La pietra
dell’alchimia del poeta Anthony Garçia morto recentemente. La sua poesia un
omaggio alla pietra dell’alchimia di Tommaso D’Aquino. Il mistero e
l’indefinibile amore nei suoi versi
di Pierfranco Bruni
Ho
avuto modo di conoscere Antony Garçia, il poeta del sublime, il poeta che
faceva danzare le parole sui cocci di vetri appuntiti, il poeta che negli
orizzonti dell’Occidente era riuscito a vivere il canto di un mondo Arabo e
Andaluso, i cui intrecci con i vari Mediterranei restano voci di fuoco, il
poeta che si era affidato alla pazienza buddista per ascoltare le voci delle
onde.
Una
sua poesia recita proprio così: “Voci di scogli tra le lame delle onde./Poterti
amare è già troppo./Non doverti amare/uccidimi./Se la mia prima notte di
quiete/è restare con il mio viso sul tuo viso/rinuncio a definirmi distante”.
Ho
conosciuto Antony Garçia. Ero a Lisbona. Presentava un suo libro, ma più che
presentarlo aveva deciso di intavolare un suo discorso sul destino della
parola, sull’incontro tra mistero e dubbio nella vita raccontando, in parte, la
sua stessa vita. Non riuscivo a comprendere dove fosse il limite del racconto
della sua vita vera e il gioco delle sue fantasie. La sua vita è stata sempre
un gioco nell’intreccio delle fantasie. Mi ha insegnato molto. E a lui sono
rimasto molto devoto.
Nella
riservatezza, come preferiva vivere, ho cercato di leggere e studiare le sue
poesie. Non ha mai amato essere considerato un personaggio. Ma personaggio lo è
stato. Io ho il dovere di rispettare la sua riservatezza e se si vuole anche il
suo anonimato. Il poeta, in fondo, vive la vita che immagina, che sogna, che
affida, appunto, al mistero. A noi non è dovuto indagare e andare oltre. Questo
mio saggio, nonostante tutto, è disubbidienza al suo pensare ed è, da parte
mia, commettere un atto di infedeltà. Mi voglia perdonare. Almeno per questa
volta.
Il
poeta immagina e sogna la vita che avrebbe voluto vivere?
Ci
sono due punti di riferimento forti che lo hanno sempre caratterizzato e
guidato. Il mistero che supera il dubbio. L’indefinibile di un amore quando lo
si vive. Cosa ha significato questo nella sua vita? Il mistero ha costituito la
chiave di lettura della sua esistenza. Ha sempre cercato di superare il dubbio
ponendo come premessa la non verità o meglio l’incapacità della ragione a
spiegare non solo la vita, ma gli accadimenti della vita ed ho letto il suo
viaggio esistenziale attraverso un rapportarmi costante con il mistero. Ovvero
con la non spiegabilità dei fatti, degli avvenimenti e anche delle storie.
In
fondo, Garçia, non ha mai creduto alla storia tout court e tanto meno
alle giustificazioni che dovrebbero permettere di comprendere. “Soltanto il
mistero/ha la luna piegata nel mio cuore./Se dovessi ascoltarmi/non consumerei
un destino per una sola goccia/di alchimia”. Sono versi di Antony Garçia. E
ancora: “Il buio non è dopo l’ombra./Il buio non è prima dell’ombra./Il buio è
ciò che la ragione mi affida./Ho la pietra tagliata dalla luna/nel mio cuore”.
C’è
da precisare che Antony Garçia è stato un attento studioso e conoscitore di
Tommaso D’Aquino e soprattutto ha chiosato, parola dopo parola, il suo
“L’alchimia ovvero Trattato della pietra filosofale”. Sole, luna, pietra,
segreto, alchimia. Sono cinque riferimenti che hanno fatto della vita e della
scrittura di Garcia un tracciato, nel segno di Tommaso D’Aquino, senza il quale
è difficile poter addentrarsi nei suoi brevi e pochi scritti. Ma sono cinque
angoli che formano il “Pentagono del Mistero della Luce dopo le Ombre
nell’Alchimia”.
Si
potrebbe chiamare a testimonianza, tra le altre, l’opera di Simon Weil, ma
siamo oltre. In Garçia non c’è rapporto con le religioni occidentali. Non c’è
una misura con la cultura prettamente occidentale e, pur studiando Tommaso
D’Aquino, il suo pensiero è sempre rivolto all’armonia dell’incontro con la
pietra dell’alchimia, ovvero, ancora una volta, con il mistero.
