Fatima, la monaca
Carmelitana nella magia raccontata da Alarcon De La Valle,
ha abitato il paese
Lorenzo delle Grazie
di Pierfranco Bruni
Se la storia
vive di documenti è anche necessario affidarsi al mistero per interpretare
l’invisibile che le parole mascherano. E l’invisibile c’è e resta invisibile.
C’è dentro la nostra percettibile capacità di essere impeccabili. Spesso mi
diceva così il mio amico Alarcon De La Valle. Il mio unico e vero amico.
Conosciuto negli anni Settanta in un città che aveva l’odore di un Oriente
sbarcato tra le rive dell’Occidente cristiano.
Un amico che aveva come
stile la profondità dello sguardo e come cammino il silenzio della pazienza.
Scriveva, ma per Alarcon la scrittura era un vizio, come per Pavese, a volte
assurdo a volte diventava un vero e proprio mestiere. Ma la scrittura nella sua
scrittura era un gioco. Giocare con le parole e soprattutto con i personaggi
era il suo viaggiare tra le epoche servendosi dei documenti ma soprattutto
dell’anima, del cuore e della percezione del limite tra spazio e sublime.
Mi raccontò del destino di
una monaca dei Carmelitani. Alarcon, dimentico di dirlo, era un principe ma il
suo principato era tra le terre della Magna Grecia. Nei luoghi di Pitagora e
tra le donne che sapevano amare nell’eros della bellezza dei sibariti. Un
principe della contea del lusso dei sibariti.
Allora, la monaca dei
Carmelitani. Era una giovane donna. Dagli occhi intensi. Verdi e neri. Verdi
come il mare di Tunisi. E neri come le olive delle campagne della Magna Grecia.
Giunse, così mi disse Alarcon, in un presto mattino dalle luci con scintille
antelucane, in un paese del Sud chiamato Lorenzo delle Grazie. Questo paese,
che era stato abitato anche da Alarcon, aveva un convento chiamato delle Carmelitane
dai piedi nudi (perché non scalze?).
Venne mandata in questo
paese dalla lontana Siviglia. Quasi in esilio. Perché lì avevano scoperto che,
di notte, usciva dalla Casa Generalizia e si incontrava, in segreto, con il
francescano Pier De La Luna. Si era in un tempo di inquisizioni e la Spagna
possedeva tutte le chiavi delle parole misteriose per inquisire nei tribunali
del dubbio.
Arrivò al convento di
Lorenzo delle Grazie e si fece assegnare una celletta che non aveva finestre e
chiese semplicemente dei fogli e del materiale per potervi scrivere. Accettò
l’esilio per lunghi anni e quando morì trovarono la cella piena di figli, tutti
scritti di storie. Fogli sparsi e senza essere numerati. Una scrittura sottile
e a volte indecifrabile.
Questi fogli sono stati
studiati per molti anni da Alarcon, il quale interpretò un misterioso dialogo
tra la monaca e Pier De La luna che dopo la sua partenza aveva fatto perdere le
tracce. Alarcon mi disse che, in sogno, comunicavano e si parlavano e tutto ciò
che era scritto nelle pagine della Carmelitana dai piedi nudi, in esilio nella
cella del convento, aveva qualcosa di magico perché accanto ad ogni parola
c’era un segno, un simbolo, una foglia di rosa. Tanto che la monaca venne
chiamata, dopo la sua morte, la monaca dalle foglie di rosa.
E’ rimasto tutto un mistero.
Ma dal giorno in cui la monaca morì il convento venne chiuso e nessuno vi abitò
più. Tutte le altre monache vennero trasferite. Furono scritti libri di storia
sul convento e sulla monaca riportando documenti e bibliografie. Alarcon mi
disse soltanto che la monaca carmelitana, venuta da Siviglia, si chiamava
Fatima.
Nella sua cella venne
trovato anche un rosario e su ogni grano c’era un segno, un inciso, un graffio.
In una mano stretta conservava un petalo di rosa rosso.
Alarcon, raccontandomi,
questo destino mi disse anche che tra il convento e il castello c’era un
passaggio sotterraneo che partiva proprio dalla cella della monaca e conduceva
in una stanza del castello. Studiando la stanza del castello Alarcon trovò, in
un angolo, un petalo di una rosa rossa. Nessuno seppe che in quella stanza del
castello venne trovato morto Pier De La Luna.
Tutta questa storia è una
storia vera come è vera la verità che viene raccontata con la fantasia e con il
gioco inevitabile del mistero.
Nel paese di Lorenzo delle
Grazie c’è un castello e ci sono i resti di un convento ma anche i resti di una
abitazione abitata dalle Carmelitane dai piedi nudi, ma nessuno ha mai saputo
del passaggio segreto e neppure del petalo di rosa rossa trovato nella stanza
del castello. Fu una storia d’amore?
Il principe
Alarcon mi ha lasciato una bella e affascinante eredità che è quella di
scoprire il resto della storia e di rivelarla soltanto ai miei figli con la
promessa che loro dovranno rivelarla soltanto ai loro figli e così via di
seguito.
Alarcon non
so dove sia finito. Forse ha lasciato la città dai colori d’Oriente
nell’Occidente cristiano per recarsi a Siviglia o è ritornato ad abitare il suo
castello nel paese della Magna Grecia dove le donne hanno la bellezza della
terra dopo la pioggia e lo sguardo del mare dopo le tempeste. Non lo so. L’ho
cercato. Ma non ho avuto notizie.
Quello che posso dire
soltanto è che Alarcon è un personaggio reale, la monaca Carmelitana è morta
nella cella del convento e Pier De La Luna ha abitato una stanza del castello.
Il petalo della rosa rossa non è la storia della rosa scarlatta.
La leggenda
finisce qui. Ma qui comincia una storia che si perde proprio nel momento in cui
abbiamo bisogno di testimoniarla con i documenti.
Alarcon mi
ha detto ancora prima di far perdere le sue tracce: “Amico mio, quando cominci
con la ragione a voler dare senso alle storie il tuo viaggio finisce. Non
chiedere mai spiegazioni a ciò che reputi impossibile. Non stupirti se il
miraggio del segreto insiste nel restare segreto. Non infilare mai il dito nel
silenzio del mistero pensando di dare voce ad una storia che non ha bisogno di
diventare storia. La magia, amico mio, sta proprio qui. Gioca sempre con
l’alchimia che ti vive dentro. Non tentare di capirla. Fermati prima che lo
specchio possa infrangersi e coprirti di ferite. La bellezza dura se la
custodisce. E tu, amico mio, custodisci sempre, con il silenzio. Agli storici
regala un sorriso. A te stesso il sogno. Così vivi tutto ciò che ti ho
raccontato con il sogno. Il resto non ha importanza”.
Finisce qui
il viaggio di Alarcon nei miei pensieri.
Caro amico mio, caro
principe, così tu vuoi ed io non ti cercherò. Custodirò tutto ciò che mi hai
raccontato nel sogno del mio cuore. Poi se accadrà altro dipende dai fili
dell’alchimia che hai lasciato lungo le strade della magia.
Se questa
storia è inventata prendetela con beneficio di inventario e ogni riferimento è
puramente letterario. Se, invece, ha preso il sopravvento la fantasia nel
mistero ogni fatto è puramente casuale.
Che dirvi di
più? Ma dove è finito Alarcon?