Asmà e Shadi di
Pierfranco Bruni nel passaggio dal samsara agli archetipi dell’amore
di Anna Sturino
Breve, istantaneo, intenso. Lento, ricorrente, eterno.
Tutto e il contrario di tutto si addice all’amore, sostanza e forma, atto,
potenza e speranza della nostra vita, il vero significato che siamo in grado di
attribuirle.
È l’amore il protagonista di “Asmà e Shadi”, (“Asmà e
Shadi. Preziosa come la luna nel disincanto del sogno”, Pellegrini editore,
2013) per presentare il quale null’altro si dovrebbe usare che un’altra
poesia, perché poesia è, elevatissima, proprio perché si libra oltre la
concretezza dei due protagonisti che nel loro scambio continuo di sguardi,
brividi e silenzi disegnano la storia che ciascuno di noi ha vissuto (o forse
si è augurato di vivere), compreso un epilogo che si vorrebbe evitare con ogni
forza, ma talvolta è possibile.
“Se
preziosa sei stata
Ora non più
nel giardino delle lune cadute”.
Agli struggenti, eppure semplici, versi di Manuz
Zarateo, Pierfranco Bruni affida l’esordio del suo afflato poetico, lasciato in
particolare libertà a seguire Asmà e Shadi che da protagonisti della storia,
gradualmente divengono comparse dinanzi all’avanzare del loro amore, che
occupa, quasi ingombra la scena, come un prepotente primo attore che non lascia
spazio a null’altro, una volta alzato il sipario della vita, un palcoscenico in
cui tutti siamo chiamati a recitare la nostra parte, scegliendo di rischiare
nel rivestire il ruolo primario, ovvero di lasciarsi esistere sullo sfondo,
nell’ombra grigia e nebbiosa della vita senza amore.
Non è certamente casuale la scelta di ambientare
questo amore tra i profumi e i suoni dell’Oriente, se ha un senso ambientare
l’Amore, circoscriverlo se non un tempo, almeno in uno spazio riconoscibile ai
nostri stereotipi culturali, in grado di evocare immagini e reminescenze
sfocate, eppure precise.
Oriente, culla della nostra cultura, del nostro
linguaggio, delle nostre categorie mentali e semiotiche. Per quanto ormai
distante nel tempo e soffocato dallo spesso substrato della nostra articolata
filosofia, il mondo orientale suscita in noi un fascino al quale ci è difficile
sottrarci, proprio come non riusciamo a pensare di privarci della nostra
identità profonda.
L’Oriente è il palcoscenico privilegiato ed insieme
primordiale su cui, da un tempo antecedente alla nostra cognizione di tempo, si
eleva l’interrogarsi dell’uomo sul perché del mondo e della vita, sui grandi
temi etici, religiosi, esistenziali: quegli stessi che concepiscono la
conoscenza in ragione della salvezza e della liberazione dell’uomo dai vincoli
terreni, quella che consiste nel passaggio dal samsara¸ la vita
ingannevole e imperfetta di questo mondo, a quello del nirvana, la
Realtà vera, basica, assoluta, quella della sapienza originaria, pura, fondante.
Questo è lo sfondo, intatto, senza tempo, in cui pure
Asmà e Shadi diventano archetipi degli amanti di ogni tempo e di ogni luogo, indifferenti allo spazio e al tempo, liberi da ogni vincolo
umano, eppure così fragili e carnali, eterei, eppure caldi e appassionati.
Una eraclitea sintesi degli opposti che,
attraverso l'amore, rievoca e ridisegna la legge sottesa al mondo che risiede
nel rapporto di interdipendenza tra due contrari, che in quanto tali, lottano
tra loro ma, nello stesso tempo, non possono fare a meno l'uno dell'altra,
poiché l'uno esiste in virtù dell'altra.
Ciascuno dei due può essere definito solo
per opposizione, prima, e per sintesi, poi. Non esisterebbe Shadi, se non
dapprima contrapposto e poi fuso in Asmà, sua antitesi, mancanza e
completamento.
Nello scorrere dei versi, Asmà prende
gradualmente corpo e definizione solo in rapporto a Shadi, e viceversa: da
individualità opposte, antitetiche per antonomasia, progressivamente le due
entità corporee e spirituali si fondono fino a sancire il passaggio dallo
statico “essere” al dinamico “divenire”, dall’essere non al dover, ma al poter
essere, responsabili ed appagati da una scelta continua che si espone anche al
rischio del non essere, ma proprio in questo perpetuo volere trova la sua
essenza.
