Il fallimento di una speranza e la delusione
dell’Università
Rivediamo il ruolo dell’Università dei baresi a
Taranto
Una nuova politica
anche da qui può dettare nuovi significati
di Pierfranco Bruni*
Non so se bisogna sempre parlar
bene dell’Università degli Studi dei “baresi” a Taranto in termini sia di
sviluppo territoriale (che non c’è) sia di presenza culturale (che manca)? Non
so se, nel corso di questi anni, sono stati considerati i rapporti costo –
beneficio a partire dalla fine degli anni Ottanta sino alla messa in opera
della Riforma Gelmini (ma proprio di Riforma Gelmini si tratta?) per un
territorio come Taranto?
Primo dato scontato è che non si
tratta dell’Università di Taranto ma dell’Università di Bari a Taranto: il
discorso è sottile e molto complesso. Io che in anni nascenti, o di mezzo, del
percorso istituzionale universitario, ho ricoperto la carica di Assessore
provinciale all’Università di Taranto oltre a quella di Vicepresidente della
Provincia, conosco molto bene come è sorta Economia Aziendale, come è stata
fatta nascere dalla Giunta Cantore, come abbiamo sottoscritto il protocollo di
intesa per dare vita a Giurisprudenza, come abbiamo dato vita all’allora
Diploma universitario in Beni culturali a Martina Franca, poi di colpo smantellato
(per quali motivi ancora non giustificati) come abbiamo arricchito la struttura
di Scienze Ambientali nelle sue varie sedi.
Raccordi voluti negli anni 1995 –
1999. Non bisogna dimenticare ciò altrimenti non si capirebbero alcune
dinamiche. Ma allora era tutto finalizzato a un Polo universitario ionico,
ovvero all’Università di Taranto. Una speranza che doveva diventare realtà.
Questo era il punto centrale altrimenti le strade percorribili per l’Università
sarebbero state molte altre.
E questo perché? Secondo dato:
perché l’Università doveva avere un ruolo strategico nelle economie culturali e
scientifiche della città e la sua presenza doveva essere riferimento di una
politica culturale sia scientifica, sia didattica sia di immagine per una città
che paventava una sua inesorabile crisi e un deficit culturale forte, sia
occupazionale.
L’Università a Taranto, terzo
dato, è stata una delusione: non c’è stata una crescita culturale, non si è
data un’immagine diversa alla città, non si sono create le premesse per una
Taranto universitaria nel pieno delle sue autonomie, non è cresciuta
l’occupazione giovanile proveniente dalle sedi di Taranto. Leggerei tutto come
un fallimento politico per uno sviluppo sperato delle economie e risorse di una
città.
E allora cosa ne facciamo di
questa Università? Sarò impopolare? Ma bisogna andare nel di dentro dei fatti
sia politici che economici di questa città.
Una Università senza una
strategia di futuro, sui piani di investimento e occupazionali, non la
vogliamo. Non è perché io sia contro il levantino modello strategico essendo un
assertore di un Mediterraneo aperto e articolato. Ma quale crescita, mi devono
spiegare con dati alla mano, ha prodotto l’Università a Taranto? È che i
nostri figli non sono diventati emigranti prima della laurea? Chi la gestisce
questa Università? La compartecipazione degli Enti locali?
Ora mi lincerete: (immaginiamo un
po’) proviamo a chiuderla in cambio di un investimento economico che porti un
riscontro tra benefici e costi? Fantasie? Se ci fosse una categoria della
politica all’altezza di un progetto lungimirante non sarebbe uno scherzo!
Investire su una Università che
non ha e non avrà mai la sua completa autonomia che senso ha?
Avremmo dovuto cambiare squadra,
signori miei. Avremmo dovuto fare un patto di ferro con Lecce o altre città
interessate. È inutile che si discute della “Regione” Ionica e Salentina quando
si continua ad essere cenerentola di Bari. Si continua ad illudere
generazioni, ma Taranto avrebbe meritato la sua completa autonomia
universitaria. Questo era l’obiettivo che ci eravamo prefissi quando abbiamo
dato i natali ad Economia Aziendale e a Giurisprudenza. Si è stati
successivamente politicamente deboli nei confronti dell’Università di Bari.
Anzi molto accondiscendenti.
Credo che sia giunto il momento
di rivedere il quadro della situazione e lo dico sul piano di un rapporto tra
politica territoriale e sviluppo culturale anche alla luce dell’inquieto vivere
dell’Ilva. Taranto muore giorno dopo giorno e l’Università dei baresi a
Taranto, sulla quale si era puntato l’investimento anche sul piano di un
riscatto di immagine, non ha un suo ruolo fondamentale, non è riuscita ad
essere presente nella città con contributi forti, se non elitari, sia sul piano
culturale che di sviluppo.
