In un
tempo di sradicamenti Gioacchino da Fiore e Dante Alighieri sono i profeti da
rileggere oltre la cronaca della politica
di Pierfranco Bruni
Non illudiamoci ancora. La nostra epoca ha dimenticato l’identità culturale e
ha perso le eredità filosofiche. Occorre rileggere e proporre. Gioacchino da
Fiore è una presenza costante nella storia della cristianità. Utopia, eresia,
viaggio nella religiosità. Un viaggio profetico che ha tante avventure da
raccontare. Ma Gioacchino è un modello che caratterizza tutti i processi
culturali che ha poi l’identità cristiana e di fede in tutti i secoli
successivi in una dimensione in cui ricerca della fede significa anche ricerca
di una centralità dei valori della profezia.
Ernesto Buonaiuti in un suo saggio dedicato al De articulis fidei di
Gioacchino da Fiore ha sottolineato: “E se i pontefici romani si
sbarazzarono del gravoso onere della potestà politica e ne delegarono il
mandato agli imperatori, lo fecero unicamente per non mescolare la milizia di
Dio alla burocrazia temporale. Ma il gesto di Costantino, innalzante il
pontificato dalla condizione di soggetto e di minorato a dignità di potenza e
di comando, fu, oltre tutto, un meraviglioso gesto simbolico, prefigurante il momento
in cui, alla fine del mondo, il Signore Gesù avrebbe trionfalmente e
definitivamente sottoposte tutte le nemiche autorità della terra, ai propri
piedi”.
In un quadro in cui le tragedie dominano lo scenario si ha bisogno di ritrovare
l’identità del sacro. L’uomo deve superare le burocrazie temporali e i popoli
non hanno soltanto la necessità di affidarsi alla democrazia o alle democrazie
ma devono recuperare la solidarietà dell’unione che significa legittimare un
futuro grazie ad una eredità che non può che leggersi nel testo messianico
della rivelazione.
Viviamo un passaggio epocale che viene ad essere contrassegnato da un rapporto
tra il contemporaneo e il moderno. In questo rapporto si inseriscono le tracce
tematiche che hanno caratterizzato il tempo delle civiltà e lo hanno innescato
nelle evoluzioni delle culture. Il contemporaneo e il moderno ormai fanno parte
della nostra esistenza del presente e nel presente. Si riscoprono i luoghi e i
personaggi si rileggono nella loro storica fisionomia.
L’intellettuale è un giocoliere che sa stare al gioco e i filosofi esteti
ridisegnano il cerchio mentre i teologi discutono sull’avventura di Dio e i
religiosi pongono la questione della riappropriazione del mistero. In questo
nostro tempo c’è una leggerezza delle idee che va di pari passo con il pensiero
debole. Il moderno e il contemporaneo si servono di questi modelli che sono i
testimoni della stagione delle ideologie.
Siamo attratti dal crepuscolo delle ideologie perché veniamo attraversati costantemente
dalla debolezza o dalla necessità del contemporaneo. Il senso religioso è senza
ideologia perché è nel di dentro dei segreti che il mistero si rivela.
Rivelandosi ci permette di scoprire o riscoprire il valore della vita, i
sentieri che si intrecciano nelle culture, i significati del sacro.
Un interlocutore che ritorna a dialogare tra il moderno e il contemporaneo, pur
essendo antico, è Gioacchino da Fiore. Perché, ci si chiederà, riproporre
Gioacchino da Fiore in un clima di confusioni radicali e di post – determinismo
ideologico? Questo tempo che consuma tutto come potrà dialogare con l’abate
cistencense che
visse
tra il 1135 e il 1202?
Nella cultura occidentale l’abate calabrese resta una figura centrale. Ed è
tale sia per gli scritti che ha lasciato sia per i suoi comportamenti che sono
sempre oscillati
tra
l’eretico e l’utopico. E’ certamente uno dei filosofi che ha fatto da apri
pista per le problematiche che ha messo in moto una temperie di conflitti e di
contraddizioni etiche, morali ed esistenziali.
Il tempo della ciclicità è in Gioacchino da Fiore una motivazione storica e
culturale che ha dei presupposti profondamente religiosi. Le sue tre grandi età
sono una manifestazione che caratterizzerà tutto lo svolgersi della filosofia
vichiana e i relativi orientamenti della critica sul mito, sul tempo della
memoria, sulla rivelazione mistica.
Gioacchino da Fiore nel Liber concordiae Novi ac Veteris Testamenti offre
la meditazione sulla ciclicità. Le età sono gli “stati del mondo”. E’ proprio
in questo libro che l’abate dichiara: “Il primo è quello in cui siamo vissuti
sotto la legge; il secondo è quello in cui viviamo sotto la grazia; il terzo,
il cui avvento è prossimo, è quello in cui vivremo in uno stato di grazia più
perfetta”.