Ritroviamo lo Yin e lo Yang del pensiero
cinese, i due emblemi di ciascuna coppia di opposti che interagendo e dando
vita al nuovo, generano ogni Realtà e danno il vero accesso all’eternità,
attraverso la loro sintesi: la realtà diventa “consenso delle parti”, armonia
dei contrari, ordine consonante.
É quasi scontato il ripensare alle pagine
del platonico "Simposio", allorché Eros non viene descritto da
Socrate come un dio, poiché rappresenta un desiderio di raggiungere la bellezza
per effetto, evidentemente, di una mancanza.
Eros non é per questo perfetto come un
dio, ma un daimon, né divino, né umano o meglio, né solo divino, né solo
umano, che aspira in continua tensione a realizzare il bene, ovvero l'assoluto,
unico, perfetto, eterno e immutabile.
E torna in mente la famosissima narrazione
di Aristofane che esprime la sua idea di amore, raccontando il mito delle metà
con cui ci illumina sul potere di Eros che, a dispetto del fatto di non essere
un dio, è in realtà il più importante amico degli uomini, l’unico in grado di
soccorrerli e farli guarire dai mali dell’esistenza, soprattutto l’unico a cui
possiamo chiedere felicità.
Asmà e Shadi, allora, non solo individui,
ma archetipi di umanità che è sempre diversa, ma sempre identica a se stessa, quando
ama che è lo stesso che dire “quando sperimenta la felicità”.
Asmà e Shadi che sono pronti
all’itinerario magico della relazione, al viaggio che in realtà è una partenza
solo quando sono realmente consapevoli di se stessi: Asmà che, si è già
spogliata di fronte allo specchio della verità, donando a Shadi la propria
coscienza femminile.
“Tu mi conosci
e sai la mia storia, le mie nuvole, la
mia nebbia”.
Dal canto suo, Shadi è l’uomo che
eroicamente ha liberato la sua anima, scendendo agli inferi del proprio
inconscio, facendo i conti con le proprie paure, i propri errori, toccando il
fondo per riemergere, pronto a fondersi con l’eroina.
“Restami nell’incantesimo
Preziosa come la luna
Nel cuore dei deserti che ho camminato
Senza cercarti
Ma come destino ritrovato […]
Il sogno non teme il tempo
Nel tremore del disincanto”.
I due amanti, le due metà che
instancabilmente si cercano, dopo aver trovato se stessi preparano la sublime
armonia e perfezione della propria unione, l’unica possibilità di dare scopo
alla propria esistenza, la meta divina dell’autorealizzazione, il platonico
androgino, l’ermetico Rebis che emerge compositum de compositiis.
Anche Asmà e Shadi, proprio in quanto
archetipi dell’uomo e della donna, sottostanno alle regole e agli ostacoli
dell’amore che, per essere vero e completo, presuppone che gli amantes
pervengano all’incontro avendo percorso fino allo stesso grado di maturazione e
integrazione lo sviluppo della propria individualità.
Solo questa isocronia di percorsi
garantisce che Asmà e Shadi, l’Io e il Tu, siano perfettamente trasparenti
l’uno all’altra, in cui l’uno conosce l’altra senza parole, in una fusione
integrale eterna e divina.
“Ma sei amore, amore mio
Nell’orizzonte di pioggia
Nel colore di terre al sole.
Mai ti perderò
Concedimi il tuo silenzio nel mio
silenzio”.
Asmà e Shadi archetipi che rappresentano
l’uomo e la donna ideali, ma anche reali, l’uomo e la donna che non sempre
giungono all’incontro con lo stesso patrimonio derivante dal confronto con la
parte oscura di sé.
E allora quello stesso silenzio che evoca
l’amore vero è profondo, quello che non ha bisogno di parole, che è immediato,
senza mediatori, né mediazioni, tangibile, istantaneo, diventa macigno di
incomunicabilità.
Esseri veri, Asmà e Shadi, anche nella
sofferenza della disillusione, nella scoperta che illusorio può essere
l’incontro, se a dettarlo è solo la passione e non la consapevolezza di sé.
“Se tu mi parli
Ed io non ti ascolto
Non chiedermi
Perché il mio sorriso
Ha il sale del silenzio
Domandati soltanto
Se a scioglierti i capelli
È stato il vento
Della mia sera
O l’inganno del deserto.
Non mi ascoltare
Se non mi senti
Amore mio”.
Nessuno di noi può davvero leggere questi
versi senza sentire un nodo alla gola, un’emozione pervasiva e dolente, la
stessa sensazione di impotenza provata davanti ad una perdita definitiva, quasi
come se volessimo prendere le mani della persona amata tra le nostre e le
avvertissimo scivolose, incapaci di trattenerla. E del resto, perché
trattenerla?