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Il fallimento di una speranza e la delusione dell’Università.
martedì 26 marzo 2013

Intervento di Pierfranco Bruni


Pierfranco Bruni in una sua relazione alla Biblioteca della Camera dei Deputati


Il fallimento di una speranza e la delusione dell’Università

Il fallimento di una speranza e la delusione dell’Università

Rivediamo il ruolo dell’Università dei baresi a Taranto

Una nuova politica anche da qui può dettare nuovi significati

di Pierfranco Bruni*

Non so se bisogna sempre parlar bene dell’Università degli Studi dei “baresi” a Taranto in termini sia di sviluppo territoriale (che non c’è) sia di presenza culturale (che manca)? Non so se, nel corso di questi anni, sono stati considerati i rapporti costo – beneficio a partire dalla fine degli anni Ottanta sino alla messa in opera della Riforma Gelmini (ma proprio di Riforma Gelmini si tratta?) per un territorio come Taranto?

Primo dato scontato è che non si tratta dell’Università di Taranto ma dell’Università di Bari a Taranto: il discorso è sottile e molto complesso. Io che in anni nascenti, o di mezzo, del percorso istituzionale universitario, ho ricoperto la carica di Assessore provinciale all’Università di Taranto oltre a quella di Vicepresidente della Provincia, conosco molto bene come è sorta Economia Aziendale, come è stata fatta nascere dalla Giunta Cantore, come abbiamo sottoscritto il protocollo di intesa per dare vita a Giurisprudenza, come abbiamo dato vita all’allora Diploma universitario in Beni culturali a Martina Franca, poi di colpo smantellato (per quali motivi ancora non giustificati) come abbiamo arricchito la struttura di Scienze Ambientali nelle sue varie sedi.

Raccordi voluti negli anni 1995 – 1999. Non bisogna dimenticare ciò altrimenti non si capirebbero alcune dinamiche. Ma allora era tutto finalizzato a un Polo universitario ionico, ovvero all’Università di Taranto. Una speranza che doveva diventare realtà. Questo era il punto centrale altrimenti le strade percorribili per l’Università sarebbero state molte altre.

E questo perché? Secondo dato: perché l’Università doveva avere un ruolo strategico nelle economie culturali e scientifiche della città e la sua presenza doveva essere riferimento di una politica culturale sia scientifica, sia didattica sia di immagine per una città che paventava una sua inesorabile crisi e un deficit culturale forte, sia occupazionale.

L’Università a Taranto, terzo dato, è stata una delusione: non c’è stata una crescita culturale, non si è data un’immagine diversa alla città, non si sono create le premesse per una Taranto universitaria nel pieno delle sue autonomie, non è cresciuta l’occupazione giovanile proveniente dalle sedi di Taranto. Leggerei tutto come un fallimento politico per uno sviluppo sperato delle economie e risorse di una città.

E allora cosa ne facciamo di questa Università? Sarò impopolare? Ma bisogna andare nel di dentro dei fatti sia politici che economici di questa città.

Una Università senza una strategia di futuro, sui piani di investimento e occupazionali, non la vogliamo. Non è perché io sia contro il levantino modello strategico essendo un assertore di un Mediterraneo aperto e articolato. Ma quale crescita, mi devono spiegare con dati alla mano, ha prodotto l’Università a Taranto? È che i nostri figli non sono diventati emigranti prima della laurea? Chi la gestisce questa Università? La compartecipazione degli Enti locali?

Ora mi lincerete: (immaginiamo un po’) proviamo a chiuderla in cambio di un investimento economico che porti un riscontro tra benefici e costi? Fantasie? Se ci fosse una categoria della politica all’altezza di un progetto lungimirante non sarebbe uno scherzo!

Investire su una Università che non ha e non avrà mai la sua completa autonomia che senso ha?

Avremmo dovuto cambiare squadra, signori miei. Avremmo dovuto fare un patto di ferro con Lecce o altre città interessate. È inutile che si discute della “Regione” Ionica e Salentina quando si continua ad essere cenerentola di Bari. Si continua ad illudere generazioni, ma Taranto avrebbe meritato la sua completa autonomia universitaria. Questo era l’obiettivo che ci eravamo prefissi quando abbiamo dato i natali ad Economia Aziendale e a Giurisprudenza. Si è stati successivamente politicamente deboli nei confronti dell’Università di Bari. Anzi molto accondiscendenti.

Credo che sia giunto il momento di rivedere il quadro della situazione e lo dico sul piano di un rapporto tra politica territoriale e sviluppo culturale anche alla luce dell’inquieto vivere dell’Ilva. Taranto muore giorno dopo giorno e l’Università dei baresi a Taranto, sulla quale si era puntato l’investimento anche sul piano di un riscatto di immagine, non ha un suo ruolo fondamentale, non è riuscita ad essere presente nella città con contributi forti, se non elitari, sia sul piano culturale che di sviluppo.

