PRESENZA LUCANA
Presidente: Michele Santoro
Associazione Culturale e Sociale
Via Veneto
106/a
Tel. 099/7384301
Cell 338.4945141
E-mail: presenzalucana@libero.it
Giovedì
23 Maggio 2013
“I VENERDI’ CULTURALI DI PRESENZA LUCANA” – 23° Anno
I DIALETTI DEL SUD: Gli spagnolismi nel dialetto di Taranto
Dopo la tesi di laurea su “Romeo e
Giulietta nella danza del Novecento”, ritorna la cartella “I Dialetti del Sud”
curata con attenzione dall’Associazione, sempre attenta a “leggere” e
salvaguardare un passato che appartiene a tutte le generazioni.
Per questo, nell’appuntamento che vedrà
il poeta Domenico Semeraro e il lettore Roberto Missiani declamare liriche in
lingua tarantina, Antonio Fornaro, studioso e appassionato di storie e
tradizioni legati alla “tarantinità”, traccerà un excursus sulla valenza
culturale del dialetto nella città jonica.
Il relatore porrà l’accento su quelli che
sono stati i vari contributi lessicali, nel corso dei secoli, dei popoli greci,
latini, arabi, francesi e spagnoli sul dialetto tarantino. A termine della sua
relazione Antonio Fornaro accennerà a tanti prodotti del mare, alcuni ormai
scomparsi, ma noti con termini dialettali.
L’appuntamento
dei “Venerdì Culturali di Presenza Lucana” e si svolgerà presso la sede di Via
Veneto 106/A a Taranto con Ingresso libero, inizio ore 18.15.
Metafore
e proverbi, a volte, sono tutto ciò che rimane di dialetti. In ogni borgo della
Basilicata si parlavano lingue, alcune volte, molto diverse. Questo avveniva
anche per scarsa via di comunicazione poiché i paesi erano posti sulle colline
e non avevano quell’arricchimento lessicale prendendo ed esportando lemmi.
Per
questo capitava che in luoghi distanti solo pochi chilometri si parlassero
lingue e si usassero forme dialettali diverse.
Era
importante, negli anni cinquanta, quando fu indetto un corso di alfabetismo a
largo raggio anche con scuole serali, parlare una lingua che fosse compresa
anche da altri.
Nelle
scuole elementari il distacco dal dialetto, per l’apprendimento della lingua
italiana, alcune volte era un qualcosa di veramente difficile e traumatico; le
“bacchettate” ricevute sulle mani a ogni forma di espressione dialettale erano
il contributo da pagare per apprendere una lingua nuova: l’italiano.
Per
metafore esasperate si può affermare che il dolore subito era il prezzo che
pagavamo per la cancellazione di lemmi che erano resistiti e si erano formati
foneticamente nel corso dei secoli.
Il
dialetto che si parlava nei paesi della nostra penisola, poco per volta è stato
cancellato, per cedere il posto a una sola lingua quella italiana. La
metamorfosi in Europa e nel mondo continua. Altri idiomi stanno scomparendo per
unificare un’unica lingua mondiale, l’inglese.
Che
cosa resta di tanti dialetti che erano alla base della cultura popolare? Poco o
niente. Si salvano e si ricordano pochi vocaboli che tramite aforismi sono
stati tramandati.
Io
per esempio ricordo un proverbio che mi è servito molto nella formazione
culturale e sociale e che porto sempre con me come retaggio di una lingua che
ormai si sta spegnendo anche nella mente raccontatomi da mia nonna: “Quanne ‘u
stiavùcch vaje e vène l’amicizie se mantène”.
Questo
detto “il dare e l’avere” (vaje e vène) lo porto sempre con me e cerco di
realizzarlo con i tanti amici che vanno e vengono esportando e ricevendo anche
il sapere nella nostra Associazione.
Il
dare e l’avere dello “stiavucche”, borsa di panno in cui erano avvolti gli
alimenti, sono la metafora della vita che viviamo quotidianamente.
Quando
il dare e l’avere si blocca la vita, si ferma.
"Bisogna
affrettarsi a raccogliere ciò che proprio è caratteristico dei dialetti, prima
che questi si alternino in modo da perdere quasi tutta l'impronta nativa."
Questo lo diceva il giornalista e deputato Carlo Tenca vissuto nel XIX secolo.
C’è da dire che dopo la
totale istruzione scolastica, il dialetto non è più valutato come lingua dei
ceti più bassi, tant’è che si sta cercando di recuperarlo, già con letture
nelle scuole.
Oggi sapere usare,
scrivere in dialetto è da considerare una ricchezza, un privilegio che accresce
il valore culturale in chi lo pratica.
E’
questo il motivo per il quale si è avuto, negli ultimi anni, una crescita di
studiosi del dialetto. Grazie a questo lavoro di ricerca vocaboli, ormai
desueti, sono stati ricordati e ricollocati in dizionari creati nei singoli
paesi. Domenico Semeraro è una delle voci
più spontanee della lingua tarantina. Le sue liriche trattano momenti di vita
anche attuali con un linguaggio alla continua ricerca, nei meandri della sua
memoria, di lemmi antichi che poco per volta tendono a essere cancellati.
Articolo
di Michele Santoro