Il lampione
T’aspettavo
la sera, sotto il lampione,
Ricordi Concettina
la tua gonna fiorita ?
Si ergeva
cadente il muro di un lamione,
Sorridevi ed
avanzavi un po’ intimorita
Sapevi l’ora
e dal tuo balcone di gerani,
innamorata
mi spiavi il cuore,
facevi ciao
ciao con le mani,
sul mio viso
spendeva il tuo candore.
Quanto tempo
, Cettina, è passato !
Quanto
silenzio caduto sul rimpianto,
Là vicino le
tombe del camposanto,
Ora , chissà,
il tuo cuore addormentato.
Più non
ricordi il profumo casalingo
né le
parole, i gesti, la civetteria,
poggiavi la
spalla sulla mia e solingo
cinguettava
di blà blà la periferia.
Abbracciati
su una parete dirupata,
era il
castello,il nostro, di sogni, alato,
davanti si
allargava una scarpata,
profumi d’erbe
vergini ,da ogni lato
Fremeva il
tuo corpo, dolce signorina,
si avvampava
il viso di rossore,
scendeva la
sera e dolce si sfarina,
il tuo
incanto di niente; era amore
Dolce
creatura dei miei sogni lontani,
Concettina,
dove sei ? Che fai ?
eravamo cosi,
mani nelle mani
Che
malinconia ! Chissà se sai !
Sapresti
rivivere il nostro sogno ?
Vecchia non
sei , signorina,
Ogni notte,
il viso agogno,
vedo te
bambola nella vetrina.
La luna
veleggiava nel cielo terso,
uno
sciaraballo strideva coi cerchioni,
là, lontano,
un punto solo, perso,
una carta
gialla sdrucita di maccheroni
Un
venticello sciorinava il suo violino,
un ragno
usciva dalla ragnatela,
un vortice ,
pampini, in un mulino
sopra di noi
il cielo, una candida tela.
Tu mi amavi,
io ti amavo,
scorreva il
tempo, passava l’ora,
lento fluiva
e raccontavo,
il naufragio
morto della controra
Ora vorrei
incontrarti , Concettina,
vicino
all’antica parete dirupata,
ti parlerei
di un male antico,
di una
musica oramai dimenticata.
Ti parlerei
forse della mia vita,
chiuso tra
le mura della mia casa
tu ballavi
con me la cumparsita,
l’alito tuo
fresco fin sulla cimasa.
Quanto tempo
è passato ! Che tristezza !
È giunta
l’ora forse del tramonto ?
Mi consumo
lento nell’amarezza,
dei giorni,
degli anni, ho perso il conto
Mi appari
carezzevole in questi versi,
come
fantasma nella notte scura,
resti sempre
una stella, nei cieli tersi
mi ritorna
l’ombra, ma non mi fa paura.
Sei a me
vicina, signorina di paese,
quel
caseggiato di case dimenticato,
sento tuo padre,
lento,ma cortese,
mi
raccontavi di un avo santificato.
Ti donavi.
Ero felice, tanto tempo fa,
spandevi a
me soltanto la tua malinconia,
Il tempo
passa e lento disfà,
sentivo
l’odore caldo di casa mia.
Tutto è
passato, anche la lontananza,
il fluire
lento di un fiume in piena,
niente potrà
colmare la distanza
Cade sul mio
cuore tanta pena.
Un dolore
invisibile, ma profondo,
la morte
avanza ed attendo il giorno,
unica fata
vera al nostro mondo,
resto solo
ed attendo mezzogiorno.
Tu non sai,
Concettina,il male dei poeti
Beata te !
Sei agile fanciulla.
I
sentimenti sono mari inquieti,
sognare come
un bimbo nella culla
Quante volte
ti rivedo , signorina,
Indovina che
fa il tuo ragazzo ?
Scrive e
scrive, vagheggia la sua bambina,
Nel tempo
galleggia solo un pupazzo.
