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Gioacchino da Fiore e Dante Alighieri sono profeti da rileggere
mercoledì 28 gennaio 2015

di Pierfranco Bruni





 

                  

In un tempo di sradicamenti Gioacchino da Fiore e Dante Alighieri sono i profeti da rileggere oltre la cronaca della politica

 

di   Pierfranco Bruni

 

 

          

    Non illudiamoci ancora. La nostra epoca ha dimenticato l’identità culturale e ha perso le eredità filosofiche. Occorre rileggere e proporre. Gioacchino da Fiore è una presenza costante nella storia della cristianità. Utopia, eresia, viaggio nella religiosità. Un viaggio profetico che ha tante avventure da raccontare. Ma Gioacchino è un modello che caratterizza tutti i processi culturali che ha poi l’identità cristiana e di fede in tutti i secoli successivi in una dimensione in cui ricerca della fede significa anche ricerca di una centralità dei valori della profezia.

   Ernesto Buonaiuti in un suo saggio dedicato al De articulis fidei di Gioacchino da Fiore ha sottolineato: “E se i pontefici romani si sbarazzarono del gravoso onere della potestà politica e ne delegarono il mandato agli imperatori, lo fecero unicamente per non mescolare la milizia di Dio alla burocrazia temporale. Ma il gesto di Costantino, innalzante il pontificato dalla condizione di soggetto e di minorato a dignità di potenza e di comando, fu, oltre tutto, un meraviglioso gesto simbolico, prefigurante il momento in cui, alla fine del mondo, il Signore Gesù avrebbe trionfalmente e definitivamente sottoposte tutte le nemiche autorità della terra, ai propri piedi”.

   In un quadro in cui le tragedie dominano lo scenario si ha bisogno di ritrovare l’identità del sacro. L’uomo deve superare le burocrazie temporali e i popoli non hanno soltanto la necessità di affidarsi alla democrazia o alle democrazie ma devono recuperare la solidarietà dell’unione che significa legittimare un futuro grazie ad una eredità che non può che leggersi nel testo messianico della rivelazione.

   Viviamo un passaggio epocale che viene ad essere contrassegnato da un rapporto tra il contemporaneo e il moderno. In questo rapporto si inseriscono le tracce tematiche che hanno caratterizzato il tempo delle civiltà e lo hanno innescato nelle evoluzioni delle culture. Il contemporaneo e il moderno ormai fanno parte della nostra esistenza del presente e nel presente. Si riscoprono i luoghi e i personaggi si rileggono nella loro storica fisionomia.

   L’intellettuale è un giocoliere che sa stare al gioco e i filosofi esteti ridisegnano il cerchio mentre i teologi discutono sull’avventura di Dio e i religiosi pongono la questione della riappropriazione del mistero. In questo nostro tempo c’è una leggerezza delle idee che va di pari passo con il pensiero debole. Il moderno e il contemporaneo si servono di questi modelli che sono i testimoni della stagione delle ideologie.

   Siamo attratti dal crepuscolo delle ideologie perché veniamo attraversati costantemente dalla debolezza o dalla necessità del contemporaneo. Il senso religioso è senza ideologia perché è nel di dentro dei segreti che il mistero si rivela. Rivelandosi ci permette di scoprire o riscoprire il valore della vita, i sentieri che si intrecciano nelle culture, i significati del sacro.

   Un interlocutore che ritorna a dialogare tra il moderno e il contemporaneo, pur essendo antico, è Gioacchino da Fiore. Perché, ci si chiederà, riproporre Gioacchino da Fiore in un clima di confusioni radicali e di post – determinismo ideologico? Questo tempo che consuma tutto come potrà dialogare con l’abate cistencense che

visse tra il 1135 e il 1202?

   Nella cultura occidentale l’abate calabrese resta una figura centrale. Ed è tale  sia per gli scritti che ha lasciato sia per i suoi comportamenti che sono sempre oscillati

tra l’eretico e l’utopico. E’ certamente uno dei filosofi che ha fatto da apri pista per le problematiche che ha messo in moto una temperie di conflitti e di contraddizioni etiche, morali ed esistenziali.

      Il tempo della ciclicità è in Gioacchino da Fiore  una motivazione storica e culturale che ha dei presupposti profondamente religiosi. Le sue tre grandi età sono una manifestazione che caratterizzerà tutto lo svolgersi della filosofia vichiana e i relativi orientamenti della critica sul mito, sul tempo della memoria, sulla rivelazione mistica.   

 

   Gioacchino da Fiore nel Liber concordiae Novi ac Veteris Testamenti offre la meditazione sulla ciclicità. Le età sono gli “stati del mondo”. E’ proprio in questo libro che l’abate dichiara: “Il primo è quello in cui siamo vissuti sotto la legge; il secondo è quello in cui viviamo sotto la grazia; il terzo, il cui avvento è prossimo, è quello in cui vivremo in uno stato di grazia più perfetta”.

