Solo chi
afferma che la storia siamo noi vive la barbarie
dell’intolleranza
e non
conosce il cammino dei popoli tra le civiltà e le etnie
di Pierfranco
Bruni
Le parole sono accorgimenti dei simboli. I simboli
sono nel cerchio degli archetipi e del mito. I miti trasferiscono l’orizzonte
della parola nell’immagine e l’Immagine nel linguaggio: dai segni allo
sguardo, dagli occhi alla materialità. Ma i simboli traducono ciò che vedono
in immagini e le immagini, spesso, raccontano. Racconti che sono fantasie,
finzioni e realtà. Ma il tutto è un intrecciare ciò che resta di quello che
chiamiamo tradizione. La tradizione vive in una antropologia che è fatta di
fisicità, ma anche di metafisica, di metafore e di una dimensione in cui gli
oggetti si dichiarano e si decodificano.
Si pensi alle etnie dei popoli indiani, ai Nativi,
alle etnie non Occidentali, agli Orienti dei monaci tibetani, alle culture
musulmane ed islamiche. L’Occidente conosce il sacro attraversando
Costantinopoli in una visione in cui gli Imperi si dividono tra Occidente ed
Oriente. Le Chiese hanno la teologia dell’ubbidienza. Ma l’ubbidienza è
l’imposizione oltre il concetto di libertà.
I linguaggi sono immensi ma anche immersi
nell’invisibile e nel visibile. Si pensi al legame tra le etnie e i linguaggi
musicali. Un legame importante per cercare di comprendere i processi culturali
che le minoranze storiche vivono in un intreccio in cui identità, nella
contemporaneità, ed eredità, in una dimensione metafisicamente scavata nella
tradizione, rappresentano la coscienza di un popolo che si definisce nella
permanenza della storia delle civiltà.
I linguaggi musicali sono modelli etnici e come tali
sono una espressione non solo pedagogicamente da considerarsi sul piano
culturale, bensì anche esistenziali. Noi non possiamo essere la storia. Siamo
dentro la storia, ma è la sconfitta della libertà e la rivincita
dell’ubbidienza a sostenere che la storia siamo noi. Il
mondo tibetano è una etnia ma non conosce il concetto di storia perché si
decifra nel concetto dell’Illuminazione che diventa il sublime
dell’immaginario.
Comunque la griglia culturale ed esistenziale
necessita di un valore di fondo che è quello dato dalla tradizione. Un’etnia
si regge su un tessuto fortemente radicato nella visione di una tradizione che
diventa espressione di un senso e di una tradizione attraverso modelli
antropologici ed elementi linguistici.
Una tematica che è parte integrante
di quella lettura comparata tra l’identità di un popolo e l’eredità che una
civiltà incamera nell’intreccio tra valore e disvalore dei linguaggi.
Una koiné è sempre un linguaggio che rende una etnia
radicamento. Se una etnia non avesse un suo preciso radicamento non avrebbe
una sua antropologia dell’esistenza. Va considerata esistenza e come tale
resta uno scavo sia nel territorio, che è geografia fisica dei luoghi, sia
nella testimonianza metafisica, che è una geopolitica nella coscienza dei
popoli.
I linguaggi etnici, proprio da questo punto di vista,
si incontrano con le lingue e le lingue sono una vera “struttura” di una
comunicazione che è chiave di lettura di una articolata contaminazione. Le
etnie vivono, sostanzialmente, di contaminazioni.
Bisogna fare in modo che pur restando tali, in senso
positivo, si definiscono in un confronto tra ciò che chiamiamo cultura e ciò
che definiamo civiltà. Ma tra le minoranze linguistiche, non solo storiche ma
di quelle storiche occorre parlare, e la metafisica delle etnie il raccordo
resta fondamentale.
Così i linguaggi sono sempre linguaggi articolati e
comparati. In fondo una etnia ha la sua profondità antropologica dalla quale
cultura, popoli e civiltà sono una ontologia dell’esistere. Partendo da qui la
geografia è una filosofia del dialogo e della conoscenza. In virtù di ciò è la
solitudine di una comunità che la rende straniera, mentre i linguaggi occupano
lo spazio della estraneità.
Si è stranieri se si è distanti. Una comunità etnica
che assorbe il concetto della distanza corre il rischio dello sradicamento.
Invece bisogna considerare una etnia sempre un radicamento reale, quindi
storico, ma anche un radicamento, appunto, metafisico.
I linguaggi sono comunicazione. Ovvero sono
partecipazione. In un tempo in cui lo sradicamento coinvolge tutti e tutto, il
senso dell’appartenenza diventa un obiettivo nella “religione” dei linguaggi.
Il linguaggio resta un suono. Il suono è un sentire, un avvertire, un
ascoltare. Ma è anche una lingua.
La lingua parla. Parlare con se stessi, ma il se
stesso non è una interpretazione. È un essere che non si serve di fattori
fenomenologici, ma esistenziali. Proprio per questo i linguaggi recuperano la
tradizione e portano sulla scena una eredità.
La parola – suono è il suono nel linguaggio. Una etnia
si base anche su questi riferimenti. Ma noi viviamo di riferimenti e sono
questi che costituiscono la chiave di lettura che ci permette di vivere
l’interpretazione del rapporto tra civiltà e tradizione. Una etnia è sempre
l’incontro tra ciò che è stata una civiltà, ciò che è una tradizione e il
vissuto di una identità nella rappresentazione del quotidiano.
L’etnia è il linguaggio di una identità tra le eredità
delle civiltà e il tempo che cammina nella storia. Ma la storia non siamo noi.
Timidi interpreti di una ipocrisia senza senso chi sostiene che la storia
siamo noi. Noi possiamo restare dentro la storia o come possiamo perderci. Chi
ubbidisce al concetto della storia siamo noi si perde, non nel labirinto
stesso della storia ma nella barbarie della storia.
Chi afferma che la storia siamo noi vive la barbarie
dell’intolleranza e non sa che soltanto le religioni incidono il solco
nell’intolleranza. Ma le religioni hanno un assoluto ideologico che supera il
mistero della fede. Sono le civiltà che danno l’identità alla storia, a quella
storia che sa raccogliere le archeologie del sapere e i saperi delle culture.
Le etnie sono
vissuti di popoli in cammino e l’antropologia dell’umanesimo segna gli uomini
liberi, contemplanti nella fortezza della solitudine e nella grandezza della
cerca dell’illuminazione. la storia per essere tale deve poter leggere le
civiltà i popoli e le etnie. Solo chi afferma che la storia siamo noi vive la
barbarie dell’intolleranza
e non conosce
il cammino dei popoli tra le civiltà e le etnie che resta il viaggio che
“spacca” le frontiere delle ideologie e rende, oltretutto,
intellettualmente liberi.