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Il tempo passa? No, il tempo è già passato…
giovedì 10 luglio 2014

di Pierfranco Bruni





Nel tempo che passa la storia si incrocia con i destini delle nostre vita: Adolfo, Mariano, Italo, Gino, Pietro

Nel tempo che passa la storia si incrocia con i destini delle nostre vita: Adolfo, Mariano, Italo, Gino, Pietro

 

di Pierfranco Bruni

 

 

Sera di luglio. I giorni camminano tra le rughe e le pieghe dell’anima. I ricordi si fanno intensi, ma hanno dei bagliori di incertezza che attraversano i silenzi che circandono le pianure e le colline. Ci sono deserti ma anche azzurre distese.

Nonna Giulia muore giovane. 1949. Nonno Alfredo ha un’età antica. 1979. Il nove campeggia tra le loro vite. Come in quella di mio padre. I numeri non sono cifre. Me lo ha sempre detto zio Mariano che di geometrie, aritmetica e algebre era un maestro. Non insegnava matematica. Era un matematico.

Raccoglierò tra altre pagine i simboli che si definiscono nei numeri. Simboli. Archetipi. Modelli di esistenza. Perché anche in mio padre il nove ha la sua importanza? Sommo, sarebbe bello ragionare con zio Mariano su questo, numeri. 21 più 12 più 2012. mi spiego (ma che brutto dire mi spiego, lo so ma non posso farne a meno). Ecco. Tre. Tre. Tre. Uguale nove.  Il nove finale che lega nonna Giulia con nonno Alfredo sembra un gioco alchemico. Ma io credo alla cabala e alle vite sognate dagli sciamani.

Sempre bisogna fare i conti con i numeri. Zio Mariano mi direbbe che possono esistere numeri perfetti. Zio Gino mi spiegherebbe perché anche i numeri possono emozionare. Zio Pietro mi creerebbe una griglia geometrica intorno ai numeri e zio Adolfo mi sorriderebbe dicendomi “raccogliti nel silenzio e rifletti”. Mentre mio padre mi osserverebbe soltanto con quel suo sguardo puntato nei miei occhi e con in testa un basco nero.

Il nove. Non finisce qui il mio confronto con la sensibilità dei numeri. Ma guarda un po’. Io che sono stato sempre il “gaiuduro”, mi diceva zio Mariano, delle matematiche, ora mi ritrovo a raccogliere pezzi di cifre per cercare di capire. Ma cosa?

Il tempo è passato. “Ma dai, è un ragazzo, non essere severo…”. Diceva zio Pietro al fratello Mariano, discutendo su di me in un tempo in cui mi era saltato in mente di fare l’attore e mio padre, addirittura, per accontentarmi, mi aveva portato da un fotografo a Cosenza per delle foto in posa da spedire a un regista.

Erano anni di una ironia in cui gli anni sembrano non avere senso. Ma tutto ha senso.

Nonno Alfredo con i suoi occhi di antico nobile signore legge il suo quotidiano e non commenta. Riporta nella storia la cronaca. Ma per lui la storia si è fermata quando la Monarchia è diventata Repubblica.

“Cosa sarà mai questa Repubblica…”. Si chiedeva spesso. Ha letto i suoi quotidiani sino a qualche giorno prima di lasciarci e con quel suo sguardo da “Imperatore” non dava giudizi, ma bisogna leggere in ogni sua occhiata un pensiero, il pensiero. Per anni ha registrato l’economia di un paese, il suo, il mio, il nostro. E le terre erano la ricchezza di un destino.

Mio padre ha custodito quelle terre, con la sua vigna e il suo uliveto, sino a quando è riuscito a gestire da solo il tutto. Io non ho mai capito l’importanza della terra, delle terre… Forse questo è stato anche un dolore per lui, ma io non ho mai capito come non ho compreso tante altre cose. Ho vissuto, come tutti noi, in una famiglia ovattata, in parte attraversata da decadenze nobili come è naturale nelle storie, ma nobile in quella antica dignità e in quell’orgoglio che non smette in alcuni di noi.

