A 60 anni dalla morte di Rocco Scotellaro. Il 15
dicembre del 1953 moriva il poeta dei “Contadini del Sud”. Ritornano gli
inediti raccolti da Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi” curati da Gerardo
Picardo
di Pierfranco Bruni
Tricarico. La storia di Rocco Scotellaro. Il destino
di un poeta a 60 anni dalla morte. Rocco Scotellaro nasce a Tricarico, in
provincia di Matera, novanta anni fa. Muore a Portici sessant’anni fa. È
necessario ripensare il poeta delle “tomaie” e della madre che cuciva con la
sua “Singer”. È fatto giorno... Una pioggia a fili e un paese vuoto che
cerca a stento di ricordare. Un paese ormai come tanti di una Basilicata che si
raccoglie tra le pietre e le tondeggianti colline. Gli sguardi dei vecchi hanno
onde di nostalgia e sembrano raccontare fatti di secoli, avvenimenti
lontanissimi, giorni in cui appartengono ad epoche distanti. Eppure sono
passati solo pochi decenni.
E qui tra queste case, tra i vicoli stretti, in un
paesaggio di angoli affollati, la gente lo ricorda, perché è necessario
ricordarlo. Una strada dedicata a lui. La vecchia Via Roma. La casa natale,
lungo questa strada, con una lapide. Un’altra lapide ancora in una piazza dove
vi è il monumento dei caduti di tutte le guerre, una scuola che porta il suo nome.
Ma neanche un busto per dire che questo paese è il paese dove è nato e vissuto,
tutto sommato, il poeta.
Un libro dal titolo “Rocco Scotellaro. Poeta
del Mediterraneo contadino”, curato da Gerardo Picardo,raccoglie
testimonianze importanti e significative (per il Centro Studi e Ricerche
"Francesco Grisi"), oltre che delle pagine inedite dello stesso
Scotellaro, della madre Francesca, di Leonardo Sciascia e di lettere ancora di
Scotellaro indirizzate ai coniugi Leone - Padula. Il tutto si deve a Gerardo
Picardo.
Il poeta dei “Contadini del Sud”. Il poeta di “È
fatto giorno”. Il poeta di “Margherite e rosolacci”. Il poeta di “L’uva
puttanella”. E sì, voglio ricordare il poeta e non il sindaco. Voglio
ricordare: “Mamma, tu sola sei vera. / E non muori perché sei sicura”.
Rocco Scotellaro. Amico di Carlo Levi. Il Levi della
Lucania dai volti stanchi e dei paesi abbandonati in una conca di terra.
Tricarico. Si trova quasi a metà strada tra Potenza e Matera. Nel materano.
Percorrere la strada che va da Potenza a Tricarico è un penetrare la campagna
fitta, gli alberi che visualizzano immagini silane con la pioggia lenta e un
vento leggero ma pungente. Aria fresca e ancora volti contadini e contadine
nelle terre. E Rocco Scotellaro è ancora tra questa gente. Ma non lo si
riconosce abbastanza. È un qualcosa che c’è e basta.
Sulla lapide dove è nato si legge questa scritta: “A
Rocco Scotellaro - Sindaco socialista di Tricarico - Poeta della libertà
contadina”. Via Rocco Scotellaro, numero civico 37. Tricarico. E poi? Era nato
il 19 aprile 1923 e morto a Portici il 15 dicembre 1953.
Sono stato a Tricarico. Tanta solitudine e i versi di
Rocco nel vento e tra le margherite e i rosolacci e le ginestre avevano la
violenza del giallo. Il giallo da queste parti inonda le campagne. Le viti
basse e le terre hanno colori nell’arcobaleno. E questo paese dove “siamo
entrati in gioco anche noi/ con i panni e le scarpe e le facce che avevamo”
si raccoglie nella storia in questa Basilicata che sembra recintare la favola
dei contadini del Sud. Ma Scotellaro voleva renderla realtà, quella favola: “Noi
non ci bagneremo sulle spiagge/ a mietere andremo noi / e il sole ci cuocerà
come la crosta del pane”. Il fatalismo, il sonno, il sogno, la stanchezza:
“Ognuno ha le ossa torte /non sogna di salire sulle donne / che dormono
fresche nelle vesti corte”. Il racconto di un mondo che recita una
preghiera antica è nell’immagine di un paese che intreccia presente e memoria:
“Dormono sulle aie / attaccati alle cavezze dei muli”. “Si sente l’asina
nel sottoscala, / i suoi brividi, il suo raschiare./ In un altro sottoscala /
dorme mia madre da settant’anni”.
È tutto passato. Si potrebbe dire: è proprio passato
il tempo. Ma resta a filigrana una pioggia che tocca le pietre della piazza e i
vicoli dai quali, come fantasmi, compaiono gli uomini e vanno oltre. Ci sono
ricordi che restano e che si perdono. Ma ci sono ricordi che sono ancora
realtà.
I segni di quel mondo sono onde vellutate. Ci parlano
e le parole sono fiumi di silenzio che tracciano destini. “Ho capito fin
troppo gli anni e i giorni e le ore / gli intrecci degli uomini, chi ride e chi
urla / ... / Sole d’oro, luna piena, le ore dell’inverno / le mattine degli
uccelli a primavera / le maledizioni e le preghiere”.
È come se il tempo fosse ieri. Tricarico è immobile. E
nelle stagioni ascolta il vento. Il vento che viene da Portici. Lì, dove
Scotellaro è morto, lì dove cercava qualcosa di diverso dalle sue colline
tondeggianti e dal giallo delle ginestre.
Il tempo che cerchiamo in Scotellaro è il tempo della
poesia che vive anche tra le pagine di saggistica. Ed è quello lo Scotellaro
che lascia tracciati, che continua nella sua storia letteraria, che ci ha
spinto sino a Tricarico a vivere per un pomeriggio il fascino che non c’è mai
ma che si ascolta solo nei suoi versi e nelle sue malinconie.
Ancora sassi. Anzi più sassi. Un camminare lento.
“... ognuno canta una storia / e insieme viene
l’armonia”. “... il paese continua la sua storia / sotto il cielo
stellato a foglia a foglia / per chi parte se vuol ritornare”.
Tricarico deve riscoprire il suo poeta. E forse deve
amarlo di più. Si agita nella memoria, nei ricordi di alcuni o di molti; ma
occorre altro. Di più.
Si è fatto notte. Il giorno lo si è depositato dietro
i monti. Entriamo nella città dei sassi. Il caso o il destino? La prima strada
che incocciamo è quella che porta il nome di Rocco Scotellaro. Strano? È
il segnale preciso in questa terra di contadini antichi e di amori folli. Amori
folli.
Questa Basilicata è anche la terra di Isabella Morra,
la poetessa cantata da Benedetto Croce. Il castello di Valsinni, quelle strade
che angustiano. Un altro paese nella poesia e nei ricordi. Siamo stati anche
lì. In un’altra occasione. Il tempo scorre e traccia colori nella memoria delle
parole. Ma questa è un’altra storia che non so se racconterò.
“È
rimasto l’odore / della tua carne nel mio letto. / È calda così la malva / che
ci teniamo ad essiccare / per i colori dell’inverno”. Era il 1948 quando
Scotellaro scriveva questi versi. Il destino si fa avventura e i ricordi non
bastano più se la memoria non li raccoglie. Forse mi appartengono. Sono parte
di una mia storia. Della mia storia.