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Lettera aperta a Papa Francesco
di Pierfranco Bruni

lunedì 23 settembre 2013

da csrbruni@alice.it




Sindacato Libero Scrittori Italiani

 

 

Lettera aperta a Papa Francesco

Io cristiano: Non mi trova con Lei a condividere una teologia del progresso che diventa cultura della prassi

 

di Pierfranco Bruni*

 

 

 

Santità,

in un tempo in cui le incertezze camminano lungo la via dell’anima, il cristiano, che è distante dalla Chiesa (mi deve concedere questa divagazione e questo mio vivere la cristianità senza chiesa come ha già sottolineato decenni fa Ignazio Silone), si trova a dover fare i conti con le lacerazioni che non sono soltanto esistenziali e spirituali, ma sono anche storiche e politiche (uso il termine politico senza alcuna derivazione o deviazione ideologica ma aristotelica).

Io non ho condiviso e non condivido, anche se ad ascoltare il Suo primo discorso mi era giunta una impennata di sorrisi, ma poi è scemata con il sopraggiungere di altre Sue considerazioni), la Sua apertura ad una modernità, che sembra calata in un “progressivo progressismo”, ed è come se la Tradizione si perdesse nella fragilità non del contemporaneo, ma di un relativismo che si razionalizza, “illuministicamente”, nel giungere quasi a patti con la modernità.

Non si tratta di essere conservatori o meno. Non mi considero tale se conservatore vuole significare soltanto custodire ciò che è stato e non avere la volontà o il coraggio di aprire le finestre che si affacciano alla realtà (avrebbe detto Aldo Moro). Piuttosto sono nel solco della Tradizione e del messaggio cristocentrico.

Santità,

Lei ha, sostanzialmente, una verità da trasmettere in un contesto di agguati alla cristianità e ai valori della cristianità. Ma occorre recuperare la cristianità proprio nel momento in cui i cristiani continuano ad essere massacrati, uccisi, derisi in tutto il mondo.

La questione di queste ore è una drammatica dimostrazione.

Ma Lei è solo. Il Suo linguaggio cattura il gregge? Ma quale? C’è un popolo cattolico che continua ad essere detentore di un manierismo di vivere la cattolicità con all’interno una visione razionalista della vita.

Non mi ha convinto, sono molto distante dalle parole che ha usato, e mi ha “urtato” la posizione del filosofo Vittorio Hosle da Lei nominato alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

Non può esserci fede in una tradizione razionalista; non sul piano teologico soltanto, ma soprattutto su quello filosofico: non siamo sulla riva del positivismo o addirittura del marxismo. Qui, dobbiamo restare in trincea per difendere e comunicare l’umanesimo della cristianità, altro che diffondere la “tradizione razionalista”.

Santità,

la posizione sulla famiglia, il rapporto tra valori e nuova società in transizione, la questione sulll’aborto, i matrimoni tra omosessuali, le ricchezze tra antichi capitali e capitalismo internazionale sono inquadrature nella storia, che si pone, tale inquadratura, come problematica nell’attualità; ed è giusto che sia una riconsiderazione in una temperie alla quale è stato concesso tutto, ma non Le sembra che una Sua posizione autorevole, basata sul ritorno al messaggio della Tradizione, possa far affrontare tali questioni, in una società cangiante ma con dei valori mai mutevoli, con una forza marcatamente  metafisica?

La Chiesa deve potersi aprire alle nuove istanze, ma Cristo, nel nostro tempo, deve dialogare non con un messaggio mediatico che dia il senso della accettazione o della resa nei confronti del moderno che ha allontanato gli uomini dalla Tradizione, bensì centralizzando una questione non teologica della “ragion pratica” soltanto, ma del rispetto di una reciprocità del diritto alla Tradizione.

Altrimenti sarebbe più giusto aprire una importante dialettica sulla rilettura del Nuovo testamento, a partire dalle Lettere di San Paolo. San Paolo non è moderno. Cosa può dire alle generazioni che vivono una società in transizione? San Paolo parla un linguaggio sì teologico ma profondamente filosofico. Perché sentiamo palpitante e attuale il pensiero di Seneca e la Chiesa , senza dirlo apertamente, sposta l’asse della discussione oltre Paolo?

Santità,

mi aspetterei da Lei un atto di coraggio che è quello di aprire una articolata dialettica sul pensiero di Paolo, ponendo in discussione tre elementi: la sua fortezza nell’essere conservatore e moderno per i suoi tempi; cosa è possibile non toccare del suo insegnamento e della sua missione oltre il concetto di carità e amore; quali sono gli elementi che non possono più essere condivisi nella società di oggi?

Dico questo perché mi sembra che si stia demolendo non una impalcatura o una struttura obsoleta della Chiesa come “Stato” o come Apparato, ma si stia trasformando il rapporto tra la religiosità paolina e il bisogno di una cristocentricità che deve essere riferimento nella contemporaneità.

Non si tratta né di attualizzare un messaggio che non può essere attualizzato né di rendere moderno ciò che non è moderno. Altrimenti tutti i Suoi sforzi, il suo linguaggio scisso tra conoscenze forti e linguaggio popolare resteranno vari.

Tutti sappiamo che il concetto di famiglia è mutato ma non possiamo predicare un’idea di famiglia e poi innovare il concetto di famiglia nella attualità. O si fa una discussione complessa e completa tra teologia e filosofia, tra Tradizione nel messaggio dei Padri e Tradizione posta in discussione nella contemporaneità. o altrimenti Lei raccoglierà folli applaudenti ma i dubbi, gli equivoci, le contraddizioni non solo resteranno, in una Chiesa, converrà con me, che vive di pavidi crisi, ma cresceranno.

Lei deve parlare a chi cristiano non è, a chi cattolico non è. ma deve anche confrontarsi con chi cristiano è e non trova più riferimenti nel mondo cattolico.

Santità,

Le sono sincero. Avevo posto in Lei tanta speranza. Le Sue parole all’invito di non perdere la speranza hanno una forte incisività. Ma mi lasci dire, con beneficio di inventario, che ascolto ciò come se fossero degli slogan. Mi perdoni per ciò.

Io vedrei un Progetto più ampio su un nuovo messaggio cristiano, su una nuova evangelizzazione, su un nuovo camminamento delle chiese, perché Lei è solo e non convince i “cristiani delle crociate” o “Templari contemporanei” quando si odono termini come “tradizione razionalista”.

Io ho fede. Ma sono distante, non è una contraddizione o un equivoco, molto distante da una Chiesa che non riesce a proporsi come Progetto complessivo di una nuova evangelizzazione. Non si possono aggiungere tasselli dopo tasselli. Abbiamo bisogno di riflettere, condividere o meno, il mosaico complessivo non di un nuovo modello cristiano, perché non può esistere un nuovo modello cristiano, ma di un nuovo approccio tra il messaggio cristiano nel tempo devastante della modernità.

Santità,

Lei può fare tanto sia per la serenità che riesce a trasmettere sia per la scuola religiosa alla quale appartiene, ma l’incastro filosofico tra religione e razionalità (“razionalismo”) è una impalcatura culturale, la quale viene meno nel momento cui io, da cristiano, mi pongo un problema di fondo che è quello tra cristianità, mistero e fede e non mi trova  in una condivisione della teologia del progresso e che può diventare cultura della prassi.

 

Con cuore da cristiano

Suo

Pierfranco

 

 

 

* Vice Presidente Nazionale Sindacato Libero Scrittori Italiani

 




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