La
necessità e l’egemonia sono due concetti chiave che hanno caratterizzato il
pensiero politico (e filosofico) delle epoche di transizione. O meglio delle
epoche che si sono chiarite nel “valore” di “utilità” di un esercizio o di
“superfluo” di una azione.
Il
primo concetto è, chiaramente, machiavelliano. Il secondo è gramsciano.
L’esercitare
potere attraverso la politica è un manifestare una deviazione dell’idea di
filosofia. Gramsci ha cercato di creare e istituzionalizzare una filosofia del
potere servendosi dell’egemonia della cultura. Machiavelli ha posto in raccordo
il binomio bisogno – necessità dentro la espressione di virtù. Ma tra i due c’è
il fallimento politico del Dante del “De Monarchia”.
Un
filo robusto che lega il Rinascimento trascinandosi dietro il Medioevo della
distinzione tra gli “affari”, la politica e la morale del Dante ghibellino e il
marxismo letto da Gramsci del materialismo storico e dello storicismo oltre la
dialettica.
In
questa sintesi Machiavelli impronta e costruisce una visione della politica in
cui l’intreccio tra etica e morale assurge a conoscenza della virtù del potere.
A Dante era mancato il senso della virtù del potere perché legava la virtù
all’umano sentire e all’umana conoscenza.
Machiavelli
va oltre e pone all’attenzione, nell’umana conoscenza della necessità e del
bisogno, l’uomo della ragione. Da questo punto di vista è già più avanti della
cognizione illuminista e anticipa l’idea della ragione sacra, pur nella sua
contraddizione, che è nel fascismo. Diventa, anche filtrando Dante, il
precursore del fascismo regime.
C’è
un fascismo che resta legato al senso della morale di Dante, che è il fascismo
rivoluzione, ma c’è un fascismo che si ramifica in una filosofia della
contraddizione che è quella proposta dal Machiavelli de “Il Principe”.
D’altronde c’è un Mussolini che segue con attenzione la lezione di Machiavelli
e la fa sua in molte situazioni.
Nell’aprile
del 1924 sulla rivista “Gerarchia” Benito Mussolini pubblica una relazione –
saggio dal titolo: “Preludio al Principe”. Mussolini vede in Machiavelli il
senso dell’italianità. Siamo alle porte del fascismo regime.
In
più occasioni si è discusso su queste tesi. Aspetti che hanno aperto un
dibattito a tutto tondo e che ancora non hanno trovato delle sottolineature
definitive, comunque il problema continua a porsi.
Se
l’italianità di Dante aveva accompagnato il processo rivoluzionario, riformista
e cattolico e conservatore e tradizionalista, da Pascoli (con il discorso de
“La Grande Proletaria si è mossa” del 1911) al primo Gentile (del 1923)
subentra, immediatamente dopo, una “struttura” machiavelliana in una italianità
che si afferma come ragione e Mussolini, qui, disputa un ruolo importante.
Il
dialogo tra democrazia e libertà viene sostituito dall’attrazione tra ragione e
forza. Lo Stato Regime che individua Mussolini, dopo l’omicidio Matteotti,
perde le radici di un fascismo risorgimentale, mazziniano e socialriformista
nella temperie soreliana.
Machiavelli
incarna, sostanzialmente o meno, il precursore di una ragione “etica” del
fascismo regime e Mussolini, che conosce molto bene l’incontro tra politica e
necessità della ragione, utilizza il “canovaccio” de “Il Principe”.
Augusto
Del Noce in una conferenza del 19 aprile del 1969, tenutasi a Milano, su Mussolini
e il fascismo, ebbe a dire: “Si intende pure la sua sfiducia negli uomini, la
sua incapacità di comunicazione umana e di amicizia, e quindi il ricorso al
pessimismo di Machiavelli per sentire questa solitudine come forza; per questo
riguardo il suo ‘Preludio a Machiavelli’, del 1924, è tra le pagine che meglio
illuminano la sua personalità. Né c’è difficoltà a intendere come potessero
combinarsi in lui una straordinaria attitudine di parlare al popolo e di
trascinarlo in quanto massa, con l’incapacità di colloquiare cogli uomini in
quanto singoli, e di giudicarli”.
Mussolini,
infatti, fece sorgere il Regime intorno ad una chiave storica che è quella del
“pessimismo” applicata agli uomini e ai popoli. Il Regime cade nella metafora
del pessimismo della ragione.
Ora
se Machiavelli abbia rappresentato il fulcro del pensiero mussoliniano è tutto
da contestualizzare e l’affermazione non è applicabile completamente in una
filosofia del fascismo regime, anche perché lo stesso fascismo regime ha avuto
diverse anime: come il fascismo movimentista e rivoluzionario.
Ma
un dato potrebbe essere attendibile: nelle anime del fascismo regime quella
mussoliniana è molto vicina alla ragione della forza del pessimismo
machiavelliano.
Sarà
Gentile, fino al suo discorso finale su Vico del 1944, a insistere sulla
“dialettica” dell’attualismo. Ma Mussolini nel discorso di Milano era piuttosto
un Principe decadente che aveva già messo da parte la ragione della storia e si
era affidato al solo pessimismo degli eventi.
Resta
certo, comunque, che nel suo “Preludio al Principe” del 1924 ci sono tutte le
premesse di un Machiavelli della necessità della ragione e dell’obbedienza del
bisogno. Machiavelli precursore del fascismo? Mussolini, nella ragione del
fascismo regime, aveva tentato di legare Machiavelli a Sorel.