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Giovanni Papini e la
ritrovata speranza
di Pierfranco Bruni
Giovanni Papini segnò un
percorso preciso nella storia della letteratura in quella del pensiero
filosofico del Novecento. Un percorso in cui la testimonianza diventa un
rapporto costante tra la vita e la letteratura, e la stessa letteratura,
diventa il più delle volte una dichiarazione esistenziale. Il saggio di Mauro
Mazza, edito da Pellegrini, dal titolo: “Uomo finito. La lezione di Papini”, focalizza
il percorso di Papini all’interno di un processo di idee che ha segnato la
volontà di una generazione non solo ad essere testimone, ma soprattutto
protagonista.
L’attualità e l’inattualità
sulle quali Mazza si sofferma, in una riflessione a tutto tondo su un Novecento
che comincia ad aprirsi ai nuovi “valori” e al nuovo modello di uomo: da quello
“finito” a quello della “rivelazione”, costituiscono la chiave di lettura in
una temperie che ha vissuto l’intreccio tra moderno e tradizione anche nel
contemporaneo. Ma andiamo per ordine su que- sto Papini di Mazza. La Tribuna fu la sua prima palestra e il suo primo cena- colo. Fu un laboratorio di idee e di
incontri. Significativo fu certamente il suo incontro con Giuseppe Prezzolini.
E significativi restano indubbiamente le esperienze e i contri- buti alle
riviste come Leonardo, La Voce, Lacerba, Il Frontespizio. Per Mazza La Voce resta un crocevia fondamentale del Novecento. E così è. Nella Prima Guerra Mondiale,
Papini, e Mazza cesella uomo infinito. La Lezione di Giovanni Papiniciò, occupò una posizione interventista. Al 1906 risale Tragico quotidiano e al 1907 Il
pilota cieco. Sono due volumi in cui vi campeggia una letteratura (ma
soprattutto una poetica) metafisica. Infatti sono dei veri e propri “racconti
metafisici”. Al 1911 appartengono i racconti racchiusi in L’altra metà e
all’anno successivo i racconti Pagine e sangue. Tra gli altri scritti non si
può non ricordare I testimoni della passione del 1937, Concerto fantastico del
1954 e alcuni scritti pubblicati postumi come La seconda nascita del 1958 e i
Diari. Pubblicò testi di poesia e numerosi testi di saggistica come Il
crepuscolo dei filosofi del 1906, Il mio futurismo del 1914, Stroncature del
1916, Italia mia del 1939, Santi e poeti del 1948, Il diavolo del 1953 e altri
scritti usciti postumi. Mazza si era già soffermato su Papini ponendo
all’attenzione una questione sia storica che esistenziale. Quella “penna
arrabbiata”, come afferma Mazza in un suo capi- tolo, costituisce l’anima
critica non solo di un intellettuale, ma di un secolo. È chiaro che uno dei
testi che segna inevitabilmente la vita di Papini è certamente Storia di Cristo
che porta la data del 1921.
Un testo vissuto
completamente sulla sua diretta esperienza umana e religiosa. È uno scritto che
pubblicizza sostanzialmente la sua conversione al cattolicesimo. Papini era un
ateo intransigente. La Storia di Cristo racconta appun- to il suo accostamento
alla religione cattolica. L’opera più conosciuta resta indubbiamente Un uomo
finito che risale al 1912. Si tratta di un’autobiografia in cui il narratore fa
una resa dei conti della propria vita. Così sottolinea: «Che cosa volevo
imparare? Che cosa volevo fare? Non lo sapevo. Né programmi né guide: nessuna
idea precisa. Di qua o di là, est od ovest, in profondità o in altezza.
Soltanto sapere, sapere, saper tutto. (Ecco la parola del mio disastro tutto!).
Fino d’allora sono stato di quelli per cui il poco o la metà non contano. O
tutto o nulla! E ho voluto sempre il tutto – e che niente sfugga o resti fuori!
Completezza totalità – più niente da desiderare, dopo! Cioè la fine,
l’immobilità, la morte!». L’anticonformismo che traccia la linea
dell’intelligenza dell’eresia. Mazza dedica un capitolo a “Prezzolini,
l’anticonformista”, un capitolo che si apre a chiavi di lettura significative.
In Papini d’altronde la consapevolezza della crisi è la ritrovata memoria. In
Storia di Cristo c’è questa ritrovata memoria che non è più attesa ma
coinvolgimento di una sperata e definita consapevolezza. Ma è proprio dall’Uomo
finito che si arriva al Cristo della Resurrezione. Mazza su questo si sofferma
con acutezza. I punti di maggiore riferimento sono in questi due testi che
“nascondono” una profonda e silenziosa “umanità”. Ovvero in Un uomo finito e
appunto in Storia di Cristo. C’è una tensione che non è soltanto letteraria.
Negli anni successivi questi due testi si apriranno ad una chiave di lettura
forte- mente esistenziale. Dalla crisi alla risoluzione della crisi.
Dall’impossibile vuoto alla pienezza dei contenuti. È questo il percorso che si
raccoglie in una metafora che si legge in un suo racconto dal titolo: Due
immagini in una vasca: «Quando la gioia mi assale con le sue stupide risa io
penso che sono il solo uomo che ha ucciso se stesso e che vive ancora. Ma ciò
non basta per farmi stare serio». Ecco, tra le idee sfreccianti, ciò che resta,
tra le altre visioni culturali e umane oltre il religioso senso della vita. In
un suo scritto (si tratta di una Introduzione a Lo specchio che fugge, raccolta
di racconti di Papini, Mondadori) Jorge Luis Borges scrive: «Potremmo
rimproverare a Papini il fatto che i suoi personaggi non vivono al di fuori
della finzione che successivamente animano. Questo è un altro modo di dire che
il nostro scrittore fu inguaribilmente un poeta e che i suoi eroi, sotto
molteplici nomi, sono proiezioni del suo io». Si tratta di una sottolineatura
importante perché ripro- pone Papini nella sua completezza e nella sua
complessità. E ripropone il Papini poeta. Ovvero la metafora della poesia
attraverso una tensione esistenziale che supera la fisionomia dei conflitti. In
una sua poesia Papini recita: «…Ma quando al finire del giorno/ ritrovo,
stracco e freddo, la fossa della strada/ nella mezzombra lilla del ritorno,/
sono il povero triste a cui nessuno bada». Con questi versi eravamo al 1917,
alle Venti poesie di Opera prima. Il Papini successivo non è soltanto lo
scrittore della “redenzione”, è anche lo scrittore di quel gioco nostalgico che
vive la malinconia del tempo su una dimensione che è anche, come ha sostenuto
Borges, intrecciata da quei segni fantastici fatti di crepuscoli e di sogni. Un
libro, questo di Mauro Mazza, che ci permette, in questo nostro tempo, di
rileggere e anche ricontestualizzare uno scrittore e un filosofo che supera il
tempo della leggerezza e della fragilità, per vivere e farsi vivere in quella
metafisica dell’anima tanto cara a Maria Zambrano.