Le Presenze Minoritarie in Italia come Beni
Culturali.
Una strategia in un Patrimonio identitario da
recuperare
di Pierfranco Bruni
Beni
culturali, modelli etnici e minoranze linguistiche. Tre elementi significativi
di un progetto che ha come punto fondamentale il rapporto delle identità
antropologiche, delle radici, delle articolazioni linguistiche all’interno del
panorama vasto del patrimonio culturale.
Le
minoranze linguistiche, sia quelle sancite dalla normativa del 1999, inerente
la tutela delle lingue minoritarie, sia quelle più sommerse in un’Italia delle
culture includenti, sono, chiaramente, un bene culturale. Lo sono per il loro
portato storico, per il loro intreccio tra lingua, arti, letteratura,
biblioteche, archivi, piazze e soprattutto per la visione dialogante tra le
stesse presenze minoritarie e il legame con le radici.
Chiaramente
si parla di minoranze linguistiche ed etniche che hanno scavi storici, ovvero
sono presenti sul territorio da epoche e che hanno lasciato segni tangibili di
una matrice che ha rimandi a civiltà, che si sono, comunque, ben integrati
nella geografia antropologica e artistica dei territori.
Sono
un bene culturale perché nella loro presenza e nella loro testimonianza ci sono
sia modelli radicanti ma anche modelli di completa originalità, che hanno
permesso alle loro storie di siglare un patto culturale con le nostre culture.
Beni
culturali, dunque, perché incidono con la loro tradizione e con le loro radici
nella memoria storica di un popolo.
Quando
una etnia si confronta con un’altra etnia (quella Arbereshe o quella Occitana
con quella Greco – latina, Italiana, per restare soltanto ad un esempio) ciò
avviene grazie ad una dimensione identitaria, che è il vissuto di una
appartenenza, le cui “linee” sono tratteggiate dalla lingua, in modo
particolare, e dalla metafisica dell’antropologia delle eredità.
Le
minoranze linguistiche sono sempre una espressione di appartenenza ad un popolo
e ad una civiltà che insiste in quell’abitato reale e storico che è l’eredità.
Ma il concetto stesso di eredità storica vive nel raccordo tra bene culturale e
cultura della modernità nella trasparenza dei miti, dei simboli, degli
archetipi e dell’intreccio di memorie, che sono il passato.
In
fondo il bene culturale restituisce il passato di un popolo alla cultura
moderna mai trasformandolo ma cercando di viverlo come metafora di un
“avvenuto” che non smette di segnare il passo delle epoche. Il dialogante
sistema di ricontestualizzare una minoranza linguistica passa inevitabilmente tra
la testimonianza di comprendere il senso dell’etnia e la capacità di rendere
storica la memoria della stessa minoranza.
Ciò
significa che questo passaggio avviene soltanto nel momento in cui il passato
di una minoranza diventa espressione realmente culturale, ovvero bene
culturale. Infatti non ci può essere minoranza linguistica (o presenza
minoritaria) senza essere, questa stessa, considerata bene culturale.
È
certamente una questione strategica nel vasto e articolato panorama
dell’etimologia moderna di bene culturale, ma è anche la consapevolezza che
soltanto come bene culturale può resistere ad una società sradicante e che
facilmente si smarrisce nelle perdute fisionomie delle radici.
Il
nostro lavoro, ormai da anni, (il progetto sulle minoranze linguistiche del
ministero per i beni e le attività culturali che porto avanti da anni con
studi, ricerche, pubblicazioni e convegnistica anche in molti paesi esteri) è
stato ed è quello di porre all’attenzione il valore storico delle presenze
minoritarie: dagli Occitani ai Ladini, dai Croati agli Italo – albanesi, dai
Grecanici agli Armeni, dai popoli Rom ai Catalani e cos’ via.
Insisto
sul fatto (l’ho fatto anche in altre sedi e occasioni istituzionali) che
bisognerebbe aprire una finestra sulla cultura Armena in Italia. O meglio
aprirsi alla presenza storica degli Armeni in Italia. Una presenza che non
nasce con il genocidio del 1914 – 1916, ma incide con la sua straordinaria
realtà letteraria, artistica e antropologica in secoli di rapporti tra le culture
Orientali e quelle Occidantali anche sul piano religioso.
Gli
Armeni hanno lasciato tracce e documenti storici e artistici in molte comunità
italiane. Una produzione letteraria contemporanea ha una sua significativa
valenza ricostruttiva (i romanzi di Antonia Arslam o le canzoni di Charles
Aznavour). Come gli Occitani o gli Italo – albanesi (Arbereshe). Ma il dato di
fondo resta sempre quello di non sottovalutare mai che una presenza minoritaria
(storica) è un bene culturale. Un esempio ancora. La musica Grecanica e quella
Arbereshe è un insieme di manifestazioni di eredità sia mediterranee che
balcaniche.
Quando
spesso si parla di un Mediterraneo inclusivo, si sottolinea l’importanza
chiaramente di un Mediterraneo diffuso, ma questo perché geograficamente e in
termini metafisici include non un’area (o delle isole territoriali) di mare e
di terra soltanto, ma una lettura filosofica, letteraria, artistica,
antropologica di popoli e civiltà che si confrontano e si incontrano su
progetti politici (condivisi o meno: questi) e soprattutto culturali.
In
Italia, per gran parte, le presenze minoritarie hanno caratteristiche culturali
che rimandano a un Mediterraneo diffuso. Penso ai Sardi e ai Catalani (o a
quelli già citati), ma anche ai Ladini e ai popoli Germanici che hanno storie
chiaramente diverse, ma sempre dentro un bacino che ha avuto rapporti con il
Mediterraneo. Penso ai Croati e agli Slavi ma anche ai Friulani e alla cultura
Istriana. Su queste ultime insiste una letteratura di grande valenza: da Pasolini
a Tomizza, da Sergio Endrigo a Carlo Sgorlon.
Insomma
sia in termini linguistici puri che sul piano letterario (e ancora su quello
storico – artistico e antropologico) le presenze minoritarie sono un bene
culturale. Bisogna considerarle tali proprio in virtù dei modelli che hanno
tracciato lungo le vie delle nostre comunità, e nell’intelligenza delle
integrazioni e comprensioni storiche non possono che essere comprese se non
attraverso una interpretazione che è quella, appunto, di un bene culturale sommerso
ma definito nella ricchezza di valori, che sono quelli dell’eredità,
dell’identità, dell’appartenenza. Aspetti che si fanno storia, una storia che è
bene culturale. Il nostro intendo è proprio quello di approfondire, cercare
comparazioni, dare senso alle presenza minoritarie in una lettura completamente
vissuta come bene culturale.