L’uomo di Itaca è inquieto, l’uomo di Damasco
porta la luce, il monaco e lo sciamano mi invitano al sorriso e don Eligio mi
ricorda il Libro della Sapienza nei giorni del Natale…
di Pierfranco Bruni
C’è la speranza
che ci salva. O è la salvezza della speranza che ci restituisce il sorriso
perso nel naufragio delle tenebre? L’uomo di Itaca è in cammino. Ma se l’uomo
di Itaca è in cammino l’uomo di Damasco ha raggiunto la meta.
C’è la saggezza
che va oltre la ragione. Sia la saggezza che la ragione sono
attraversamenti che soltanto la fede trasforma in Grazia. L’uomo del nostro
tempo non è più quello di Quasimodo chiuso nella sua carlinga. Resta, forse,
l’impeccabile creatore dell’uomo finito di Papini che vive gli orizzonti dentro
i propri tramonti. Io cerco, comunque, l’uomo della Grazia che è quello
tormentato tra le parole di Simon Weil ed esiliato di Maria Zambrano.
Quest’uomo cerca
la sua pietra angolare come la cercava Giordano Bruno. Non so mai la troverà.
Cercare e trovare sono due aggiunte al camminamento che ognuno di noi compie
nei giorni in cui il deserto si radica come sabbia d’ombra nelle anime.
Mi ha ricordato
proprio oggi don Eligio, un parroco che stimo molto e che riesce,
obbligandomi con la sua umiltà, a fermare la mia attenzione nell’ascolto, un
passo dal “Libro della Sapienza” che dice: “Le anime dei giusti sono nelle mani
di Dio”.
Le anime dei
giusti! Io provengo dal mondo cattolico e cristiano e il mio viaggio, lungo il
mio cammino, ha percorso altre strade, pur restando incollato nella
cristocentricità, che sono quelle misteriose, non meramente affascinati, dei
passi dei monaci tibetani che scavano l’anima del deserto.
Il mistero mi ha
portato a restare in contatto con un monaco tibetano e con uno sciamano che ha
saputo dialogare con le aquile e con le tartarughe, ovvero con la francescanità
della Natura. Alla preghiera del “Padre nostro che sei nei Cieli…”, mai
sostituito, ho aggiunto la contemplazione, il silenzio, lo sguardo illuminante
del guerriero della luce.
Sono convinto
che bisogna avere pazienza per superare l’oblio della coscienza. Bisogna non
giudicare ma ascoltare, osservare, attendere. L’attesa mi ha reso il cammino un
viaggio nella devozione, nella gratuità, nella provvidenza. Se la cristianità
insiste è perché non c’è la Ragione nella mia fede che è attesa Illuminante.
Il monaco
tibetano un giorno mi disse: “Non inquietare la tua anima cercando o
ricercando. Ascolta e se hai deciso di salire quindici gradini non farlo.
Arriverà il momento in cui la tua volontà ti chiederà di salire quindicimila
gradini. Quella volontà è dettata semplicemente dalla illuminazione che ha
toccato il tuo cuore. Se ti feriranno con una o tre spade. Non rispondere.
Aspetta fino a quando le offese arriveranno a tredicimila. Poi resta in
silenzio perché la pazienza ti ha già dato la volontà della sopportazione. Mai
della rassegnazione. Io ti dico, aggiunse il monaco, che la via dalla quale
provieni non è in contrapposizione con la via che stai percorrendo. In te il
mistero sarà fede e illuminazione”.
Ho confrontato
questo pensiero, che il monaco mi ha trasmesso, con le parole dello sciamano
che sempre mi accompagna. Non ci sono contraddizioni. Lo sciamano: “Vivi sempre
nella luce e quando le ombre faranno buio sulle orme dei tuoi passi non
preoccuparti, cammina perché il sole vincerà la notte”.
Perché mi sono
ricordato di tutto ciò? Perché è vero ciò che don Eligio mi ha scritto e qui
ripeto: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”.
La
Sapienza. Dovremmo avere il coraggio di “esercitare” la parola della
sapienza con la testimonianza. La sapienza non bisogna mai confonderla con la
saggezza. La “sapienza” per come la vivo è nel mistero che chiede alla teologia
di farsi parola orante e mai “spiegante”. La sapienza non trova le scorciatoie
della spiegazione di Dio. Dio sta anche nel sottosuolo e non soltanto in cielo.
Ed io che dialogo con il Dio illuminante non ho bisogno del rapporto tra
ragione e fede, ma tra mistero e rivolta.
Ed è in questi
giorni che, allontanandomi dalle assenze e dalle lontananze o dai distacchi,
ritrovo ciò che il monaco tibetano e lo sciamano mi raccontavano e non sono
affatto in contraddizione con ciò che mi ha indirizzato, nel suo messaggio, don
Eligio: “… nelle mani di Dio”.
L’uomo di Itaca
è ancora inquieto. Non so fino a quando potrà resistere a questa inquietudine.
L’uomo di Damasco è una luce. Il monaco tibetano e lo sciamano mi invitano
sempre ad essere l’impareggiabile guerriero del sorriso.