Cosenza.
Biblioteca Nazionale - Mostra bibliografica 9 dicembre ore 11.00 - "La Calabria difficile di Saverio Strati viaggio nella letteratura calabrese".
A cura di: E.Graziani, M.Grandinetti, W.Marrazzo,
M.Pantusa, A.Santoro, M.A. Vetere.
Presentazione: dott.ssa E. Graziani.
Prolusione:
prof. Pierfranco Bruni
Sintesi
Prolusione di Pierfranco Bruni
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In
Saverio Strati il viaggio di uno scrittore tra civiltà e luoghi
di
Pierfranco Bruni
La favola della vita è più della vita? Un interrogativo che Corrado Alvaro ha
sempre posto. A questo interrogativo l’Alvaro delle memorie di un mondo
sommerso ha sempre risposto sottolineando una visione che andasse oltre il
realismo. Certo. La favola della vita. In Saverio Strati la favola si scontra
con la realtà pur restando una antropologica dimensione del c’era una volta…
Nonostante
lo scavo della realtà insistono le metafore anche in Strati. Così: "Le
olive in terra erano fitte per via del vento che c'era stata la notte. Le due
donne cominciarono a raccoglierne con sveltezza, per riempire al più presto le
ceste e tornarsene a casa". Uno spaccato di un racconto di Saverio Strati
che con una immagine ad effetto offre una lettura di una realtà contadina e
nello stesso tempo ricompone, con le forme del linguaggio, un quadro nel suo
particolare. Strati è in fondo lo scrittore degli squarci, delle vedute, delle
finestre semi aperte e semi chiuse. E' lo scrittore anche della rassegnazione e
della sopportazione di un Sud che continua a vivere la sua stagione
dell'attesa.
Nato a S. Agata del Bianco nel 1924 e morto a Scandicci il 2014, Savero Strati,
ha scritto, tra racconti e romanzi, pagine come Tibi e Tascia, Noi
Lazzeroni, Il selvaggio di Santa Venere. Testi nei quali il paese,
l'infanzia, la terra, l'emigrazione costituiscono profili identitari grazie ai
quali contornare un viaggio letterario. Ma è una letteratura a rischio perché è
piuttosto una letteratura di confine nel senso che Strati circoscrive il suo
slancio narrativo non tanto e non solo ai temi della provincia quanto piuttosto
a un raccordare la realtà come fatto contingente al recupero della cronaca.
E' in fondo uno scrittore della cronaca tranne in alcuni casi particolari come
il romanzo del 1959 già citato dal titolo Tibi e Tascia. Qui, in questo
romanzo, l'intreccio di una infanzia che si ritrova nello scenaro dei luoghi è
sorprendente. Luoghi e tempo danno carattere al romanzo al di là dell'entrata
in gioco degli stessi personaggi che indubbiamente manifestano un loro
specifico ruolo e definiscono un profilo nel rapporto tra avventura del
raccontare e personaggi.
Ecco nell'atmosfera e nello scenario di Tibi e Tascia: "Infatti se
ne andarono padre, madre e figlio. Ancora era buio, ché la luna non c'era, e
certo le stelle non illuminavano la strada; e per arrivare al campo ci volevano
circa due ore, muovendo le gambe come si deve, di cammino". Sembra
un'immagine filtrata attraverso alcuni codici linguistici che rimandano a
Cesare Pavese ma è soltanto una sensazione che lascia molti dubbi.
Savero Strati è lo scrittore che sa raccogliere la cronaca ed è un
espressionista della rappresentazione del quotidiano. In modo emblematico
sfoglia queste pagine restando fermo dentro l'osservatorio dei giorni. E' piuttosto
una narrativa "giornalistica" dalla quale però si sviluppano
atmosfere che si dipanano sulla pagina. Ma il Sud, un Sud terra e sopportazione
condiziona la narrativa di Strati e lo scrittore non riesce (o non vuole)
trovare uno svincolo per andare oltre.
Ancora spaccati nel racconto dal titolo: "Sotto la pioggia": "La
pioggia cadeva fitta, uguale e testarda da giorni. Tutto il mondo ne era
inzuppato, impregnato e il rumore dei solchi gonfi, dei ruscelli e dell'acqua
che picchiava sulle pietre e sugli alberi faceva paura; e facevano impressione
anche gli alberi che stavano a cime piegate come degli uomini rassegnati a
sopportare ogni sventura".
