Io e San Francesco di Paola camminiamo per le strade
di Grottaglie ricordando i nostri viaggi
di Pierfranco Bruni
Cammina
con passo lento. Bastone lungo. Sembra una canna robusta che sorregge un
corporatura alta, con la pesantezza sulle spalle. La barba bianca. Lunga. Occhi
che fanno tremare nello sguardo che cattura l’invisibile. Il Santo di Paola. Ha
attraversato le vie della Calabria. Ha velato il mare di Sicilia. Lo Stretto
con i fantasmi del mito.
Ha
contrapposto la fede alla ragione e il sacro vince il male. Ci vuole fede. La
fede è carità. Mai vanità. La fede è certezza. Mai parole di pena. La fede è
l’attraversamento dei deserti anche dopo Damasco. Mai predisposizione alla
professionalità del mistico.
È
giunto a Grottaglie. Tra le strade lastricate dai Latini e fardelli di radici
greche. Ha plasmato la creta. Sa che nella roccia c’è il respiro della terra.
Conosce il suo giaciglio nella grotta. Paola è incatenata nei passaggi rupestri
che il Santo ha abitato.
Il
suo Tirreno è Magna Grecia che ha visto Enea percorrere le isole sino a
giungere nella città di Romolo e Remo. La Calabria è San Francesco di Paola che
respira tra i mari sino a toccare il vento e i palazzi della Francia. Napoli è
un abbraccio e ti accoglie con i suoi accenti arabi.
Il
ponte che si apre, quello di Taranto, ha la devozione del paolano. Grottaglie
non è un immaginario. La storia non fa i conti con la cronaca quando c’è la
santità che si rivela.
Allora.
È giunto a Grottaglie. Qui la Magna Grecia è l’Ulisse ma è anche il passo degli
elefanti di Pirro. Ennio è archeologia, un’invenzione o una verità?
L’archeologia è sempre leggere i frammenti, interpretarli e tradurli
riportandoli nella storia. Ma Francesco è Rinascimento. Non è archeologia.
A
Grattaglie annuncia il barocco di Giuseppe Battista. Battista dedicherà al
Santo, che porta inciso sul petto la “Caritas” della rivelazione cristiana, le
poesie più belle del mazzo che si sono conservate. C’è teologia ma anche la
fede nel magico ascoltare il tempo che si allunga nei secoli.
Giovanni
Paolo II aveva fatto suo il peregrinare del paolano e da Paola invita ad amare
sempre di più la spiritualità della grotta di Francesco. Si è detto che in
Francesco c’è del taumaturgo. Vero. Questo mi incanta, perché la taumaturgia
supera le religioni e si incasella nell’antropologia dei cristiani che
raccontano Cristo con la preghiera ma senza la predica.
Dunque.
Grottaglie. Ha mai abitato il saliscendere dei gradini delle ceramiche? Con la
sua barba bianca e il lungo bastone indica lo spazio della sua Chiesa, del suo
Chiostro, del Convento. Non un luogo sacro soltanto. Ma il tempo
dell’accoglienza è nel tempo dello sguardo in un volto che non deve temere
l’inquietudine.
Più
volte ho incontrato San Francesco di Paola. Da sempre è nella mia vita. Nella
storia della mia famiglia. I nonni, mia padre, mio padre, i miei figli. Mio
padre è morto con il desiderio di essere portato per l’ultima volta a Paola.
Non ho avuto mai tempo e il tempo si è spezzato.
Il
Santo, osservandolo, l’altra sera, nella Chiesa di Grottaglie, mi ha guardato
con uno sguardo severo. Questa volta non mi ha detto nulla. Ma il suo sguardo
severo mi accompagna. Più volte l’ho sfidato. Ci siamo combattuti. Mi ha sempre
accolto con i suoi occhi di spada. L’ho sfidato un due aprile di due anni fa e
mi ha concesso una via. L’avevo già sfidato anni fa cercandolo nella grotta di
Paola e mi ha salvato.
Il
suo sguardo salva sempre, non giudica, ma ha la severità dei padri autorevoli.
Ci sono destini. Ma anche religiosi incontri. Francesco Grisi molto devoto al
Paolano ha vissuto il travaglio di San Francesco. È andato in coma il venerdì
santo di un due aprile ed è morto la domenica di Pasqua. Aveva tra le mani due
immaginette: nella destra quella di San Francesco di Paola. Nella sinistra di
San Giuseppe Moscati, il medico Santo di una Napoli nel cerchio della
partenopeità popolare e religiosa.