    E l’analisi continua su una triplice valenza. E si ha: scienza, sapienza, intelletto.  Così di seguito sino ad arrivare agli ultimi stati che ci danno questo quadro: “Il primo riguarda il periodo di settuagesima, il secondo quello della quaresima, il terzo le feste pasquali. Il primo stato appartiene dunque al Padre, che è autore di tutte le cose; il secondo al Figlio, che si è degnato di condividere il nostro fango; il terzo allo Spirito Santo, di cui dice l’Apostolo: ‘Dove c’è lo Spirito del Signore, ivi  è la libertà’”.

   Infatti le tre età sono riassumibili in questa sfera: l’età del Padre, l’età del Figlio, l’età finale dello Spirito. Nel corpus di questo viaggio c’è l’intelligenza spirituale la cui figura dell’angelo assurge a simbolo. Anche qui si dimostrano e si manifestano gli intrecci ciclici. Nell’ Expositio in Apocalypsym  si legge: “Nella terra, che è l’elemento inferiore, si designa la lettera dell’Antico Testamento, nel mare la lettera del Nuovo Testamento, nell’iride, che compare in mezzo alle nuvole del cielo, il significato spirituale, che scaturisce dall’uno e dall’altro”.

   La terra e il mare sono non solo elementi partecipativi nella ciclicità del confronto tra tempo e civiltà. Sono portatori di identità e di appartenenza. E proprio per questo Gioacchino da Fiore costituisce il “proposito” di un radicamento che trova nell’Antico e nel Nuovo Testamento la Redenzione che ci farà approdare ad nuova Era. La religiosità senza il mistero non avrebbe senso. Ma lo stesso viaggio messianico si legge nelle metafore della terra e del mare. Ovvero dell’acqua e del deserto. Sono questi i due principi fondanti che ci conducono verso una rivelazione che non può essere soltanto storia ma soprattutto fede. Lo svolgersi di questa attesa

messianica ci avvicina non alla realtà storica ma alla memoria che è lo svolgersi di una rivoluzione cristiana. In questa dimensione di fede il dibattito tra modernità e contemporaneismo è una chiave di lettura fondamentale per afferrare l’importanza del cristianesimo nell’età attuale e diventa necessaria alla luce dell’offerta problematica che ne fa Gioacchino da Fiore. Una chiave di lettura che deriva da due riferimenti centrali. Il simbolo e il sacro.

 

    Ha scritto giustamente Ernesto Buonaiuti: “Impazientemente proteso verso la veniente libertà dello spirito, Gioacchino intende così il mondo delle realtà trascendentali, come il passato rivelato e storico, quali immense e dense parabole, di cui occorre cogliere i significati riposti e i valori tipici. Tutto, nella parola di Dio affidata alla Scrittura… deve essere inteso come una tessitura prodigiosa di simboli e di sacramenti, la cui realtà non velata sarà posseduta unicamente nel nuovo regno Spirito, mentre finora è rimasta oscura e indecifrata”.

   I simboli e le metafore circondano tutta l’opera dell’abate calabrese. Alla incombente visione di attualizzare il moderno, nel suo contesto storico e nella nostra realtà epocale, si contrappone la visione del “sempre” attraverso il messaggio della evangelizzazione che Gioacchino propone costantemente anche alla luce dei continui sdradicamenti che hanno attanagliato tutte le civiltà e tutte le età. Ci sarebbe bisogno di ridare voce al pensiero metafisico della contemplazione per riconquistare il senso che manca a questo tempo di perdute memorie e di facili euforie.

   La profezia non è un miraggio. E’ la metafora che si racconta nella nostalgia del futuro. Pietro De Leo in Gioacchino da Fiore Aspetti inediti della vita e delle opere ha sottolineato: “Modello o no, Gioacchino fu l’abate asceta di un ordine profetico, proiettato nei tempi escatologici, più che in quest’età che li precede. Gioacchino abate appare per questo un precursore, anche se per molti aspetti la sua vita e il suo messaggio costituiscono ancora oggi un problema”.

   Forse fu un eretico. Ma di una eresia di cui questo nostro tempo ha perso il valore. Le sue utopie sono state sconfitte dalla burocrazia del potere. Come avvenne per Dante, di cui il legame con l’abate è una testimonianza spirituale ed etica, l’eresia e l’utopia rappresentarono un modello di vita. Ma sia Dante che Gioacchino oggi non sono moderni o contemporanei o attuali. Sono i profeti che hanno disegnato le immagini nelle quali ci perdiamo.  Restano i profeti oltre la cronaca della storia.

 




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