C'è una cadenza pesante che nonostante la leggerezza del linguaggio la cruda
nota realista solca il tracciato narrativo. Si apre comunque e va oltre il
raccontare la
duplicazione
del reale grazie ad un recupero che in Strati c'è di quell'antropologia data
dalla favola. In Strati infatti si ascoltano echi di un recupero favolostico.
La fiaba e la leggenda sono elementi portanti e significativi che si ritrovano
in molti racconti. Ebbene sono queste le pagine che hanno anche un loro
spessore lirico nonostante la problematica che si pone.
In un racconto dal titolo: "Ricordo di una vacanza" si legge:
"Ricordo di storie sentite raccontare come leggende: di pastori che
avevano lottato con i lupi. Erano fatti veramente accaduti, ma col tempo
prendevano il sapore di favola". Raccontare le storie e raccontandole
farle diventare favole e una volta diventate favole restano nell'immaginario
popolare. Un immaginario popolare che si trasforma nella decodificazione dei
miti che camminano dentro il nostro essere ma anche nella nostra storia:
privata o meno. La favola è una incasellatura che caratterizza molte pagine di
Strati. Anche nella tipologia di alcuni incipit si nota ciò. Ecco: "Il
racconto è questo. C'era una coppia di piccoli proprietari…".
In questo raccontare attraverso i codici della favola la memoria come metafora
nel presente assorbe, in alcune occasioni, il raccontare stesso. I ricordi sono
sempre dentro la memoria. Un filo sottilissimo che si intreccia alla maschera
dei giorni e della vita. Ma la memoria non è un sotterfugio o una soffitta. E'
soprattutto da considerarsi come il viaggio che ognuno di noi compie dentro se
stesso ma anche dentro la nostalgia dei popoli. E' un viaggio indefinibile nel
quale l'io si trasforma in un noi. Noi compiamo un viaggio alla ricerca di ciò
che siamo stati e in questo viaggio le assenze e le lontananze non ci sembrano
più tali. Anzi non sono più tali e in letteratura diventano ancora più
imprendibili anche se sono costantemente presenti.
C'è una bella pagina che è il racconto dal titolo: "Mio padre è vivo"
che ci riporta a quel viaggio alvariano e a quel padre alvariano che resta
fissato in un dialogo tra paese e infanzia, ovvero tra partenza e ritorno. Una
metafora, se si vuole, che va colta nella sua interezza e nella sua specificità
umana.
Si
ascolta: "Mio padre è morto tantissimi anni fa: ma in effetti non è
proprio vero che sia morto: sono seduto al tavolo da lavoro e tutto a un tratto
qualcosa si muove dentro di me e, senza volerlo, fisso assorto attraverso la
finestra il cielo nuvoloso e prossimo alla pioggia".
C'è, in fondo, un intercalare di suoni e di immagini che hanno una
straordinaria lettura onirica. Un mantello onirico che copre, copre soltanto o
maschera, un sostrato di realismo e di cronaca. E' questo lo scrittore che si
proietta attraverso una letteratura - emozione - memoria. Una letteratura che
ha un senso nel di dentro della parola stessa. "Stranamente non mi sento
più seduto al mio tavolo di lavoro, ma mi trovo con mio padre in
compagnia". Il viaggio è una antica eredità che continua.
Memoria e paesaggio, dunque, sono il percorso il cui tracciato lascia segni di
questo scrittore. Una memoria, comunque, che non vive o si nutre di nostalgia o
di rimpianti. Quando la favola entra dentro la memoria e quando questa viene
intercalata da riferimenti onirici lo scrittore si serve delle metafore che non
cancellano né il tempo né i luoghi né gli spazi. Il narrare supera la
contingenza della parola, nell'insieme dell'espressione e dei fatti, e non si
fa né storia né cronaca, ma vita nei labirinti della memoria.
Cosa
resta? “I cari parenti”, proposto da Pellegrini, ma è una “sagra”
nell’intreccio tra storia e fabula di una famiglia. La cronaca rientra e va
via. Resta il narratore che è si differenzia dallo scrittore. Non va
dimenticato. Certamente. Ma il realismo è altra cosa rispetto alla memoria del
sogno segnata da Corrado Alvaro.