Scuola e minoranze
linguistiche storiche. Un confronto che si apre a ventaglio per gli Istituti
scolastici di ogni “ordine e grado”. Mi sembra un dato significativo
soprattutto per aprire nuove finestre sui nostri territori. Modelli culturali e
lingue nella diversità delle storie. Per stare insieme attraverso la parola e
le identità inclusive nei confronti tra civiltà ed eredità. Una osservazione
che faremo nostra all’interno di un fare scuola con quei parametri che sono le
minoranze storiche presenti in Italia.
L’esperienza educativa
rivolta alla conoscenza della cultura delle minoranze linguistiche nei
territori non interessati storicamente (storicamente soltanto in parte) ad una
matrice e ad una eredità etnica che rimanda a parametri cosiddetti di lingua
minoritaria risulta sempre più interessante perché pone in essere alcune
questioni sia di ordine comparativo antropologico sia di natura strettamente
legata alla capacità di ricezione e di strategia di culture diffuse.
In questo senso il ruolo
della scuola diventa sempre più importante e necessario.
La scuola è una agenzia
nella quale il modello multiculturale costituisce una chiave di lettura di
apprendimento di modelli e strategie ad intreccio. Soprattutto la scuola della
nuova riforma ha la necessità di confrontarsi tra le identità acquisite e le
appartenenze “altre”. La scuola come riferimento, dunque, tra lingua,
tradizione ed identità.
In una società in cui il
concetto di etnia o di comprensione dei significati e significanti di
“etnocentricità” diventano elementi culturali includenti la scuola non può
essere intesa come “struttura” che si apre alle società ma ridiventa sempre più
agenzia della società e come tale deve avere la forza e la capacità di
raccogliere istanze che provengono da realtà articolate non solo dal punto di
vista antropologico in sé ma anche linguistico.
Le minoranze etno –
linguistiche sono testimonianze di fenomeni in cui l’espressione culturale
diventa articolata attraverso delle varianti che provengono da diverse
conoscenze perché la stessa è contaminata ma parimenti diventa contaminante.
Una “scuola assorbente” è
una scuola motivata perché mette in moto delle caratterizzazioni individuali e
di gruppo in cui il portato esperenziale diventa formativo e formante in un
intreccio di fenomeni che hanno una loro valenza prioritaria: la conoscenza.
Soprattutto in quelle
scuole che ricadono nei territori dove non c’è una memoria storica etno –
antropologica e linguistica diversificata compararsi con le lingue altre (
lingue tagliate come si usava ripetere alcuni anni fa) significa non solo
aprirsi ad una integrazione comprensiva ma ad una conoscenza valorizzante.
Ormai molti Istituti
scolastici, al di là della questione relativa alle minoranze linguistiche
storiche, hanno costanti rapporti con le culture migranti proprio attraverso la
presenza di alunni che provengono da altri Paesi, da altre comunità, da altre
identità.
Questa apertura interessa
certamente il confronto con una società sia multietnica sia pluriculturale ma
un discorso completamente diverso è quello delle scuole che vivono il fenomeno
di un bilinguismo storico o di una cultura radicata come quella Italo –
albanese o grecanica, quella catalana ad Alghero o occitana nell’area delle
valli piemontesi (zona Pellice), quella ladina o friulana con una koinè ben
definita e così via.
È su queste strutture
territoriali che la comparazione tra minoranza storica (sia etnica che
linguistica) e tessuto scolastico trova una sua importanza nevralgica sia sul
versante istituzione e giuridico (la Legge 482/99 è una dimostrazione della
sintesi di alcuni proposte e di alcuni risultati oltre ad essere ancora un
punto di riferimento per ulteriori necessità che permettono l’utilizzo di un
percorso di pedagogia della conoscenza) sia su quello prettamente educativo che
tocca aspetti inerenti la storia e la tutela di un processo fatto di
tradizioni, di intrecci tra lingue, di costumi, di scavi puramente identitari.
Ci sono esperienze che
vanno recuperate come quelle sottolineate tra territori che portano una loro
cultura di bilinguismo vero e proprio e territori monolinguistici (e anche
monoculturali) che vivono però sullo stesso tessuto geografico, o meglio sono
comunità confinanti.
Ci sono diverse realtà che
si presentano in un tessuto paesaggistico similare. A distanza di ottocento
metri, faccio un esempio, si riscontrano comunità Italo – albanesi affiancate a
paesi di lingua e tradizione completamente italiana. La scuola, in questi casi,
deve saper dialogare e non può creare degli steccati a priori o delle nette
separazioni partendo da un presupposto principale che è quello del confronto a
tutto tondo tra culture e lingue.
Credo che il vero modello
di integrazione contaminata e valorizzante passi dentro questa rete di contatti
e intermittenze antropologiche. D’altronde, la scuola è anche una agenzia delle
conoscenza e del recupero delle antropologie disperse.
Abbiamo due contesti. Il
primo riguarda il rapporto tra scuole e minoranze linguistiche nelle comunità
che rientrano nella normativa di tutela delle minoranze perché le comunità
hanno una loro radice storica etno – linguistica ben definita. Il secondo,
invece, riguarda il dialogo tra scuole e territori che non presentano una
realtà di bilinguismo ma viciniori alle comunità che vivono nel contesto
culturale e giuridico del bilinguismo.
Cosa fare? Si pone il
problema per le scuole non interessate al bilinguismo storico? È un
interrogativo sul quale occorre chiaramente riflettere. Occorre però una
lettura complessiva, soprattutto in termini culturali, del fenomeno da parte
delle scuole non interessate al bilinguismo storico ma che accolgono però alunni
provenienti dalle comunità di minoranza linguistica.
Si parte da una
considerazione che ha una visione geografico – territoriale. In fondo il
tessuto territoriale è unico. La scuola dell’accoglienza è una scuola che si
apre non solo al confronto, è un dato già risolto questo, ma deve insistere su
una proposta che è quella della cultura ad intreccio.
Pur non usufruendo dei
diritti della normativa vigente inerente la tutela delle minoranze
linguistiche, la scuola deve raccogliere, dico raccogliere e considerarli come
esperienze sul territorio, i patrimoni linguistici dei territori vicini e fare
in modo che la cultura definita possa diventare un percorso di “culture
comprese e capite” come patrimonio di una eredità di beni storici, linguistici,
umani.
Il nostro è stato sempre un
Paese delle etnie e delle lingue incluse. Proprio in virtù della nostra storia
linguistica (unitaria, articolata e disomogenea), che parte da molto prima
della Unità d’Italia, il modello etnie – lingue è un rafforzativo in una scuola
delle identità ritrovate e delle appartenenze, antiche e contemporanee,
coinvolgenti in un dialogo tra pedagogie del rispetto, minoranze linguistiche e
comunità con “antropologie confinanti”. La scuola sempre più gioca un ruolo
importante sia nel campo delle integrazioni moderne sia nella comprensione
delle etnie storiche presenti nei nostri territori.