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La pietra dell'alchimia di Antony Garçia
sabato 26 ottobre 2013

da csrbruni@alice.it




Ho avuto modo di conoscere Antony Garçia, il poeta del sublime, il poeta che faceva danzare le parole sui cocci di vetri appuntiti, il poeta che negli orizzonti dell’Occidente era riuscito a vivere il canto di un mondo Arabo e Andaluso i cui intrecci con

La pietra dell’alchimia del poeta Anthony Garçia morto recentemente. La sua poesia un omaggio alla pietra dell’alchimia di Tommaso D’Aquino. Il mistero e l’indefinibile amore nei suoi versi

 

di Pierfranco Bruni

 

 

 

Ho avuto modo di conoscere Antony Garçia, il poeta del sublime, il poeta che faceva danzare le parole sui cocci di vetri appuntiti, il poeta che negli orizzonti dell’Occidente era riuscito a vivere il canto di un mondo Arabo e Andaluso, i cui intrecci con i vari Mediterranei restano voci di fuoco, il poeta che si era affidato alla pazienza buddista per ascoltare le voci delle onde.

Una sua poesia recita proprio così: “Voci di scogli tra le lame delle onde./Poterti amare è già troppo./Non doverti amare/uccidimi./Se la mia prima notte di quiete/è restare con il mio viso sul tuo viso/rinuncio a definirmi distante”.

Ho conosciuto Antony Garçia. Ero a Lisbona. Presentava un suo libro, ma più che presentarlo aveva deciso di intavolare un suo discorso sul destino della parola, sull’incontro tra mistero e dubbio nella vita raccontando, in parte, la sua stessa vita. Non riuscivo a comprendere dove fosse il limite del racconto della sua vita vera e il gioco delle sue fantasie. La sua vita è stata sempre un gioco nell’intreccio delle fantasie. Mi ha insegnato molto. E a lui sono rimasto molto devoto.

Nella riservatezza, come preferiva vivere, ho cercato di leggere e studiare le sue poesie. Non ha mai amato essere considerato un personaggio. Ma personaggio lo è stato. Io ho il dovere di rispettare la sua riservatezza e se si vuole anche il suo anonimato. Il poeta, in fondo, vive la vita che immagina, che sogna, che affida, appunto, al mistero. A noi non è dovuto indagare e andare oltre. Questo mio saggio, nonostante tutto, è disubbidienza al suo pensare ed è, da parte mia, commettere un atto di infedeltà. Mi voglia perdonare. Almeno per questa volta.

Il poeta immagina e sogna la vita che avrebbe voluto vivere?

Ci sono due punti di riferimento forti che lo hanno sempre caratterizzato e guidato. Il mistero che supera il dubbio. L’indefinibile di un amore quando lo si vive. Cosa ha significato questo nella sua vita? Il mistero ha costituito la chiave di lettura della sua esistenza. Ha sempre cercato di superare il dubbio ponendo come premessa la non verità o meglio l’incapacità della ragione a spiegare non solo la vita, ma gli accadimenti della vita ed ho letto il suo viaggio esistenziale attraverso un rapportarmi costante con il mistero. Ovvero con la non spiegabilità dei fatti, degli avvenimenti e anche delle storie.

In fondo, Garçia, non ha mai creduto alla storia tout court e tanto meno alle giustificazioni che dovrebbero permettere di comprendere. “Soltanto il mistero/ha la luna piegata nel mio cuore./Se dovessi ascoltarmi/non consumerei un destino per una sola goccia/di alchimia”. Sono versi di Antony Garçia. E ancora: “Il buio non è dopo l’ombra./Il buio non è prima dell’ombra./Il buio è ciò che la ragione mi affida./Ho la pietra tagliata dalla luna/nel mio cuore”.

C’è da precisare che Antony Garçia è stato un attento studioso e conoscitore di Tommaso D’Aquino e soprattutto ha chiosato, parola dopo parola, il suo “L’alchimia ovvero Trattato della pietra filosofale”. Sole, luna, pietra, segreto, alchimia. Sono cinque riferimenti che hanno fatto della vita e della scrittura di Garcia un tracciato, nel segno di Tommaso D’Aquino, senza il quale è difficile poter addentrarsi nei suoi brevi e pochi scritti. Ma sono cinque angoli che formano il “Pentagono del Mistero della Luce dopo le Ombre nell’Alchimia”.

Si potrebbe chiamare a testimonianza, tra le altre, l’opera di Simon Weil, ma siamo oltre. In Garçia non c’è rapporto con le religioni occidentali. Non c’è una misura con la cultura prettamente occidentale e, pur studiando Tommaso D’Aquino, il suo pensiero è sempre rivolto all’armonia dell’incontro con la pietra dell’alchimia, ovvero, ancora una volta, con il mistero.

