Le parole e il cammino della carità, della pace e dell’amore nelle
lettere di San Giuseppe Moscati ai genitori
di Micol Bruni
Sono stata di recente a Napoli. Dal Duomo al Gesù
Nuovo. La Cappella di San Giuseppe Moscati è nelle pieghe della sacralità della
mia vita. Quelle mani, quello sguardo, quella “statua” di San Giuseppe. I suoi
occhi hanno l’espressione della carità nella fede.
Dopo aver curato e scritto alcuni capitoli del
libro su Giuseppe Moscati, che ha avuto due edizioni, e la seconda arricchita
con altri riferimenti e presentazione di padre Massimo Rastrelli, non ho smesso
di riflettere sul “Cristo in Dio” di Moscati, annotando altri appunti. La
ricerca continua. Dopo diverse presentazioni, che abbiamo portato avanti, il
mio incontro con San Giuseppe Moscati trova altre luci. Le lettere che scrive
ai genitori per il Natale sono tasselli significativi.
Brevi e pochi scritti epistolari (direi sono
pagine rarissime) di Giuseppe Moscati (1880, Benevento - 1927, Napoli) dedicati
al Natale. Sono due lettere indirizzate ai genitori. Moscati aveva soltanto
otto anni nel 1888 quando scrisse la prima lettera, mentre la seconda è
dell’anno successivo.
Tra queste due lettere si immette una terza,
risalente al 1889, scritta, però, per la Pasqua. Le due lettere sul Natale hanno una tenerezza fortemente espressiva e si manifesta con delle parole delicate
come possono essere le parole di un bimbetto rivolte ai genitori. Ma c’è
commozione, una commozione che si esprime in una semplicità che è fatta di cose
naturali e di un senso di carità cristiana che non abbandonerà mai il pensiero
e il pensare di Peppino. Infatti egli si firmava proprio con il nome di
Peppino.
Nella prima datata “Natale 1888” tra le righe si legge: “Io prego Gesù Bambino, affinché vi conceda quella pace, che egli
promise agli uomini di buona volontà ed ogni altro bene in questa vita e
nell’altra”. È soltanto un passaggio che comunque, pur nella sua genuinità
espressiva, fa riflettere. Otto anni e Peppino imposta il suo pensiero in un
passaggio che è quello che riguarda la vita terra e la vita che va oltre.
Infatti scrive sottolineando “questa vita e
nell’altra”. Una maturità cristiana che lo condurrà ad una vita nella misericordia
e nell’accettazione dell’altro sempre all’insegna del Cristo che costituirà la
centralità della sua vita. Il Natale di Moscati è all’insegna del bene e della
pace. Due nodi che si troveranno intatti in tutta la sua problematica
esistenziale e professionale. Nella sua professione di medico il bene e la pace
interiore costituiscono la chiave di lettura di un confronto quotidiano con
l’altro.
Nei suoi “Pensieri”, che sono il ritaglio di
annotazioni, di spaccati di lettere, di appunti sparsi il valore della pace e
l’affermazione sempre del bene che vice sono incastri che provengono da quel
messaggio paolino che guiderà sino alla fine il suo cammino. Nel nome di San
Paolo.
Così nella seconda lettera datata “Natale 1889”. Annota subito: “Genitori diletti, è questo certamente il più bello, il più puro, il più
santo giorno del calendario, giacché esso ricorda la nascita del Divin
Redentore”. Siamo a Natale e Moscati, tra gli intagli delle sue parole,
annuncia già una simbologia che ha degli archetipi sacrali. La Redenzione. Il redimersi nel segno della divinità.
Mi pare che a nove anni Peppino abbia già
inquadrato non solo un percorso teologico ma pare che sia entrato nel viaggio
misterioso della cristocentricità che rappresenta il Divino Amore, ovvero la Chiesa di Gesù. Proseguendo nella sua lettera tocca tre elementi: nuovamente la pace, l’amore
e la felicità. Come per dire che non può esserci felicità senza la pace e senza
l’amore.
Tre enunciati di una concettualità che resterà
fondamentale in una vita vissuta come preghiera. Siamo uomini oranti che
aspettano ponendosi in ascolto. Sempre in ascolto. È questo uno dei messaggi
chiave di Giuseppe Moscati. Quando afferma semplicemente: “Babbo mio
carissimo, dolcissima mamma mia, vi amo, vi amo, tanto, tanto!…”,
immediatamente commenta: “Del resto questa espressione così breve e così
semplice, è piena di sublime eloquenza, giacché vi vien detta dal vostro
piccolo Peppino, il cui rispettoso e fervido affetto vi è troppo noto”.
Basterebbe quel “sublime eloquenza” per dare un
senso alla priorità dell’umanesimo che ha il cuore di Moscati. Cosa è il
sublime a nove anni? E cosa può rappresentare il concetto di eloquenza? Credo
che tutta l’esistenza terrena di San Giuseppe Moscati si sia basata su questi
termini che sono dei comportamenti, che sono stati dei comportamenti e che si
vivono nella fede, soltanto nella fede e il Natale delle lettere ai genitori di
Moscati richiama, perché no, la nostra sensibilità ai temi già citati che non
bisognerebbe mai dimenticare.
Giuseppe Moscati, non è soltanto un esempio o una
testimonianza, come si evince dal libro da me curato, per conto del Centro
Studi e Ricerche “Francesco Grisi”, dal titolo: “Giuseppe Moscati. Nella vita
nascosta con Cristo in Dio”, ma un misterioso incontro che non ci lascia perché
in ogni sua parola c’è una domanda che è una domanda di umiltà, di carità, di
pietà.
Facile definirlo il Santo medico dei poveri. È
stato anche l’uomo della profezia quando ha fatto una scelta culturale tra
carità e scienza, quando ha invitato a non mortificarsi nell’abbandono, quando
ha suggerito che Dio non lascia soli e l’uomo non deve lasciarsi aggredire né
dalla solitudine né dalle umiliazioni. E questa sua profezia è sempre
provvidenza.
Non può esserci carità senza il dono della provvidenza.
E per Moscati tutto è un dono. Come diventa un dono il pensiero che si
santifica pensando alla Pasqua che è bellezza. Nella Pasqua, dice Moscati, “Il
mio pensiero si santifica, si purifica, si idealizza, vola là nel Cielo”
(“Pasqua 1889”). Dalla Redenzione che vive nel Natale alla purificazione che si
idealizza nella bellezza del Cielo.
Uno squarcio in un linguaggio che è fatto di
grazia ma anche piccoli istanti in cui il vissuto della vita ha una sua
estetica. L’estetica della cristianità. Ecco perché sono convinta in questa
“sua” vita nascosta con Cristo in Dio. Non è solo un pensiero nel viaggio che
ha portato San Paolo alla conversione. È un messaggio in cui la fede supera i
confini del mistero stesso oltrepassando i segni della liturgia per fissarsi in
questa nostra vita oltre il finito.
Il Natale di Giuseppe Moscati ci invita a questa
riflessione: “Quando si ama il Signore non si sentono più pene e se ve ne
sono diventano dolci. Arrivando ad amare fortemente il Signore, si desiderano e
si amano i patimenti” (Moscati pronunciò queste parole a Pompei, come
risulta dalla deposizione della Sig.na Emma Picchillo). Una riflessione che ha
il senso del contemplante amore ma anche del vivere l’amore nel quotidiano.