John F. Kennedy
resta l’estetica nel mito e non un mito infranto oltre la Baia , il Vietnam e
Marilyn
di Pierfranco Bruni
Gli anni
sono passati e il tempo conserva le memorie oltre che i ricordi. Ma ciò che è
stato un immaginario si è subito trasformato in simbolo e il simbolo si è fatto
mito.
Perché
John F. Kennedy è diventato un mito? Abbiamo
molto discusso in queste epoche e si continua a discutere in questi giorni. Si
prende come modello la sua figura e il suo esempio è citato tra le storie delle
politica e la politica che con lui sembra perdere l’attualità per ritornare a
cinquanta anni fa.
Ho
cercato di rileggere la sua storia. Ho cercato di rivedere quelle immagini in
bianco e nero. Foto ingiallite e segni tra ricordi che tracciano generazioni e
una due tre vite. Non mi sono sfuggite quelle immagini e neppure le edizioni
straordinarie della Rai di quei giorni, ma in questi anni ho molto riflettuto
sul personaggio che si è mitizzato proprio in contesto in cui la storia
diventava immaginario.
Non si
tratta soltanto di una questione politica e neppure di un rapporto tra
personaggio e tragica morte e tanto meno posso dare semplicemente un senso
antropologico ad un uomo potente e giovane che resta nell’immaginario giovane
bello e decadente. Il personaggio che diventa mito dura e supera la storia nel
tempo.
Molti
di noi hanno cercato di imitarlo. Molti di noi, allora ragazzini, hanno cercato
di gesticolare con i suoi atteggiamenti. Ho fisso negli occhi la sua presenza
mentre scendeva dalla scaletta dell’aereo. Con la sua sicurezza, giovane
quarantenne, affascinante, con i tipici occhiali kennediani e i capelli
ciuffati al vento. Accanto la sua Jacqueline sempre impeccabile nella sua
armoniosa e sorridente attrazione. Non c’è dubbio. Hanno creato uno stile.
Lasciamo
perdere i tentativi di false imitazioni alla Veltroniana maniera o alla
Zapatero: in queste ore si sono cercati “prolungamenti” completamente fuori
luogo. Come è fuori luogo il veltroniano kennedismo politico. Sono “battute”
che lasciano lo spazio di una discussione al bar dello stadio. John F.Kennedy è stato Kennedy. Punto.
Può
piacere o meno. Posso e possiamo trovare tutti le schegge impazzite per
distruggere oggi il personaggio ma ne usciremo delusi e sconfitti. Se
cercassimo o se cercassi, meglio usare la prima persona, di scalfire la sua
immagine lo farei soltanto per invidia. Ricco, bello e affascinante, amato e
amante di belle donne, una donna a notte si dice senza avere riguardo per
alcuna: non posso parlarne male.
È
ancora un mito. Può piacere o meno. Posso condividere o meno la sua politica e
le sue contestate, da destra e da sinistra, imprese e ingerenze di politica
internazionale ma non può essere accerchiato dall’onda di filo-comunismo. Erano
altri tempi.
L’errore
della Baia dei Porci è stato fondamentale. Aveva visto bene ma non è stato
tempestivo ed stato, come si sa, spiato e tradito come sempre avviene. Non sono
giustificazioni le mie. La posizione degli Stati Uniti, in quegli anni, era
potenzialmente non solo strategica, ma ideologicamente preponderante rispetto a
Cuba e all’Unione Sovietica. Il Vietnam è un altro capitolo ancora bloccato
nella storia di una documentazione da rileggere. L’impresa dei missili era
nella funzione di una politica internazionale tra un Occidente democratico (o
repubblicano) e una fasce orientale comunista. È stato debole?
Kennedy
resta Kennedy. Il personaggio ha una sua imponenza, una sua forza, un suo
modello anche nei processi mediatici. Gli Stati Uniti d’America hanno commesso
errori peggiori rispetto al dramma e alla debolezza militare e politica della
Baia dei Porci. Non pongo giudizi di merito, ma continuo a riflettere sul mito,
sulla sua forza carismatica nei confronti di un immaginario che ha attraversato
dieci lustri.
E poi
la sua storia d’amante con Marilyn. Si sono amati? J.F. riusciva realmente a
perdersi nella passione di Marilyn? Ormai è diventato un personaggio nel
romanzo di un’epoca. Anzi, è diventato il personaggio di se stesso. La sua
assenza ha incarnato la presenza del personaggio e la sua morte non ha creato
un “caso”. Piuttosto è diventato il destino di un’avventura centralizzata dal
fascino del personaggio che noi abbiamo focalizzato come tale. Ma J.F. era già
di per sé un personaggio. Ogni suo atteggiamento diventava uno stile. Non
dobbiamo perdere di vista quest’aspetto.
Tutto
il resto è nelle cronache o nel ruolo delle politiche non solo americane. Tutti
abbiamo cercato di imitarlo. Tutti abbiamo cercato di immedesimarci
nell’estetica di quest’uomo. Il fatto, come accennavo, non resta legato
soltanto alla tragica morte perché altre tragedie si sono consumate davanti i
nostri occhi.
Ma J.F. aveva il senso
dell’estetica. Un’estetica che è diventata mito passando attraverso il simbolo:
al di là del bene e del male. Ancora oggi resto fisso nell’osservare i suoi
atteggiamenti, le sue movenze, i suoi gesti e guardo con attenzione l’immagine.
Cosa si nascondeva dietro
quell’immagine? Usciamo fuori da esiti psicoanalitici o da analisi
sociologiche. L’uomo di fascino c’era. L’uomo di fascino che, in pochi anni, è
diventato il personaggio di se stesso. E le donne, le sue amanti, la sua
elegante Jacqueline fanno il mosaico della sua estetica e quella sua estetica è
il mito non scalfito. E resta a raccontarci oltre le cronache la magia
conturbante o meno di un uomo diventato personaggio.
Non smetto di osservarlo. Senza
condanne e senza ammirazione. Ma ha dettato, in pochissimo tempo, i dettagli di
un’avventura ad un personaggi che ha segnato destini.
Quanta malinconia in quei suoi
occhi, il quel suo sguardo, in quel suo attraente disegno onirico… Ma
l’avventura – destino con Marilyn non aveva forse una attrazione tragico –
onirica nell’ironia che ha contrassegnato la sua morte?
Avrò modo di parlare di Cuba, della
Baia, del Vietnam, della Lunga vita a Fidel… ma J. F. resta, comunque,
l’estetica nel mito… e non un mito infranto…