Finora ho cercato di cesellare il suo primo riferimento. Il secondo pensiero è riferito all’amore che si comprende soltanto quando non c’è più ed egli lo chiama indefinibile. Quando lo si vive lo si considera indefinibile e anche eterno.

Ma Garçia è convinto che non c’è nulla di eterno: “Mi chiedi se ti amerò con l’eco dell’eterno?/Ti rispondo dicendoti che tu non potrai amarmi sino all’eterno./Siamo partenze e non soste nell’infinito”. E poi ancora: “L’infinito non è in noi./Sei l’immancabile perseveranza di un amore che amo/nel finito”. Ecco la presenza della metafora che lega la quiete alla morte. Infatti quella prima notte di quiete non è altro che l’allontanamento dalla vita.

Notte e quiete sono metafore? Possibile, ma Garçia ha usato le metafore dentro il suo raccontare: “Se cerco la quiete/non è solo per me./Se ti propongo di ascoltare il tuo cuore/non è solo per me./Se raccolto un silenzio/non è solo per te./Non abituarti/vivi come se fossi una stella”.

Ho incontrato altre volte Antony Garçia. Alla Fiera del Libro di Santo Domingo. Poi a Tunisi. A Tunisi, come era nel suo solito, rinunciò a presentare il suo libro nella forma tradizionale. Chiamò un signore che stava nel pubblico e fece leggere alcune sue poesie presenti nel testo, che era oggetto di presentazione. Il signore imbarazzato e quasi incredulo lesse tre poesie (che qui propongo) e poi consegnò il libro a Garçia, il quale, invece, di cominciare a discutere restò seduto con attimi imbarazzanti di silenzio. Ad un certo punto disse: “Il mio incontro qui finisce. Io non ho da dire altro. Se il pubblico, dopo aver ascoltato questi miei versi, ha già compreso possiamo chiudere la serata. Se, invece, io non sono stato in grado di trasmettere nulla non c’è bisogno che voi perdiate altro tempo…”. Il pubblico, ancora una volta, sorpreso esplose in un applauso e cominciò così a tempestarlo di domande.

Fu l’ultima volta che vidi Antony Garçia. Ora non c’è più. La notizia della sua morte si è appresa soltanto oggi. Aveva appena 58 anni. Era nato nel 1955. Questo ebbi modo di saperlo dalla sua viva voce nel primo incontro a Lisbona. Ha raccolto le sue poesie in un solo libro che presto verrà dimenticato come egli stesso recitava: “Scrivere non è pensare/mai nulla permetterà di restare nella storia./Io sono un cangiare di nuvole e di nebbie./Ho chiesto che la pietra fosse luna/la rosa del deserto/fosse la tua bellezza./Il mio cammino/resterà la quiete/non prima e non dopo/dei segreti/nel giorno/unico/del mistero”.

Il suo unico libro porta come titolo: “La pietra dell’alchimia”. Si comprende che è un omaggio a Tommaso D’Aquino. Cosa dire di altro? Ci saranno altri articoli, altri saggi, altri studi in cui si parlerà di Antony Garçia. Nato in Spagna e morto chissà dove, la cui notizia si è saputa soltanto da una fonte riservata. Si riportano tre sue poesie presenti nel libro citato che sta per essere ripubblicato.

 

 

1. “Appartengo ai cercatori di lune

 

Per amore di verità

la verità

è soltanto un buco nel deserto.

Un nomade un giorno mi disse:

se dovessi scegliere tra la luce degli orizzonti

e la rosa del deserto

a chi tenderesti la tua voce?

Io non raccolgo

nelle mie tende i dubbi

ed ho subito risposto:

Appartengo ai cercatori di lune

quando le lune

compaiono e scompaiono

e la sabbia

ha il cerchio del sole”.

 

 

 

 

2. “La mia dissoluzione è la quiete

 

Se appartengo ai cercatori di lune le pietre

che girano

lungo le lancette del tempo

non sono un dono

ma una devozione.

La mia dissoluzione

è la quiete

che vira la tempesta

per restare scoglio nella notte.

E se tu amore mio

nulla hai compreso

è perché

non sei riuscita a danzare

nel cerchio

sotto la luna”.

 

3. “La tua consueta inafidabilità

 

 

Raccontami il tempo

tu che di tempo

conosci

le misure e le finzioni

io mai ti potrei raccontare altro

se non il mistero

che ha le ombre del mare.

Ma ti conosco

e troppo ho speso

per legare la mia fedeltà

alla tua consueta

inafidabilità”.

 




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