Giacinto
Spagnoletti a dieci anni
dalla morte
Dalla Magna Grecia alla letteratura italiana ed europea
di Marilena Cavallo
Dalla
penna di Spagnoletti sono passati poeti e scrittori in una visione di letteratura
profondamente radicata sui territori. Tra il filo del romanzo mai descrittivo e
sempre calato all’interno di una psicologia dell’anima, le venature poetiche di
una nostalgia che non lo ha mai allontanato dalla sua Taranto e dai luoghi
della Magna Grecia e la critica letteraria costantemente legata alla ricerca
dell’interiorità degli scrittori e dei poeti l’opera di Giacinto Spagnoletti
(Taranto 1920 – Roma 2003) costituisce un punto di sicuro riferimento per
comprendere un Novecento letterario che continua ad occupare gran parte dello
scenario dei nostri giorni. Siamo al decennale della scomparsa di
Spagnoletti.
In che modo
si è accostato alla storia della letteratura una personalità come Spagnoletti?
Il suo incontro con gli autori italiani e francesi, soprattutto, è partito non
dall’analisi storica o critica ma da un legame che lo ha condotto ad esplorare
il linguaggio del Novecento come mosaico articolato di una sempre crescente
creatività, fantasia e poetica della metafora. Da scrittore e poeta si è
avvicinato alla storia della letteratura.
Credo che
questo sia stato un merito e un pregio soprattutto se si pensa già ai suoi
primi studi e al suo lavoro dedicato a Renato Serra. Su Serra ha lavorato molto
tanto che ha sviluppato la sua tesi di laurea alla cattedra di Natalino
Sapegno. Ma Spagnoletti è stato sempre lontano da incastellature ideologiche
tanto che il suo ruolo, parallelo quasi a quello cattedratico, è stato
caratterizzato dal suo considerarsi ed essere un critico militante.
D’altronde
Spagnoletti nasce culturalmente come scrittore di una pagina in cui la
psicologia della scrittura si incontra con la prosa d’arte. I suoi autori amati
sono stati Renato Serra, appunto, e poi scrittori come Italo Svevo, Pierpaolo
Pasolini, Sandro Penna passando attraverso Baudelaire e il suo “splen” e il
futurista Aldo Palazzeschi mai dimenticando le grandi lezioni di Giacomo
Debenedetti e Angelo Maria Ribellino.
Proprio
grazie alle lezioni di Debenedetti (sempre l’avventura e il personaggio senza
la prevalenza della rappresentazione del reale e dello storicismo) ha potuto
esprimersi con una prosa incisiva nei suoi tasselli lirici con 'Tenerezza' (1946), 'Le orecchie del diavolo' (1954), 'Il
fiato materno' (1971), e il fortemente lirico e nostalgico 'A mio padre,
destate' (1953), 'Poesie raccolte' (1990).
Da
Verlaine a Danilo Dolci Spagnoletti ha indicato alcune strade da percorrere per
tentare di entrare in un Novecento poetico abbastanza ampio e mai omogeneo.
Intorno a questi autori si è soffermato sulla prevalenza della grecità e
ionicità in autori come Raffaele Carrieri o come Michele Pierri in cui
l’universalismo lirico ha permesso di portarlo nel di dentro di una
contestualizzazione europea delle poetiche del Novecento sino a proporre una
chiave di lettura di Alda Merini. Ma in Spagnoletti non c’è mai una caduta
nella provincialità o provincialismo o nel tentativo di difesa dei poeti delle
radici o matrici sommerse.
I suoi scritti su Raffaele Carrieri hanno una visione articolata e
ci propongono una lettura tout court della poesia del Novecento che,
necessariamente, deve potersi confrontare con le poetiche europee. Il Carrieri
dei viaggi, il Carrieri della contaminazione artistica, il Pierri della
“religiosità pavesiana”, il Pierri contemplante, il Lorenzo Calogero della
corda del misterioso e il recupero del dialetto come lingua della poesia tra
Sud e Nord sono incisi indelebili.
I suoi studi ultimi, quelli dedicati alla poesia e al dialetto
della poesia, offrono una visione importante e ad intreccio tra la cultura
italiana quella mitelleuropea e quella direttamente recitata da Verlaine.
Spagnoletti, comunque, non ha mai cessato di essere l’allievo di Renato Serra.
Infatti i suoi scritti richiamano spesso la grande visione di un
Serra che ha raccontato la funzione dello scrittore e della letteratura in un
“esercizio” umano che è quell’esame costante della “coscienza del letterato”.
Spagnoletti ha inserito il suo mestiere di scrittore e di storico
del Novecento poetico italiano nella coscienza del letterato. Forse sarebbe
auspicabile una meditazione sul legame che Spagnoletti ha avuto con gli scritti
di Renato Serra. Un legame che lo ha accompagnato sino ad inserirlo nella
modernità linguistica di Raffaele Carrieri. Da Renato Serra a Raffaele Carrieri,
senza mai dimenticare le epoche precedenti e, in modo particolare, l’età del
Barocco.