la
lingua, le etnie nella Prima Guerra Mondiale. È un tema di estrema rilevanza
sia linguistica che antropologica il cui percorso non può che passare
attraverso quei processi che sono strettamente letterari. La letteratura nella
Grande Guerra ha svolto diverse funzioni. Una tra queste è la visione delle
contaminazioni linguistiche tra lingua italiana e dialetti. Pasolini aveva
torto quando parlava di una cultura popolare all’interno del mondo contadino
caratterizzato dai dialetti con il “meticciato” delle lingue.
Le
diversità linguistiche in Italiana si aprono a ventaglio proprio durante la Grande Guerra. Slataper e Stuparic sono un esempio. Come sono un esempio Alvaro e D’Annunzio.
Come è un esempio Curzio Malaparte. D’altronde sono gli scrittori futuristi che
portano una innovazione linguistica passando attraverso le trincee. Ungaretti è
un esempio emblematico come lo è Marinetti ma tutta la “covata” che si forma
intorno alla rivista “La Voce” con Papini e Prezzolini.
Pasolini
anche in questo non fa storia. Anzi. La sua “passione” e “ideologia” sono la
dimostrazione di non aver ben capito il rapporto tra lingua e cultura popolare
e contadina con la struttura mentale di un linguaggio proletario. Giuseppe
Berto, infatti, aveva ben ragione nel definire la cultura popolare una
antropologia dell’anima e non delle cose. Ma ci sono altri aspetti nel
dialogante colloquio tra lingua, etnia e Guerra.
C’è
da dire che il ruolo istituzionale e politico, oltre che formativo, giocato
nella Grande Guerra sono stati quei militari che hanno avuto una forte
formazione culturale ed hanno avuto la capacità di trasmetterla ai propri commilitoni
sia attraverso esempi che grazie ad una dialettica che è servita a far
comprendere il senso dell’identità nazionale.
Ci
sono stati militari che hanno rivestito non solo gradi importanti nelle loro
funzioni, ma anche visioni in cui il legame tra etica e morale è stata
significativa. Tra questi va ricordato, nel centenario dell’entrata in Guerra
dell’Italia, una personalità che nato con i gradi di tenente, sottotenente
anzi, ed è arrivato a indossare i gradi di colonnello durante la fase che ha portato
alla Seconda guerra mondiale.
Si
tratta di Agostino Gaudinieri , le cui origini sono etniche in quanto è nato in
una comunità Arbereshe, Spezzano Albanese, in provincia di Cosenza. È stato
ferito più volte, anche sull’Isonzo, e più volte decorato con diverse croci al
merito. Era nato il 28 luglio del 1892.
Un
Arbereshe che ha portato alto il vessillo della sua etnicità attraverso il suo
amore per i libri, per lo studio dei classici e per la sua passione a custodire
testi, documenti e materiale con amore e forte cura.
Un
bibliofilo nella Grande Guerra, e di origini Arbereshe. Mi pare che sia un
fatto da segnalare con molta forza soprattutto se si pensa che tra i suoi
libri, ben custoditi, alla cui costola vi è impresso l’iniziale del suo nome e
cognome, ovvero A.G., ci sono testi molto rari.
Oltre
a libri sull’arte militare e sulla storia di Roma, sulla storia d’Europa e
sulla storia d’Italia sono conservati testi su Parini, Petrarca con prefazione
di Leopardi. La figura e l’opera di Agostino Gaudinieri va riconsiderata sia
come studioso che è riuscito a legare il rapporto tra cultura classica e quella
militare grazie alla sua fedeltà al mondo delle sue radici. La sua etnicità è
ben presente anche perché la sua “arte” militare proviene da studi profondi sul
rapporto tra la storia Occidente e quella Orientale.
Il
mondo Italo – albanese è stato sempre nel suo cammino. Un militare, dunque, la
cui identità è Arbereshe, un bibliofilo attento e un classicista che ha saputo
legare Parini, Petrarca e Leopardi nella sua formazione culturale scavata in
quella realtà che è stata il Regno di Napoli, un Regno di Napoli che ha sempre
saputo guardare, culturalmente e militarmente, al Mediterraneo. Proprio intorno
allo scontro storico tra Mediterraneo e mondo Anglosassone che si definiscono i
modelli culturali.
La Grande Guerra sul piano
linguistico è tutta da scavare attraverso delle letture che sono letterarie, ma
anche antropologiche e filosofiche. C’è da dire che uno dei maggiori interpreti
resta proprio Renato Serra. Il letterato in trincea. L’esame di coscienza di un
letterato che diventa l’esame di coscienza di una storia di un’epoca.
Cesellando
questi aspetti le prospettive si aprono su tre versanti.
1.
la lingua e l’etnia dal Risorgimento sino alla Guerra del 1911 (in questa
lettura la presenza di Giovanni Pascoli resta fondamentale).
2.
Il linguaggio del Futurismo sino all’Ermetismo oltrepassa il realismo dei
Capuana e dei De Roberto compreso Borgese e si ferma al linguaggio che prepara
il Fascismo.
3.
La lingua e le etnie tra il 1918 e il 1922: da un modello contadino popolare ci
si avvia verso un modello proletario – ideologico.
Dunque
la lingua e le etnie hanno avuto un ruolo fondamentale. Anche nel linguaggio
militare e tra i militari stessi. Qui è chiaro il torto di Pasolini di
sprigionare una lingua dialettale popolare prominente dal mondo contadino. È
emblematico il ruolo dei Futuristi nel non avvertire il concetto di popolare
come provinciale, ma di considerare i linguaggi e le etnie della Grande Guerra
come elementi di una letteratura universale.