E allora cosa facciamo? Impopolare questo mio dire? La politica deve riscattarsi e senza perdere più tempo deve ricontestualizzare il ruolo dell’Università ma dovrà essere Taranto a giocare la partita e non accettare che Bari sia al centro delle scelte.

Non possiamo più essere considerati baricentrici.

Ci vuole una scossa politica seria che riveda tutta la questione Università. Io sarò in prima fila per una battaglia coraggiosa, seria sull’Università ma dobbiamo entrare nel cuore del problema, nei dettagli delle questioni, negli intagli dei particolari, nei rapporti tra economia e politica, nelle scelte su una Taranto che abbia coraggio di non essere succube ma in grado di svolgere un ruolo protagonista.

Rivediamo il patto tra Città e Università. Una nuova politica anche da qui può dettare nuovi significati.

*Già Vice Presidente Provincia di Taranto e Assessore all’Università




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Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”

Il fallimento di una speranza

Il caso Università di Taranto

"Averla o non averla non ha più senso"

Pierfranco Bruni, già Vice presidente della Provincia di Taranto e Assessore all’Università,

parla di fallimento del “polo” universitario dei baresi a Taranto

Pierfranco Bruni, già Vice Presidente della Provincia di Taranto e Assessore all’Università, e oggi protagonista della vita culturale nazionale, sferra un duro attacco all’Università di Taranto sostenendo che il ruolo di una Università in una città come Taranto avrebbe dovuto mettere in gioco diverse questioni non solo dal punto di vista scientifico e didattico, ma anche culturale e fare da volano per uno sviluppo ragionato su piani occupazionali ed economici.

Afferma: “Non so se bisogna sempre parlar bene dell’Università degli Studi dei “baresi” a Taranto in termini sia di sviluppo territoriale (che non c’è) sia di presenza culturale (che manca)? Non so se, nel corso di questi anni, sono stati considerati i rapporti costo – beneficio a partire dalla fine degli anni Ottanta sino alla messa in opera della Riforma Gelmini (ma proprio di Riforma Gelmini si tratta?) per un territorio come Taranto?”.

Bruni rincara la dose affermando: “Non si tratta dell’Università di Taranto ma dell’Università di Bari a Taranto: il discorso è sottile e molto complesso. Io che in anni nascenti, o di mezzo, del percorso istituzionale universitario, ho ricoperto la carica di Assessore provinciale all’Università di Taranto oltre a quella di Vicepresidente della Provincia, conosco molto bene come è sorta Economia Aziendale, come è stata fatta nascere dalla Giunta Cantore, come abbiamo sottoscritto il protocollo di intesa per dare vita a Giurisprudenza, come abbiamo dato vita all’allora Diploma universitario in Beni culturali a Martina Franca, poi di colpo smantellato (per quali motivi ancora non giustificati) come abbiamo arricchito la struttura di Scienze Ambientali nelle sue varie sedi”.

Pierfranco Bruni si sofferma anche sulle potenzialità iniziali che l’Università ha messo in campo e disperse nel corso degli anni: “Quando è nata questa Università noi, sia sul piano istituzionale che culturale, abbiamo dato ampia fiducia a Bari. Oggi mi sembra che sia un’illusione. Ecco perché è necessario entrare, come Enti locali, ma anche come dibattito aperto a tutta la città, nei dettagli gestionali ricontestualizzando il caso Università che non ha risolto alcun problema per una città che muore lentamente. L’Università avrebbe dovuto svolgere un ruolo strategico nelle economie culturali e scientifiche della città e la sua presenza doveva essere riferimento di una politica culturale sia scientifica, sia didattica, sia di immagine per una città che paventava una sua inesorabile crisi e un deficit culturale forte, sia occupazionale”.

Toccando gli aspetti politici e propositivi Pierfranco Bruni aggiunge: “Non possiamo più essere considerati baricentrici. Ci vuole una scossa politica seria, e non vane speranze o illusioni, che riveda tutta la questione Università. Io sarò in prima fila per una battaglia coraggiosa, seria sull’Università ma dobbiamo entrare nel cuore del problema, nei dettagli delle questioni, negli intagli dei particolari, nei rapporti tra economia e politica, nelle scelte su una Taranto che abbia coraggio di non essere succube ma in grado di svolgere un ruolo protagonista. Bisogna riconsiderare il patto tra Città e Università senza alcun cedimento altrimenti sarebbe opportuno un dialogo con altre Università e altri poli universitari. In una tale situazione per Taranto, conclude Bruni, avere questa Università non alcun senso”.





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