Sindacato Libero Scrittori Italiani
Lettera aperta a Papa Francesco
Io cristiano: Non mi trova con
Lei a condividere una teologia del progresso che diventa cultura della prassi
di Pierfranco Bruni*
Santità,
in un tempo in cui le incertezze camminano
lungo la via dell’anima, il cristiano, che è distante dalla Chiesa (mi deve
concedere questa divagazione e questo mio vivere la cristianità senza chiesa
come ha già sottolineato decenni fa Ignazio Silone), si trova a dover fare i
conti con le lacerazioni che non sono soltanto esistenziali e spirituali, ma
sono anche storiche e politiche (uso il termine politico senza alcuna
derivazione o deviazione ideologica ma aristotelica).
Io non ho condiviso e non condivido, anche
se ad ascoltare il Suo primo discorso mi era giunta una impennata di sorrisi,
ma poi è scemata con il sopraggiungere di altre Sue considerazioni), la Sua
apertura ad una modernità, che sembra calata in un “progressivo progressismo”,
ed è come se la Tradizione si perdesse nella fragilità non del contemporaneo,
ma di un relativismo che si razionalizza, “illuministicamente”, nel giungere
quasi a patti con la modernità.
Non si tratta di essere conservatori o
meno. Non mi considero tale se conservatore vuole significare soltanto
custodire ciò che è stato e non avere la volontà o il coraggio di aprire le
finestre che si affacciano alla realtà (avrebbe detto Aldo Moro). Piuttosto
sono nel solco della Tradizione e del messaggio cristocentrico.
Santità,
Lei ha, sostanzialmente, una verità da
trasmettere in un contesto di agguati alla cristianità e ai valori della
cristianità. Ma occorre recuperare la cristianità proprio nel momento in cui i
cristiani continuano ad essere massacrati, uccisi, derisi in tutto il mondo.
La questione di queste ore è una
drammatica dimostrazione.
Ma Lei è solo. Il Suo linguaggio cattura
il gregge? Ma quale? C’è un popolo cattolico che continua ad essere detentore
di un manierismo di vivere la cattolicità con all’interno una visione
razionalista della vita.
Non mi ha convinto, sono molto distante
dalle parole che ha usato, e mi ha “urtato” la posizione del filosofo Vittorio
Hosle da Lei nominato alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.
Non può esserci fede in una tradizione
razionalista; non sul piano teologico soltanto, ma soprattutto su quello filosofico:
non siamo sulla riva del positivismo o addirittura del marxismo. Qui, dobbiamo
restare in trincea per difendere e comunicare l’umanesimo della cristianità,
altro che diffondere la “tradizione razionalista”.
Santità,
la posizione sulla famiglia, il rapporto
tra valori e nuova società in transizione, la questione sulll’aborto, i
matrimoni tra omosessuali, le ricchezze tra antichi capitali e capitalismo
internazionale sono inquadrature nella storia, che si pone, tale inquadratura,
come problematica nell’attualità; ed è giusto che sia una riconsiderazione in
una temperie alla quale è stato concesso tutto, ma non Le sembra che una Sua
posizione autorevole, basata sul ritorno al messaggio della Tradizione, possa
far affrontare tali questioni, in una società cangiante ma con dei valori mai
mutevoli, con una forza marcatamente metafisica?
La Chiesa deve potersi aprire alle nuove
istanze, ma Cristo, nel nostro tempo, deve dialogare non con un messaggio
mediatico che dia il senso della accettazione o della resa nei confronti del
moderno che ha allontanato gli uomini dalla Tradizione, bensì centralizzando
una questione non teologica della “ragion pratica” soltanto, ma del rispetto di
una reciprocità del diritto alla Tradizione.
Altrimenti sarebbe più giusto aprire una
importante dialettica sulla rilettura del Nuovo testamento, a partire dalle
Lettere di San Paolo. San Paolo non è moderno. Cosa può dire alle generazioni
che vivono una società in transizione? San Paolo parla un linguaggio sì
teologico ma profondamente filosofico. Perché sentiamo palpitante e attuale il
pensiero di Seneca e la Chiesa , senza dirlo apertamente, sposta l’asse della
discussione oltre Paolo?
Santità,
mi aspetterei da Lei un atto di coraggio
che è quello di aprire una articolata dialettica sul pensiero di Paolo, ponendo
in discussione tre elementi: la sua fortezza nell’essere conservatore e moderno
per i suoi tempi; cosa è possibile non toccare del suo insegnamento e della sua
missione oltre il concetto di carità e amore; quali sono gli elementi che non
possono più essere condivisi nella società di oggi?
Dico questo perché mi sembra che si stia
demolendo non una impalcatura o una struttura obsoleta della Chiesa come
“Stato” o come Apparato, ma si stia trasformando il rapporto tra la religiosità
paolina e il bisogno di una cristocentricità che deve essere riferimento nella
contemporaneità.
Non si tratta né di attualizzare un
messaggio che non può essere attualizzato né di rendere moderno ciò che non è
moderno. Altrimenti tutti i Suoi sforzi, il suo linguaggio scisso tra
conoscenze forti e linguaggio popolare resteranno vari.
Tutti sappiamo che il concetto di famiglia
è mutato ma non possiamo predicare un’idea di famiglia e poi innovare il
concetto di famiglia nella attualità. O si fa una discussione complessa e
completa tra teologia e filosofia, tra Tradizione nel messaggio dei Padri e
Tradizione posta in discussione nella contemporaneità. o altrimenti Lei
raccoglierà folli applaudenti ma i dubbi, gli equivoci, le contraddizioni non
solo resteranno, in una Chiesa, converrà con me, che vive di pavidi crisi, ma
cresceranno.
Lei deve parlare a chi cristiano non è, a
chi cattolico non è. ma deve anche confrontarsi con chi cristiano è e non trova
più riferimenti nel mondo cattolico.
Santità,
Le sono sincero. Avevo posto in Lei tanta
speranza. Le Sue parole all’invito di non perdere la speranza hanno una forte
incisività. Ma mi lasci dire, con beneficio di inventario, che ascolto ciò come
se fossero degli slogan. Mi perdoni per ciò.
Io vedrei un Progetto più ampio su un
nuovo messaggio cristiano, su una nuova evangelizzazione, su un nuovo
camminamento delle chiese, perché Lei è solo e non convince i “cristiani delle
crociate” o “Templari contemporanei” quando si odono termini come “tradizione
razionalista”.
Io ho fede. Ma sono distante, non è una
contraddizione o un equivoco, molto distante da una Chiesa che non riesce a
proporsi come Progetto complessivo di una nuova evangelizzazione. Non si
possono aggiungere tasselli dopo tasselli. Abbiamo bisogno di riflettere,
condividere o meno, il mosaico complessivo non di un nuovo modello cristiano,
perché non può esistere un nuovo modello cristiano, ma di un nuovo approccio
tra il messaggio cristiano nel tempo devastante della modernità.
Santità,
Lei può fare tanto sia per la serenità che
riesce a trasmettere sia per la scuola religiosa alla quale appartiene, ma
l’incastro filosofico tra religione e razionalità (“razionalismo”) è una impalcatura
culturale, la quale viene meno nel momento cui io, da cristiano, mi pongo un
problema di fondo che è quello tra cristianità, mistero e fede e non mi
trova in una condivisione della teologia del progresso e che può
diventare cultura della prassi.
Con cuore da cristiano
Suo
Pierfranco
* Vice Presidente Nazionale Sindacato Libero Scrittori Italiani