25 luglio
1943: 70 anni dalla notte del Gran Consiglio del Fascismo
e l’arresto di Benito Mussolini
Claretta e Rachele avevano previsto tutto
di Pierfranco Bruni
A 70 anni
dalla notte del Gran Consiglio del Fascismo (25 – 26 luglio 1943) e all’arresto
di Benito Mussolini, da parte del re, molte pagine sono da rileggere e molti
elementi sono da ricontestualizzare all’interno di quel processo storico che ha
portato alla caduta di un Regime, all’armistizio e alla “guerra civile” e, due
anni dopo, al massacro di Piazzale Loreto. Il conflitto mondiale in Italia si
conclude con Piazzale Loreto.
Dino Grandi, Galeazzo Ciano
e Giuseppe Bottai.
Tre protagonisti che hanno
caratterizzato la “caduta” di Mussolini chiudendo la stagione di un Fascismo
Regime, nel quale avevano creduto e attraverso il quale erano diventati modelli
interpretativi di una storia politica rilevante.
Perché la sfiducia a
Mussolini in quella notte tragica di 70 anni fa?
L’interrogativo resta appeso
su una articolazione di domande e risposte che, a piene lettere, non trovano
ancora una precisa e affidabile motivazione chiarificatrice.
Perché Ciano? È certo che
anche in questo “caso” ci sono elementi internazionali che restano sotto una
costante osservazione. La Monarchia di Vittorio Emanuele III che aveva dato il
nullaosta alla Marcia su Roma del 1922 e soprattutto a Mussolini, ha avuto un
ruolo, chiaramente, nevralgico soprattutto quando affida le sorti dell’Italia
al maresciallo Badoglio, che con il Fascismo aveva condiviso tutto il suo
percorso.
La politica del Vaticano
trova soprattutto in Ciano e in Grandi due interpreti, che permettono lo
sfaldamento del Fascismo creando non una rottura tra scuole di pensiero o
sistemi politici all’interno del Regime stesso, ma provocando una implosione
tra Fascismo e Regime.
Come fa Bottai a non pensare
alle conseguenze? Uomo di cultura politica e di capacità alte nel rapporto tra
espressioni culturali, corporativismo e nazionalismo? Uomo che con la rivista
“Primato” dal 1940 al 1943 aveva dato degli indirizzi politici fascisti.
Il dato più evidente è che
il Fascismo Regime si spezza (o cade) per una implosione e non per uno scontro
esterno e non per una diretta dimissione di Mussolini. Infatti Mussolini non si
dimette né la notte fatidica della “sfiducia” e neppure davanti al re, ma viene
arrestato proprio dal re con una parvenza farsesca.
Credo che sia la pagina più
terribile, in termini politici, che la Monarchia abbia potuto scrivere.
L’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America sono stati al centro di questo
processo implosivo con dei condizionamenti forti, che hanno giocato
immediatamente dopo sul piano economico e soprattutto in termini di espansione
geografica nello spazio tra Europa e Mediterraneo.
Certo, non era stata
prevista la stagione drammatica dei 600 giorni di Salò nel nome della
continuità di un Fascismo “popolare” e “repubblichino”. Non era stata prevista
la riabilitazione “strategica” (certamente falsamente strategica) di Mussolini
e la continuità mussoliniana nella Repubblica sociale, che avrebbe dovuto
riaprire alcuni rapporti internazionali con un a triangolarizzazione tra
Italia, Germania e Giappone.
Si è peccato di ingenuità.
Perché con l’arresto di Mussolini non si poneva fine al Fascismo e alla guerra,
in quanto la presenza tedesca in Italia e in Europa, se pur lacerata e
sfilacciata o forse, in quel contesto, già agonizzante, ha sviluppato una
reazione devastante.
Gli angloamericani, il
vaticano e la monarchia hanno peccato di una straordinaria ingenuità e di
supponenza. La guerra combattuta in Europa e nel Mediterraneo si è trasferita
in Italia e in Germania. Soprattutto in Italia dove la “resistenza” di Salò è
stata imprevista e imprevedibile nel suo evolversi.
Dopo la
liberazione di Mussolini i giochi si erano riaperti, con la regia di Hitler,
tanto che si è creato uno Stato dentro altri tre Stati: quello badogliano in
una confusionaria impresa raccapricciante, quella di una Monarchia morente e
scandalosa per la ritirata e la fuga del re, quella partigiana dei nuclei
comunisti e azionisti guidati da Mosca e dei nuclei cattolici e monarchici
sotto l’attrazione degli aventiniani “moderati”.
Il fatto più
eclatante è che il Fascismo non muore la notte del Gran Consiglio. Anzi per 600
giorni diventa più ribelle, più fascista sansepolcrista, più mussoliniano.
Grandi,
Ciano e Bottai non ne escono vincitori (al di là delle loro singole vite e del
destino di Ciano o della fuga degli altri due). Anzi sono i maggiori sconfitti
perché non solo sfiduciando indecorosamente Mussolini tradiscono la loro
stessa storia e la loro appartenenza, ma vengono a loro volta traditi e
completamente abbandonati.
Il Fascismo
implode la notte tra il 25 e 26 luglio del 1943, ma resta in piedi sino a
Piazzale Loreto.
L’altro
interrogativo, che va oltre lo snodo storico, resta ancora quello legato
proprio a Benito Mussolini e la notte del Gran Consiglio e la sua fiducia sino
all’ultimo nella Monarchia. Uno statista come Mussolini avrebbe dovuto
prevedere il voto di sfiducia (anche perché il contesto si stava preparando da
giorni) e la non affidabilità di Vittorio Emanuele III? Certamente sì!
Sia Claretta
Petacci, che muore con e per Benito (come ho sottolineato nel mio romanzo
“Passione e morte. Claretta e Ben”, Pellegrini), che sua moglie Rachele avevano
previsto e capito tutto, tanto che avevano implorato il Duce a prepararsi
adeguatamente alla “notte dei lunghi coltelli” e successivamente di non recarsi
dal re. Ma la storia si legge anche nei “ma” nei “nonostante” e nei “se” nei
“però”. Comunque Claretta e Rachele avevano già scritto le linee di quel
tracciato e di quei destini tragici.