Racconto
ancora la mia Calabria. Cammino tra gli intagli delle vie che hanno segnato gli
spazi di infanzia. E tutto si fa memoria. Ogni paese sembra trincerarsi tra la
malinconia e la morte. Per chi è andato via è sempre così. Sarà sempre così.
Cerco di allontanare le nostalgie del labirinto nel quale si vive. Sono
invecchiato senza arrendermi pur accettando molte volte la resa. Non smetto di
ritagliare ricordi fissandoli in ciò che è la memoria. Appunto. Ma la memoria
può essere fatta di storia di storie di avventure di destini. Forse si.
Il castello ha ancora la sua maestosità. La chiesa accoglie e si recita la
domenica. La piazza incrocia le ore di passaggio. È stata sempre un passaggio.
Tanto tempo fa ci si dava appuntamento in piazza. Ci si vedeva. Nelle domeniche
giocavamo ai birilli. Io con una cinquecento gialla e poi con una mille e cento
rossa fiammeggiante eravamo i padroni di una giovinezza che pensavamo non
finesse mai... Eppure tutto è andato via.
Gli anni del Liceo sono stati una cerniera che ha chiuso un orizzonte di
pietra. Anni complicati ma vissuti con ironia tra i militi ignoti di alcuni
docenti che pensavano di possedere la verità. La verità è un tempo di rughe. Le
rughe solcano l'anima.
Poi sono venuti altri anni. L'università. Roma. I miei studi. La mia vita.
Scrivere scrivere scrivere.
Ma tutto passa.
Cammino ascoltando le voci. Le voci ormai sono un'eco. Forse mi sono
incamminato verso l'epilogo. Ed è bene che il marinaio che vive in me vada per
mare senza bisogno più di scrivere, ma ha bisogno di solitudine e di vivere
aspettando i riflessi della luna sulle onde.
Io sono ormai il vecchio che non ha paese e cerca un mare.
La luna mi indicherà l'onda alla quale affidare le pagine che ancora non ho
scritto e che forse non scriverò più.
La Calabria resta il mio viaggio e le rose del mio giardino hanno il vento dei
miei cammini. La Calabria resta il mio destino. Ma come il vecchio e il mare
attendo l'attesa...