Il Principe “un breviario
della coscienza pubblica”
in un confronto
tra verità e libertà
di Micol Bruni*
In occasione del
Cinquecentenario de Il Principe di Niccolò Machiavelli la Newton Compton
ha pubblicato una elegante e ricca edizione con un importante apparato
bibliografico con una Introduzione di Nino Borsellino. Un testo ben articolato
che offre una chiave di lettura interessante. Alcune considerazioni in merito.
Ha scritto Nino Borsellino nella Introduzione: “Il Principe si può
leggere come un’autobiografia sublimata” (Introduzione a Il Principe, Newton
Compton Editori, Roma 2013, p. 5).
Un concetto
molto audace che pone Mchiavelli al centro di un’ampia discussione, i cui
parametri storici sono chiaramente focalizzati in una temperie qual è il
Rinascimento, ma la visione complessiva è abbastanza articolata, tanto da
inserirsi in un processo culturale ampio che va dalla grecizzazione al mondo
romano sino a riflessioni che toccano il tardo Medioevo. Su questo argomentare
ci siamo soffermati anhe nel libro Machiavelli. Un secolo di mezzo (da
me curato), editore Pellegrini che verrà presentato ufficialmente a settembre
prossimo.
Ma si tratta, in
fondo, di una autobiografia? Borsellino osserva con attenzione l’opera nei suoi
vari passaggi e attualizzandola tocca degli articolati momenti di un pensiero
che è costantemente in itinere tanto che avrà modo di osservare: “Il
Principe resta il ‘libro vivente’ dell’antiideologia, un breviario della
coscienza pubblica non più del principe” (Op.cit. pag. 13).
I due capisaldi,
secondo Borsellino, del Machiavelli che dedica le sue pagine alla realtà del
mondo del principe, restano la libertà e la verità. È un dato storico fondamentale
perché in esso ci sono delle eredità filosofiche che hanno caratterizzato i
secoli successivi sino al dibattito sulla eticità e moralità nel pensiero
politico e pedagogico di Gentile e di Gramsci. Ma il discorso parte ancora da
lontano, e si tratta di un discorso sostanzialmente sull’antiideologia, per
definirsi in alcuni elementi vichiani e alcuni richiami sulla libertà già
definiti in Foscolo.
Il Principe resta l’opera
che detta i valori fondanti alla dialettica sulla politica superando gli schemi
dell’autorità dei poteri precostituiti. Dopo Il Principe non sarà
possibile affrontare i temi della politica con le inquadrature e gli schemi
descritti e condannati da Machiavelli. Questo è certo.
Borsellino pone
ciò come cesellatura da non dimenticare: “Si è detto che Machiavelli mette allo
scoperto le leggi della politica, ma l’arte del politico va appresa valutando
le circostanze, misurandosi con le difficoltà della conquista, del dominio e
del governo.
Da qui le
conclusioni più radicali e gli aforismi più spietati: l’incapacità degli uomini
di ubbidire per amore e la necessità del principe di farsi temere fino ad
essere crudele, di simulare e dissimulare, ma anche di non farsi odiare
togliendo ai sudditi i beni e l’onore” (Op. cit. pp. 10 – 11).
Una lezione che
ha accompagnato l’immaginario di una politica vissuta come esercizio di potere
pur all’interno delle democrazie. D’altronde la storia del diritto è ricca di
tali testimonianze sul piano del rapporto tra giustizia e politica, diritto del
cittadino, cittadinanza e politici, etica e morale.
Si ritorna,
dunque, al presupposto che è kantiano ma che trova la strada in un Gentile che
vive il diritto della politica non come egemonia (la valutazione gramsciana) ma
come espressione della centralità dell’umanitas. È qui le fonti di una storia
del diritto improntate sulla antiideologia della politica potrebbe raggiungere
proprio quel legame a-prioristico tra libertà e verità.
Machiavelli sa
che in questo legame si rischia l’utopia come fu in Dante perché, come
evidenzia ancora Borsellino, non è possibile incamminarsi verso quelle “città”
agostiniane o campanelliane che potrebbero definirsi come un estremo delle
illusioni. Machiavelli incastona la sua opera al di fuori di una concezione
utopica, e forse anche per questo è possibile leggerla come una
“autobiografia”, in quanto l’esperienza di un uomo che è stato tra le maglie
dei poteri si autodefinisce nella cimentata “volontà di potenza” che è
l’espressione del principe. In realtà Machiavelli è come se non “postasse” dei
giudizi ma delle meditazioni e delle constatazioni.
Tutto ciò è
comunque il risultato di un vissuto che si proietta come delle considerazioni
sulla base non di una memoria lontana, ma di una recente frequentazione di una
stratigrafia politica che non è stata avulsa dall’esercitazione del potere. In
fondo il rapporto tra esercitare potere e attuare un processo politico è
praticamente vitale se si vuole attuare una amministrazione nei fatti
attraverso gli atti.
Ecco perché
l’attualismo gentiliano si innerva anche nella lettura di un Machiavelli come
“profeta disarmato”. Machiavelli non si poneva il problema della “ragione” o
del pensiero ragionante in politica perché puntava alla storia. Ed è ciò che
afferma Gentile quando in una frase lapidaria sostiene: “Gli uomini che
ragionano sempre non fanno la storia”. Perché, ancora secondo Gentile, “Lo
stato non si restaura se non si restaurano le forze morali che nello stato
trovano la loro forma concreta, organizzata, perfetta. Lo stato non si restaura
se non si restaura la famiglia, e nella famiglia l'uomo, che è la sostanza
della famiglia, della scuola, dello stato”.
Gentile
attraversa Machiavelli e va oltre coinvolgendo non solo lo Stato e il diritto
alla politica ma la società, in quando “agenzia” nel diritto alla storia e
della storia. E questo è realismo. Ovvero il realismo machiavelliano che
è una “verità effettuale”. Qui Machiavelli introduce una vera e propria
dialettica intorno ai principi della politica, del diritto e del potere senza
mai scendere nella retorica e nelle conclusioni demagogiche.
Quell’attualismo
gentiliano è un punto cardine per capire quanta strada ha percorso Machiavelli
partendo non da teorie astratte o soltanto da una valenza politica e
filosofica. Così come resta un punto fermo la “verità effettuale” che è
distante dall’immaginario ed è addirittura altra cosa.
Proprio in ciò
c’è quel messaggio della “autobiografia sublimata” molto cara a Borsellino. Ma
è una autobiografia rivelante in quanto sostando intorno al concetto di
“biografia”, Machiavelli ha connotato di indirizzi un processo politico che
avrebbe dovuto definirsi anche come modello antiideologico. Così nella storia
della politica non è stato. Così nella storia del diritto alla politica si è
cercato di fare utilizzando gli strumenti che Machiavelli ha definito.
In fondo, Il
Principe nasce dalle fonti. La biografia utilizzata è una fonte certa.
Ovvero resta “un breviario della coscienza pubblica” (Op. Cit. p. 13).
*Storico e
Cultore in Storia del Diritto - UNIBA