Non
ricorderai il nostro passato,
intimo e
solitario il nostro amore,
un solo io,
ma tanto inebriato,
riapre le
porte il nostro cuore.
Eri bella
vestita di tulle bianco,
le scarpette
di fine seta,
ti ammiravo ,
non ero stanco,
eri acqua fresca
che disseta.
Gli aghi dei
pini sparsi sul terreno,
le formiche
in fila in processione,
tu sapevi ed
io fragile, ma sereno,
spuntava da
un buco un lumacone
Ho perso la
tua voce, Concettina,
i tuoi occhi
celesti di cerbiatta,
un sogno
lontano che si sfarina,
:Che tristezza
! Un vita cosi piatta.!
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La noia.
Sono stanco,
mi
aggredisce la noia di ogni giorno,
stessa
monotonia, levarsi e dormire,
sono
annoiato dell’inverno,
delle
primavere e delle estati,
ho visto
molti amici nella bara,
ho pianto
per loro in silenzio
Sono stanco
di vedere la luna ed il sole,
contare le
stelle, a sera
Cedo ogni
giorno qualcosa, lo so.
Mi nutro di
farmaci,
colesterolo,
glicemia, diabete
Non sono un
povero depresso,
ma un illuso
sconfitto,
un cavaliere
in cerca di un approdo,
non sono che
una pietra
di un
tratturo di campagna
una foglia
morta che il vento
trascina
lontano.
Leggo e
penso,
penso e
leggo, da mane a sera,
né mi giova
il volo delle rondini,
il canto
delle capinere.
Osservo le
mie povere piante nei vasi,
il vento che
pulisce i balconi,
sono stanco
del politichese,
delle
villanie, delle morti, dei terroristi,
ho visto
molto e ho scritto.
Nulla è
cambiato, la mia penna vuota,
il silenzio
copre Seneca, Virgilio
Lucrezio,
Ovidio e padre Dante.
Navigo
nell’indifferenza, nell’ozio,
nulla mi
giova e il niente avanza.
Vedo il
trionfo dei ciarlatani, le grida
dei
filibustieri i tanti falsi artisti farsi avanti,
i premi agli
scarpari, il trionfo della vanagloria
l’abbandono
degli innocenti
vedo, non
pongo ripari a nulla.
Il mediocre
vince sempre e squarcia le tenebre,
l’arrogante
avanza e si vanta,
gli
imbecilli, tanti si fanno valere.
Io resto
nel mio piccolo guscio
senza nulla
pretendere ed avere.
Non ho
piegato le ginocchia davanti ad alcuno,
ed ho pagato
caro il prezzo
del mio
fatuo orgoglio.
Sono stanco
e sfiduciato, privo di illusioni,
sughero
galleggiante.
Molti si
parlano in faccia e si credono
dei
padreterni, io resto solo nel mio cantuccio,
come una
pietra abbandonata delle Murge,
un gomitolo
di mentastri,
violentato
dal vento di tramontana.
Al altri
corone di alloro e coppe,
a me basta
la stima vera di un solo amico
la voce del
silenzio arcano in un casolare,
le guance
rosse di un bimbo
le
fanfaronate, le spacconate vincono e stravincono,
sempre cosi
è stato sotto il nostro cielo,
Sono stanco
di vivere una vita
curvo a
leggere e scrivere.
Non cambia
nulla. Se vado al camposanto,
mi sento un
sopravvissuto ai lager nazisti,
vedo tanti
parenti ed amici sorridenti,
nei
dagherottipi ogivali,
la data di
nascita e di morte.
Che
malinconia, povero cuore !
Mi ricorre
sempre “ ormai “ come fossi
un vero
fossile e la vita finita
Non ho più
voglia di perdermi nel dedalo
dei vicoli,
avvertire il profumo della penta
della
luipinella, del basilico.
Sono stanco,
si, lo sono.
Nessuno se
ne accorge
e
sopravvivo nel silenzio.