…in un tempo di
sguardi feriti e di mancanza di rispetto nelle trincee abbiamo il silenzio
come baionetta e l’ascia come linguaggio…
di PIERFRANCO BRUNI
Siamo
in un tempo di sguardi feriti. Non sono soltanto gli occhi ad essere colpiti.
Le parole vengono pronunciate per restare bellezza con il silenzio, e per
farsi macerie, pronunciandole nel momento della rottura del rispetto.
Bisognerebbe avere sempre rispetto per i viaggi non condivisi. Chi perde lungo
il suo dire l’orizzonte del rispetto ha già smarrito la lealtà, la fierezza
della dignità, il coraggio della coerenza.
Ci
sono sempre dettagli nella vita, come mi ha insegnato il mio amico Alberto. Più
piccoli sono tanto hanno la forza di togliere le ombre dalla visuale che ti
porti dentro. Puoi capire. È necessario. Puoi comprendere. È doveroso. Puoi
ascoltare sino alla sillaba dovuta o alla vocale mancante. È giusto. Ma il
vento d’altura non può trascinare la tua vela da una costa ad uno scoglio. C’è
un limite. Il limite non segna il confine. Come l’orizzonte non segna il finito
o l’indefinibile dell’infinito. Ma il rispetto per la propria storia, per il
proprio testimoniarsi, per il proprio mestiere è un legame imprescindibile con
un concetto forte che è quello dell’onore.
Quando
viene meno il rispetto per l’altro si sono già consumate gli abusi della
tolleranza. Ci sono due culture nell’epoca moderna che hanno straziato la
storia per la loro intolleranza e per lo sgretolamento del rispetto verso
culture altre, pensieri altri, processi emozionali altri: quella cattolica,
mondo diverso, completamente diverso, da quello cristiano, e quella illuminista
che si affida “razionalmente” alla ragione. In fondo il cattolico ha bisogno
della ragione per darsi una giustificazione.
Entrambi
i processi storici nascono dalla mancanza di rispetto nei confronti
dell’eretico (parola importante per il sublime dell’intelligenza che non si
accoda al gregge) e di chi coltiva l’estetica della metafisica. Siamo in un
campo non minato. Ma questo campo è di chi conosce la filosofia dell’anima per
averla attraversata e per essersi lasciato attraversare con la pazienza, con la
devozione, con l’ascolto. La mancanza di rispetto non è mai ribellione e
neppure rivolta. Camus ha insegnato le differenze e Maria Zambrano bisogna penetrarla
per lasciarsi raccogliere dal suo esilio.
Siamo
in un tempo in cui la provvisorietà dei linguaggi è una provocazione dei
saperi. Ma ci sono “intellettuali”, uso un termine gramsciano a me non caro
come non è parte integrante della mia scuola di pensiero lo stesso Gramsci, che
agiscono come se avessero la verità nel linguaggio.
Ma
chi è l’intellettuale? Storica domanda. Leonardo Sciascia aveva perfettamente
ragione nel dire che l’intellettuale deve restare sempre contro perché sa di
poter “ragionare” con il proprio sapere, attraversandolo e portando avanti la
capacità dell’opinione. Ovvero la capacità di fare scuola, di essere scuola
(nulla a che spartire con la realtà degli istituti scolastici e dei suoi
apparati). Di essere altro e non reputarsi un semi-colto proveniente dalle
antologizzazioni che sono aspetti diversi dalla ontologia del coraggio di
esprimersi, comunque e ovunque, con il rischio sempre di essere impopolare.
Bisogna
essere impopolari per riscrivere il tempo dell’uomo e non degli addestrati e
addomesticati ripetitori di libri già conformati secondo schemi di culture
intolleranti. Il rispetto proviene anche dal coraggio di mettersi in gioco
sapendo di rischiare tutto, ma sapendo anche di conoscere, di avere
consapevolezza, di restare sempre se stessi. Ma come si fa ad “essere” un
“essere” tale?
Ci
sono tre cattive strade in letteratura, oltre alle due vie culturali già
indicate, che provengono dall’aver consumato il concetto di poesia su un
personaggio come Dante che non è poeta, ma un cattivo teologo (ho cercato di
dimostrarlo in più occasioni), Manzoni che, come i convertiti
all’intolleranza, ha tentato di confondere la bellezza di Don Rodrigo con il
paesanuncolo Renzo e la brutta Lucia con l’intensità della monaca di Monza,
Carducci che, animalista fino in fondo, ha dichiarato eterno amore al suo bove.
Ormai questa letteratura fa ridere i capponi di don Abbondio.
Anche
in ciò c’è mancanza di rispetto. Gli Inni a Satana del colto Carducci sono il
brutto nella giustificazione di una letteratura cattolica che non si è mai
guardata nelle antologie scolastiche. Le classifiche dei gironi danteschi sono
l’imposizione di un cattolicesimo occidentale che punisce ma permette di
peccare, perché ti invita al perdono. Manzoni? Bisognerebbe conoscere la storia
della sua vita per raccontare il Fermo e Lucia o con altri titoli. Perché la
letteratura è la vita. Il maestro D’Annunzio è un maestro di stile e di
rispetto nelle intolleranze altrui.
Ma
la storia continua, perché fino a quando i pappagalli resteranno addomesticati
mica si può conoscere il vero destino dell’antirealista Pavese? Questa è
un’altra avventura? No. Nella vita ci vuole stile. Ma occorre, per essere veri,
nel rispetto la coerenza.
La
coerenza non è il gioco del cosa vediamo o del cosa vedono gli altri. No. Io
vengo da una “scuderia” che ha fatto della dignità e della libertà il proprio
esistere: da Giuseppe Berto a Nantas Salvataggio, da Francesco Grisi ad Alberto
Bevilacqua e prima da Giovanni Papini a Giuseppe Prezzolini, da Robert
Brasillach a La Rochelle, da Mishima a Maria Zambrano, da Cristina Campo a
Grazia Deledda, da Rumi a Musashi sino a Lin – Chi… Tutto il resto è
provvisorietà persino il dialogare tra il cattolicesimo e la ragione degli
Illuministi.
Ciò
detto: io non sono un cattolico nell’intolleranza del cattolicesimo e tanto
meno un illuminista nell’intolleranza della ragione. Ma sono fedele sempre a me
stesso. Già, siamo in un tempo di sguardi feriti ma nelle trincee abbiamo il
silenzio come baionetta e l’ascia come linguaggio.
A
volte, e questo è importante, bisogna anche fare a meno della pazienza per non
lasciarsi aggredire dalla pochezza irrispettosa dell’altro.