Gentili Colleghi e colleghe,
vi invio tre articoli sull'attività dello
Sprar di Martina Franca: il primo dal titolo "Il Festival della Valle d'Itria
apre le porte ai beneficiari Sprar di Martina Franca; il secondo
"Dalle villas argentine allo Sprar di Martina: il laboratorio
teatrale dell'attore German Basta e della psicologa Mimosa Rizzoni"; ed
infine il terzo: "Il primo giorno: storie dal laboratorio".
Con preghiera di diffusione e pubblicazione,
affinché le
attività dello Sprar possano essere conosciute da tutti e non solo dagli
operatori del settore.
Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro,
saluti
dott.ssa Antonietta Podda
giornalista e resp.
comunicazione Sprar di Martina Franca.
Il
Festival della Valle d'Itria apre le porte ai beneficiari Sprar di Martina
Franca
Festival della Valle d'Itria. L'evento tanto atteso a Martina ,
giunto al suo quarantesimo anno di vita, non è oggi conosciuto solo dai
martinesi o dagli appassionati di opere liriche, ma oggi è conosciuto anche dai
beneficiari dello Sprar di Martina Franca. E questo grazie e soprattutto alla
volontà e spontanea disponibilità del direttore artistico Alberto Triola.
L'invito è arrivato per caso. Dopo aver partecipato ad un'iniziativa comunale,
la visita a Martina dell'on. Cecile Kyenge, un'intera famiglia del Ciad, 6
componenti - dal più piccolo che ha 3 anni fino a suo fratello tredicenne
insieme alla sua mamma, e così pure alcuni rifugiati politici, tutti ospiti
dello Sprar, hanno potuto seguire le prime prove della “Donna Serpente”. In quel
momento era anche presente il direttore artistico Triola, che incuriosito ha
domandato informazioni sullo Sprar. Notando, osservando con quanto interesse e
curiosità gli ospiti dello Sprar- soprattutto i più piccoli - stessero seguendo
le prove dell'opera, ha invitato – tramite gli operatori - i beneficiari a
seguire le prove generali del Festival. Ed è così che alcuni di loro hanno
potuto essere spettatori della prova generale della “Donna Serpente” che tanto
successo di pubblico e critica ha riscosso.
E'
stata un'intensa esperienza che è stata concessa spontaneamente da un direttore
artistico che ha aperto le porte del festival, permettendo di conoscere anche ai
richiedenti e rifugiati una realtà che non è così comune in Sprar. Curiosi ed
entusiasti sono stati gli spettatori Sprar a questa “nuova” attività, che si è
rivelata anche occasione di conoscenza di una realtà con cui entreranno sempre
più in confidenza grazie ad un laboratorio attivato la scorsa settimana
dall'attore argentino German Basta insieme alla psicologa dott.ssa Mimosa
Rizzoni.
Dalle villas argentine allo Sprar di Martina
Il
laboratorio teatrale dell'attore German Basta e della psicologa Mimosa Rizzoni:
I
beneficiari dello Sprar di Martina Franca hanno iniziato un laboratorio teatrale
diretto dall'attore argentino German Basta e dalla sua compagna, la psicologa
Mimosa Rizzoni. Durerà circa tre mesi alla fine dei quali verrà prodotto uno
spettacolo. “L'idea – dice la dott.ssa Rizzoni - è quella di proporre
un'attività che non sia solo uno spazio contenitivo ma anche ludico ricreativo
per i ragazzi e che possano ritrovare nel gruppo una forma di svago e anche di
crescita rispetto a quella che è la lingua italiana, i nostri usi e costumi e
che possano mescolarsi armonicamente rispetto a quelle che sono le loro culture
ed usanze”. L'intento è anche quello di approfondire una conoscenza,
instaurare legami o rafforzarli: di “creare uno spazio fisico, psicologico e
mentale nel quale condividere e entrare in confidenza perché alla fine dobbiamo
farci conoscere e noi conoscere loro attraverso qualcosa di più sottile come il
teatro” continua la psicologa. E' necessario favorire il dialogo, perché
come spiega German Basta, i partecipanti “hanno i bisogni elementari coperti,
ma noi volevamo offrire qualcosa di più e che si raggiunge in gruppo, ossia le
emozioni... perché loro arrivano qui e forse non si conoscono fra loro. E quello
che produce proprio il teatro è l'incontro.” Incontro che c'è stato anche in
un'esperienza sociale l'ha definita German, quella teatrale condotta tra i
quartieri dimenticati, le villas di Rosario, quartieri dimenticati di una città
argentina poco distante da Buenos Aires.
“Un
successo” racconta “perchè nel formare i gruppi, i partecipanti non si
conoscevano tra loro. C'erano anche dei giovanissimi, soggetti vulnerabili.”