E l’analisi continua su una triplice valenza. E si ha: scienza, sapienza,
intelletto. Così di seguito sino ad arrivare agli ultimi stati che ci danno
questo quadro: “Il primo riguarda il periodo di settuagesima, il secondo quello
della quaresima, il terzo le feste pasquali. Il primo stato appartiene dunque
al Padre, che è autore di tutte le cose; il secondo al Figlio, che si è degnato
di condividere il nostro fango; il terzo allo Spirito Santo, di cui dice
l’Apostolo: ‘Dove c’è lo Spirito del Signore, ivi è la libertà’”.
Infatti le tre età sono riassumibili in questa sfera: l’età del Padre, l’età
del Figlio, l’età finale dello Spirito. Nel corpus di questo viaggio c’è
l’intelligenza spirituale la cui figura dell’angelo assurge a simbolo. Anche
qui si dimostrano e si manifestano gli intrecci ciclici. Nell’ Expositio in
Apocalypsym si legge: “Nella terra, che è l’elemento inferiore, si designa
la lettera dell’Antico Testamento, nel mare la lettera del Nuovo Testamento,
nell’iride, che compare in mezzo alle nuvole del cielo, il significato
spirituale, che scaturisce dall’uno e dall’altro”.
La terra e il mare sono non solo elementi partecipativi nella ciclicità del
confronto tra tempo e civiltà. Sono portatori di identità e di appartenenza. E
proprio per questo Gioacchino da Fiore costituisce il “proposito” di un
radicamento che trova nell’Antico e nel Nuovo Testamento la Redenzione che ci farà approdare ad nuova Era. La religiosità senza il mistero non avrebbe
senso. Ma lo stesso viaggio messianico si legge nelle metafore della terra e
del mare. Ovvero dell’acqua e del deserto. Sono questi i due principi fondanti
che ci conducono verso una rivelazione che non può essere soltanto storia ma
soprattutto fede. Lo svolgersi di questa attesa
messianica
ci avvicina non alla realtà storica ma alla memoria che è lo svolgersi di una
rivoluzione cristiana. In questa dimensione di fede il dibattito tra modernità
e contemporaneismo è una chiave di lettura fondamentale per afferrare
l’importanza del cristianesimo nell’età attuale e diventa necessaria alla luce
dell’offerta problematica che ne fa Gioacchino da Fiore. Una chiave di lettura
che deriva da due riferimenti centrali. Il simbolo e il sacro.
Ha scritto giustamente Ernesto Buonaiuti: “Impazientemente proteso verso la
veniente libertà dello spirito, Gioacchino intende così il mondo delle realtà
trascendentali, come il passato rivelato e storico, quali immense e dense
parabole, di cui occorre cogliere i significati riposti e i valori tipici.
Tutto, nella parola di Dio affidata alla Scrittura… deve essere inteso come una
tessitura prodigiosa di simboli e di sacramenti, la cui realtà non velata sarà
posseduta unicamente nel nuovo regno Spirito, mentre finora è rimasta oscura e
indecifrata”.
I simboli e le metafore circondano tutta l’opera dell’abate calabrese. Alla
incombente visione di attualizzare il moderno, nel suo contesto storico e nella
nostra realtà epocale, si contrappone la visione del “sempre” attraverso il
messaggio della evangelizzazione che Gioacchino propone costantemente anche
alla luce dei continui sdradicamenti che hanno attanagliato tutte le civiltà e
tutte le età. Ci sarebbe bisogno di ridare voce al pensiero metafisico della
contemplazione per riconquistare il senso che manca a questo tempo di perdute
memorie e di facili euforie.
La profezia non è un miraggio. E’ la metafora che si racconta nella nostalgia
del futuro. Pietro De Leo in Gioacchino da Fiore Aspetti inediti della vita
e delle opere ha sottolineato: “Modello o no, Gioacchino fu l’abate asceta
di un ordine profetico, proiettato nei tempi escatologici, più che in quest’età
che li precede. Gioacchino abate appare per questo un precursore, anche se per
molti aspetti la sua vita e il suo messaggio costituiscono ancora oggi un
problema”.
Forse fu un eretico. Ma di una eresia di cui questo nostro tempo ha perso il
valore. Le sue utopie sono state sconfitte dalla burocrazia del potere. Come
avvenne per Dante, di cui il legame con l’abate è una testimonianza spirituale
ed etica, l’eresia e l’utopia rappresentarono un modello di vita. Ma sia Dante
che Gioacchino oggi non sono moderni o contemporanei o attuali. Sono i profeti
che hanno disegnato le immagini nelle quali ci perdiamo. Restano i profeti
oltre la cronaca della storia.