E allora cosa facciamo?
Impopolare questo mio dire? La politica deve riscattarsi e senza perdere più
tempo deve ricontestualizzare il ruolo dell’Università ma dovrà essere Taranto
a giocare la partita e non accettare che Bari sia al centro delle scelte.
Non possiamo più essere
considerati baricentrici.
Ci vuole una scossa politica
seria che riveda tutta la questione Università. Io sarò in prima fila per una
battaglia coraggiosa, seria sull’Università ma dobbiamo entrare nel cuore del
problema, nei dettagli delle questioni, negli intagli dei particolari, nei
rapporti tra economia e politica, nelle scelte su una Taranto che abbia
coraggio di non essere succube ma in grado di svolgere un ruolo protagonista.
Rivediamo il patto tra Città e
Università. Una nuova politica anche da qui può dettare nuovi significati.
*Già Vice Presidente Provincia di
Taranto e Assessore all’Università
Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”
Il fallimento di una speranza
Il caso Università
di Taranto
"Averla o non
averla non ha più senso"
Pierfranco Bruni, già Vice presidente della Provincia di Taranto e
Assessore all’Università,
parla di
fallimento del “polo” universitario dei baresi a Taranto
Pierfranco Bruni, già Vice
Presidente della Provincia di Taranto e Assessore all’Università, e oggi
protagonista della vita culturale nazionale, sferra un duro attacco
all’Università di Taranto sostenendo che il ruolo di una Università in una
città come Taranto avrebbe dovuto mettere in gioco diverse questioni non solo
dal punto di vista scientifico e didattico, ma anche culturale e fare da volano
per uno sviluppo ragionato su piani occupazionali ed economici.
Afferma: “Non so se bisogna
sempre parlar bene dell’Università degli Studi dei “baresi” a Taranto in
termini sia di sviluppo territoriale (che non c’è) sia di presenza culturale
(che manca)? Non so se, nel corso di questi anni, sono stati considerati i
rapporti costo – beneficio a partire dalla fine degli anni Ottanta sino alla
messa in opera della Riforma Gelmini (ma proprio di Riforma Gelmini si tratta?)
per un territorio come Taranto?”.
Bruni rincara la dose
affermando: “Non si tratta dell’Università di Taranto ma dell’Università di
Bari a Taranto: il discorso è sottile e molto complesso. Io che in anni
nascenti, o di mezzo, del percorso istituzionale universitario, ho ricoperto la
carica di Assessore provinciale all’Università di Taranto oltre a quella di
Vicepresidente della Provincia, conosco molto bene come è sorta Economia
Aziendale, come è stata fatta nascere dalla Giunta Cantore, come abbiamo
sottoscritto il protocollo di intesa per dare vita a Giurisprudenza, come
abbiamo dato vita all’allora Diploma universitario in Beni culturali a Martina
Franca, poi di colpo smantellato (per quali motivi ancora non giustificati)
come abbiamo arricchito la struttura di Scienze Ambientali nelle sue varie
sedi”.
Pierfranco
Bruni si sofferma anche sulle potenzialità iniziali che l’Università ha messo
in campo e disperse nel corso degli anni: “Quando è nata questa Università noi,
sia sul piano istituzionale che culturale, abbiamo dato ampia fiducia a Bari.
Oggi mi sembra che sia un’illusione. Ecco perché è necessario entrare, come Enti
locali, ma anche come dibattito aperto a tutta la città, nei dettagli
gestionali ricontestualizzando il caso Università che non ha risolto alcun
problema per una città che muore lentamente. L’Università avrebbe dovuto
svolgere un ruolo strategico nelle economie culturali e scientifiche della
città e la sua presenza doveva essere riferimento di una politica culturale sia
scientifica, sia didattica, sia di immagine per una città che paventava una sua
inesorabile crisi e un deficit culturale forte, sia occupazionale”.
Toccando gli
aspetti politici e propositivi Pierfranco Bruni aggiunge: “Non possiamo più
essere considerati baricentrici. Ci vuole una scossa politica seria, e non vane
speranze o illusioni, che riveda tutta la questione Università. Io sarò in
prima fila per una battaglia coraggiosa, seria sull’Università ma dobbiamo
entrare nel cuore del problema, nei dettagli delle questioni, negli intagli dei
particolari, nei rapporti tra economia e politica, nelle scelte su una Taranto
che abbia coraggio di non essere succube ma in grado di svolgere un ruolo
protagonista. Bisogna riconsiderare il patto tra Città e Università senza alcun
cedimento altrimenti sarebbe opportuno un dialogo con altre Università e altri
poli universitari. In una tale situazione per Taranto, conclude Bruni, avere
questa Università non alcun senso”.