A
Grottaglie mi ha accompagnato quotidianamente da quando abito questi luoghi
della Puglia. È il mio Santo. Non mi commuove ma mi offre sicurezza. È l’unico
riferimento che temo quando i miei occhi incontrano i suoi. Certo a Grottaglie
ha vissuto lunghe epoche e se ancora ha la sua energia è perché ha la forza di
trasmettere i suoi racconti non fermandosi mai davanti agli ostacoli.
Ha
il vento dei mari e dei monti della Calabria che lo spingono ancora a
viaggiare. Il Principe dei marinai e degli artisti. È giunto a Grottaglie per
recitare la penitenza e ha trovato la fedeltà. Mi ha insegnato che in ogni
gesto infedele non c’è alcuna punizione. Non esistono punizioni o peccati.
Esiste la verità che non viene imposta. Ma deve toccarti. Come una grazia.
Mia
figlia è stata battezzata a Grottaglie, sotto lo sguardo di questo Santo, in
una chiesetta nel Chiostro. Non tanto tempo fa. A Grottaglie. Soltanto ieri. Ma
lo vedo ancora camminare. Noi che la Calabria la portiamo nell’anima,
nell’anima resiste, perché il miracolo è il messaggio di una tradizione. Con il
suo bastone, con la barba bianca, con il cordone e la sua tunica di monaco dei
deserti non ha abbandonato Grottaglie.
Mi
resta una foto di secoli fa. Io di un anno o poco più con indosso il vestitino
di San Francesco di Paola sono tra le braccia di mia madre. Mi avevano portato
a Paola. Era il mese di maggio. Festeggiamenti e il Santo nell’attraversata tra
le onde. Oggi sono antico e resto, senza esitazioni, inginocchiato i piedi del
Santo.
Nella
Chiesa di Grottaglie. Non penso più alle storie, alla storia, alla cronaca
della patria società. Ascolto, senza cercarla, la fede e San Francesco, nella
chiesa barocca (diciamola barocca), mi punta il suo sguardo. Ha la dolcezza
della severità e del combattente.
La
fantasia in questo mio dire ha la sua importanza e la faccio andare tra i sogni
e le finzioni che trasformano la storia. Ma è il sacro che vive oltre il
mescolamento delle storie. Le storie sono documenti. Non fanno la rivoluzione.
Io sono devoto ai rivoluzionari che hanno l’impeccabilità della luce e
l’autorevolezza nello sguardo.
Cammino
accanto a San Francesco. Mi dice: “Dobbiamo rifare un viaggio. Qui dove ci
troviamo il sole butta tra gli intagli della città antica. Ritorniamo navigando
il le coste dello Jonio per giungere al Tirreno. Da Paola ripartiamo
nuovamente. Mi tocca andare in Francia. Accompagnami per un tratto di strada.
Ti racconterò di quando ho attraversato con il mantello il filo di mare che
lega la Calabria alla Sicilia”.
Mi
osserva. Certo, sarò al tuo fianco e in silenzio accoglierò la dolcezza e la
durezza dei tuoi sguardi. Grottaglie è nell’alba tarda. Ci siamo incamminati, a
piedi scalzi, verso le terre delle Calabrie.
Lunetta-del Chiostro-dei-Paolotti
P. S. Si comprende fino a che
punto si rischia la realtà, si definisce la storia, si gioca con la fantasia.
Si comprende che scrivere può essere un rischio. Ma la scrittura che non cede
alla filologia e alla storiografia è sempre legittimamente un rischio.
D’altronde perché fare della storia quando le nostre biblioteche grondano
documenti su San Francesco di Paola. Perché ritornare a descrivere i Chiostri e
le lunette quando sono state descritte già tante altre volte e anch’io mi sono
occupato di questi spazi in epoche fa? Abbiamo bisogno di altro. Il rischio è
una sfida. Francesco mi fa dono, di volta in volta, della sua austerità, del
suo coraggio ma anche del suo sorriso e della sua ironia. Le reliquie di Paola
mi hanno sempre accompagnato. Come non mi lascia il paesaggio del ponte del
diavolo, il percorso nella grotta labirintica, il giaciglio dove il Santo
dormiva. Sono testimonianze. La fantasia è oltre. Tutto ciò che ho scritto è
inventato ma parzialmente. Tutto ciò che non ho scritto resta nel mio cuore. Il
lettore capirà il limite. Ma il mio lettore mi auguro che comprenda la serenità
della severità del Santo e il mio indefinibile gioco. Di ciò devo rendere conto
soltanto al Santo. I giudizi graffiano la pelle dei moralisti. Io sono un
eretico e solo San Francesco di Paola potrà fermare con i suoi occhi e con il
bastone la mia eresia. Ma sorride con la forza della sua virtù e mi pone una
mano sul capo. Grazie Francesco di Paola