Finora
ho cercato di cesellare il suo primo riferimento. Il secondo pensiero è riferito
all’amore che si comprende soltanto quando non c’è più ed egli lo chiama
indefinibile. Quando lo si vive lo si considera indefinibile e anche eterno.
Ma
Garçia è convinto che non c’è nulla di eterno: “Mi chiedi se ti amerò con l’eco
dell’eterno?/Ti rispondo dicendoti che tu non potrai amarmi sino
all’eterno./Siamo partenze e non soste nell’infinito”. E poi ancora:
“L’infinito non è in noi./Sei l’immancabile perseveranza di un amore che amo/nel
finito”. Ecco la presenza della metafora che lega la quiete alla morte. Infatti
quella prima notte di quiete non è altro che l’allontanamento dalla vita.
Notte
e quiete sono metafore? Possibile, ma Garçia ha usato le metafore dentro il suo
raccontare: “Se cerco la quiete/non è solo per me./Se ti propongo di ascoltare
il tuo cuore/non è solo per me./Se raccolto un silenzio/non è solo per te./Non
abituarti/vivi come se fossi una stella”.
Ho
incontrato altre volte Antony Garçia. Alla Fiera del Libro di Santo Domingo.
Poi a Tunisi. A Tunisi, come era nel suo solito, rinunciò a presentare il suo
libro nella forma tradizionale. Chiamò un signore che stava nel pubblico e fece
leggere alcune sue poesie presenti nel testo, che era oggetto di presentazione.
Il signore imbarazzato e quasi incredulo lesse tre poesie (che qui propongo) e
poi consegnò il libro a Garçia, il quale, invece, di cominciare a discutere
restò seduto con attimi imbarazzanti di silenzio. Ad un certo punto disse: “Il
mio incontro qui finisce. Io non ho da dire altro. Se il pubblico, dopo aver
ascoltato questi miei versi, ha già compreso possiamo chiudere la serata. Se, invece,
io non sono stato in grado di trasmettere nulla non c’è bisogno che voi
perdiate altro tempo…”. Il pubblico, ancora una volta, sorpreso esplose in un
applauso e cominciò così a tempestarlo di domande.
Fu
l’ultima volta che vidi Antony Garçia. Ora non c’è più. La notizia della sua
morte si è appresa soltanto oggi. Aveva appena 58 anni. Era nato nel 1955. Questo
ebbi modo di saperlo dalla sua viva voce nel primo incontro a Lisbona. Ha
raccolto le sue poesie in un solo libro che presto verrà dimenticato come egli
stesso recitava: “Scrivere non è pensare/mai nulla permetterà di restare nella
storia./Io sono un cangiare di nuvole e di nebbie./Ho chiesto che la pietra
fosse luna/la rosa del deserto/fosse la tua bellezza./Il mio cammino/resterà la
quiete/non prima e non dopo/dei segreti/nel giorno/unico/del mistero”.
Il
suo unico libro porta come titolo: “La pietra dell’alchimia”. Si comprende che
è un omaggio a Tommaso D’Aquino. Cosa dire di altro? Ci saranno altri articoli,
altri saggi, altri studi in cui si parlerà di Antony Garçia. Nato in Spagna e
morto chissà dove, la cui notizia si è saputa soltanto da una fonte riservata.
Si riportano tre sue poesie presenti nel libro citato che sta per essere ripubblicato.
1. “Appartengo ai cercatori di lune
Per amore di verità
la verità
è soltanto un buco nel deserto.
Un nomade un giorno mi disse:
se dovessi scegliere tra la luce degli orizzonti
e la rosa del deserto
a chi tenderesti la tua voce?
Io non raccolgo
nelle mie tende i dubbi
ed ho subito risposto:
Appartengo ai cercatori di lune
quando le lune
compaiono e scompaiono
e la sabbia
ha il cerchio del sole”.
2. “La mia dissoluzione è la quiete
Se appartengo ai cercatori di lune le pietre
che girano
lungo le lancette del tempo
non sono un dono
ma una devozione.
La mia dissoluzione
è la quiete
che vira la tempesta
per restare scoglio nella notte.
E se tu amore mio
nulla hai compreso
è perché
non sei riuscita a danzare
nel cerchio
sotto la luna”.
3. “La tua consueta inafidabilità
Raccontami il tempo
tu che di tempo
conosci
le misure e le finzioni
io mai ti potrei raccontare altro
se non il mistero
che ha le ombre del mare.
Ma ti conosco
e troppo ho speso
per legare la mia fedeltà
alla tua consueta
inafidabilità”.