Uno scrittore per una lingua che diventa
linguaggio etnico: Giuseppe Berto con la mia necessità di raccontarlo nel
centenario della nascita
di
Pierfranco Bruni
Lo
scrittore Giuseppe Berto ha lavorato su una griglia di linguaggi che hanno
sempre un riferimento antropologico. La lingua, per lo scrittore, in fondo,
resta sempre un elemento antropologico attraversato da una esperienza che non
è soltanto direttamente esistenziale, ma è anche giocata dentro i codici di un
vocabolario.
Tra
gli scrittori del Novecento, che hanno usato una struttura linguistica
abbastanza composita, oltre Gadda, Pasolini e Meneghello, c’è certamente Berto.
Il Berto de “Il male oscuro”. Una forma linguistica sperimentale dal punto di
vista strutturale, ma “enigmatica” nella proposta di un vero e proprio
vocabolario che usa la parola e la sintassi nella sintesi di un raccontare.
Tra
i suoi libri che maggiormente risentono di un apporto antropologico c’è,
certamente, “Il brigante”. Ma tutto il trascorrere linguistico di Berto si è
mosso da una esperienza che ha la sua precisa funzione antropologica. Questo
perché è stato sempre uno scrittore attento alle manifestazioni di una lingua
che ha giocato su due piani. Quello della tradizione quello della forza
innovativa.
Nella
sua “parola” ci sono esperienze ben vissute che vanno da Mogliano Veneto, città
natale, a Venezia stessa e da qui alle esperienze di espressioni umane e
culturali, la cui koiné è stata mediterranea.
Le
sue “guerre” nel Mediterraneo sono anche un intreccio di linguaggi. D’altronde
è in quel contesto che si fortifica la sua “azione” di scrittura e di
scrittore. A compilare il suo percorso composito di processo linguistico è
stato il suo vivere in Calabria e il suo abitare una lingua che Pavese aveva
già definito greca anche se il contesto geografico calabro di Berto è
abbastanza diverso dalla esperienza vissuta da Pavese.
Comunque
la varietà delle lingua e dei dialetti della Calabria sono una forza trainante
in quanto costituiscono un legame tra le lingue del Regno di Napoli e il
Mediterraneo.
Berto,
da questo punto di vista, si rivela abbastanza legato alla tradizione
mediterranea e credo che a cento anni dalla nascita anche questo sarebbe un
elemento significativo per approfondire il suo essere scrittore e la sua
necessità di scrivere come ho sottolineato nel mio libro a lui dedicato dal
titolo “La necessità dello scrittore”.
Forme
di linguaggio e luoghi rappresentano una vera e propria funzione etnica in
Berto. Si pensi all’atmosfera mediterranea de “La gloria” o a quella
completamente veneziana di “Anonimo veneziano”. Ma la lingua, in Berto, non è
mai una costruzione. È una identità che nasce in quell’appartenenza che è fatta
di eredità esistenziali e di parlate.
La Calabria lega le eredità
del padre con la terra che lo ha visto nascere. Un elemento antropologico
nell’essere antropologia dell’anima la sua scrittura. La lingua viene ad essere
frammentata per ritrovare la sua unitarietà nelle diversità dei linguaggi.