marzo del 1515. Muore il 4 ottobre del 1582. Perché
Teresa? È la Santa della Resistenza al dubbio.In tempi di equivoci e di
contraddizioni che portano alla debolezza dell'anima bisogna risalire e trovate
"il buon giardiniere" per ricoltivare le rose che adornano il
Castello.
Siamo uomini non perduti, ma chiusi nel bosco e chiedere al "chiaro"
di illuminate il cammino significa abitarlo fino alla fine. Il cammino.
Abitate l'anima. Quanta Teresa c'è nella
Zambrano che continua con Camus a lasciarmi vivere la rivolta dello spirito
nella ribellione della coscienza di Cioran che mi recita l’utopia e la storia
nel vento della spiritualità. Allora. A 500 anni dalla sua nascita cercherò di
abbandonare il labirinto e tentate di vivere il Castello. Quello che non si
vede ma si avverte e si ascolta.
L'orizzonte della bellezza è un viaggio. Senza teologie ma con il segno mistico
che è Provvidenza. È Profezia. Soltanto il mistico della profezia potrà
salvarci.
Teresa busserà ancora al mio portone. Ed io non mi farò trovare impreparato
perché in quella notte scomoda ci sono le radici dell’alba delle Orazioni.
Bisogna conoscersi prima di conosce: mi ha insegnato Teresa. Ma “credo che non
arriveremo mai a conoscerci, se non procureremo di conoscere Dio”. Per
conoscerlo abbiamo bisogno della contemplazione che va oltre la meditazione. In
quel senso mistico che è la fede senza teologia.
Il Cristo che trova in Teresa è quello che mi
specchia nella eresia che è profezia. Bisogna sempre sopportarsi nell’esilio
che viviamo e che ci vive. L’esilio è la finestra che ci conduce verso oil
Castello. I quattro pilastri: raccoglimento, quiete, unione, estasi sono la
Fortezza della metafisica dell’esilio perché tra Dio e l’Anima vive la
Bellezza. Un percorso che non smette di accompagnarmi tra gli orizzonti fatti
di linguaggio. E nel linguaggio il Divino il nostro cuore nell’umiltà.
Ormai sono anni che dialogo con Teresa e il
suo misticismo è una di quelle vie che mi lascia nell’esilio ma non mi lascia
solo. Perché dietro ogni crepuscolo c’è l’aprirsi della notte e in ogni notte
c’è la luce che annuncia l’alba che è la Speranza.