Cerco di mettere in una conchiglia tutti i ricordi per farne echi nella mia vita. Nella nostra vita. Sono entrato in un’età dove si può tutto raccontare, perché il racconto non è soltanto memoria ma è cercare di comprendere cosa siamo e cosa siamo stati.

Sono stato a Cosenza. C’è una stretta alla gola ogni qualvolta percorro la vecchia Viale del Re. Ma tutto cambia? Già, forse per restare come è sempre stato? I Gattopardi conoscevano i destini delle stelle e don Fabrizio aveva il fascino misterioso dei numeri. Dialogava con le stelle.

Mio padre si intravede appena. Cacciatore di antico coraggio. Porta un fucile con la canna in su ed è nascosto dai rovi. Zia Gabriella ha un sorriso mediterraneo. Zio Pietro gioca con un filo d’erba.

Nel soggiorno di zio Mariano si discute. Mia madre è una costante telefonata del cuore.

“Siete sempre i soliti… La cena è pronta. Non vi chiamo più…”.

Passano gli anni. Mio padre cerca di intonare Claudio Villa accennando a “Granada…”. Mia madre resta fedele alla “Donna riccia…”. Forse si intravedeva in quella immagine di donna riccia. Zio Adolfo mi consegna il “Corriere dello Sport”.

I mondiali del 1966. Ah no… La Corea… io non avevo superato i dieci anni.

Il giorno dopo la partita con la Corea andai al mare con zia Teresa… Partimmo come se mezza famiglia si dovesse trasferire… È lì che ho rubato un pallone portandomi dietro la rabbia della sconfitta della Nazionale italiana con la Corea…

Poi ricomincia tutto.

Il tutto. Che vergogna? Alle Scuole medie mi affibbiano una sospensione perché lanciavo bigliettini amorosi alle compagne di classe… Interviene, come sempre, zio Mariano… Che menate piene di dignità… Il nipote di Mariano sospeso alle Medie… Ma poi mi fanno ritornare… C’era motivo di quella sospensione?

Gli uomini sono strani. Certi… Ma non gli pareva vero a quel professore di aver tra le mani un Bruni e portarlo davanti al Preside per chiedere una sospensione per un bigliettino che diceva: “Sei bella, ci vediamo…”.

Già, erano gli anni impossibili con una Media che è nata con la mia generazione in un paese sperduto e di sperduti tra i ritagli di una geografia della Magna Grecia. Sospeso per tre giorni. Poi agli esami di Terza media tutti si chiesero: come io, proprio io, avrei potuto scrivere un tema, straordinario e precis,o di Italiano sull’invasione russa a Praga. Eppure era mio quel compito. Ma di questi fatti è cola il mio destino scolastico.

La storia non è vero che non si ripete. Mio figlio Virgilio ed io ne sappiamo qualcosa al tempo del suo Liceo, ma questa è una pagina che racconterò a parte non risparmiando nulla ad alcuno ma è un’altra storia…

Ancora mia madre: “I piatti sono a tavola… Non vi chiamo più…”.

Eravamo i Gattopardi… Lo siamo ancora. Guai a non esserlo…

Quel professore che mi ha sospeso non sapeva che il Preside delle Medie era fraterno amico dello zione di Cosenza… Cosa voglio dire? Ci sono docenti…

I tempi cambiano? Ci vuole dignità in tutto.

Resto nella sera di luglio a raccogliere farfalle. Nel mio giardino, in Calabria, la palma ha superato le mura della casa, le rose hanno la fioritura di un giorno e le orchidee raccolgono il chiaro dell’alba per depositarlo nel crepuscolo.

Zio Gino con la sua voce paziente: “…vedrai troviamo una soluzione…”.

A cosa?

Zio Pietro fotografa il cancello che porta una data: 1929.

Zio Adolfo cerca ritagli di giornali.

Zio Mariano: “Mi raccomando, devi laurearti…”.

Mio padre: “Ecco non avevi ragione ma neppure torto. Solo che molte volte devi far finta di non ascoltare per andare avanti con il sorriso…”.

Mia madre, ricci e capelli neri, con la sua voce italianizzata, grida per farsi sentire e dare un senso al fatto che non è stata ancora ascolta: “I piatti… Italo…”.

 Il tempo passa? No, il tempo è già passato… I destini si incrociano con il mistero…




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