Il teatro è servito per unire le loro istanze, instaurare legami forti che si
sono poi consolidati nel tempo. Questo l'obiettivo del laboratorio che seguirà
le stesse modalità usate in Argentina, anche se poi i partecipanti al
laboratorio teatrale a Martina hanno percorsi e obiettivi di vita differenti:
devono imparare una lingua, rapportarsi ad una città che non conoscono,
instaurare legami con gli abitanti martinesi. In un'unica parola: integrarsi.
“Rafforzare o sviluppare l'autostima, il sentirsi parte di
qualcosa che non è scontato nel momento in cui vengono sottratti dal loro posto
e dalle loro radici, e inseriti in un grande contenitore in cui tutti parlano
cose che non avrebbero mai pensato di dover comprendere. L'aspetto psicologico
quindi serve anche in maniera velata sì a farli divertire, ma anche a far
irrobustire la loro presenza qui” spiega la psicologa.
Il
primo giorno: storie dal laboratorio
Tutti i
lunedì sera, i rifugiati e richiedenti a cui è destinato il laboratorio, si
incontreranno nello spazio di Artefranca, a Villa Carmine. Lunedì 7 luglio si è
svolto qui il primo incontro.
German
Basta e Mimosa Rizzoni hanno deciso per questo primo appuntamento di andare casa
per casa per raccoglierli tutti e guidarli fino ad Artefranca, che ha
messo a disposizione i propri spazi: “devi fare il porta a porta! Abbiamo
fatto una prima visita per informare tutti. Facendoci conoscere e riconoscere.
Dopo abbiamo fatto una seconda visita, per ricordare a tutti l'appuntamento
delle 9, lasciando loro una mappa di Martina Franca con il punto di incontro
evidenziato. Uno sforzo troppo grande, ma che vale la pena fare. Viene
sicuramente ripagato” dice German. E prosegue Mimosa “E' necessario far
vedere che non è un obbligo ma è un volerli far partecipare a qualcosa di
piacevole. E' un metterci noi in prima linea nel metterci a disposizione loro.
Non qualcuno che li aspetta ma che ha piacere che loro vengano e li va a
cercare, perché senza di loro questo laboratorio non si fa”.
Ma il
laboratorio, anche grazie alla loro determinazione è iniziato ed è stato
partecipato. L'attore argentino lo vede come l'inizio di un lungo ed
interessante cammino. Perché è importante il risultato, ossia lo spettacolo, ma
cosa ancora più importante – dice- è come ci si arriva ad esso, “tutto
quello che attraverso” e quindi il percorso che si segue.
Il
primo gioco sperimentato il giorno del primo incontro è stato quello della
conoscenza dei nomi. Un gioco semplicissimo, divertente con un obiettivo chiaro:
la conoscenza dell'altro. “Io ho detto che in teatro abbiamo due cose sicure:
che ho due strumenti, il mio corpo e il corpo del mio compagno”. Prima col
gioco avviene la conoscenza del nome, e poi sempre attraverso il gioco i corpi
si parlano attraverso degli stimoli. Si invita il compagno a prestare
“attenzione”. Non un'attenzione sul suo corpo ma sul corpo del compagno. In
questa semplicità, si produce una catena di atti. Il mio fallimento produce il
fallimento del gruppo. German segue i partecipanti, li guida. Mimosa all'esterno
osserva, appunta: “sono attenta a ciò che dobbiamo migliorare noi, a ciò che
dobbiamo potenziare noi affinché possano essere maggiormente positivi gli
incontri successivi. Ad esempio i giochi hanno fatto riflettere noi rispetto
alla condizione per cui si stanno riconoscendo come persone e anche come persone
che possono comunicare tra loro. All'inizio stavano tutti solamente con chi già
conoscevano. Alla conclusione dell'incontro, già tutti si prendevano in giro sul
loro nome o su quello che avevano fatto: il laboratorio genera una condivisione
che significa riconoscere se stessi e riconoscere anche l'altro, che non è così
scontato specialmente in realtà così complesse come queste”. Un esempio?
Spiega German “ iniziamo con le mani in tasca e finiamo con l'uno
sull'altro”. E spiega la psicologa Mimosa Rizzoni: “è un rompere
una barriera: è vero che il nostro corpo rappresenta un'identità,
cioè dove finisco io inizia l'altro. Però non è detto che questa delimitazione
debba essere una barriera tra me e l'altro. E attraverso il teatro si percepisce
questo: che non smettono di essere entità separate ma possono collaborare e
essere unite per fare qualcosa insieme. E loro l'hanno capito
immediatamente.”.
Antonietta Podda
link al podcast dell'intervista:
In allegato le foto che ritraggono i beneficiari Sprar
durante il primo giorno al laboratorio teatrale ad Artefranca, durante la prova
generale della Donna serpente, e durante le prime prove al Festival della Valle
D'itria.