La
storia ha sempre la sua ragione da rivendicare o le sue ragioni ma davanti alle
"dimissioni" di Benedetto XVI si constata un fatto. Gli eretici fanno
paura. Perchè sono in quella verità che non può vivere il dogma della chiesa
che, sempre più, offre lezioni di ambiguità.
Io
resto in Cristo e sono ai piedi di Cristo ma sono distante dalla chiesa che mi
propone morale, logica, ragione, storia, sepolcri imbiancati. Nel mistero,
attraversando il dubbio, mi trovo a fare i conti con la verità della santità.
Non con la elezione della santità. Ma con quella santità che offre azioni,
esempi, testimonianze.
I
Padri del Deserto sono oltre le teologie. Ci sono formazioni, culture, scuole
di pensiero e c'è l'essere. Ma ognuno di noi vive una propria esperienza dentro
il deserto e dentro le ipocrisie. Io cerco di allontanarmi dalle ipocrisie e
dalle ambiguità. Non sono ipocrita e tanto meno accetto compromessi. La mia
lezione è forte dentro quell'avventura di un povero cristiano raccontata, in
termini letterari, da Ignazio Silone. Ma sono anche nella correttezza del
passaggio esistenziale di un Papini che conserva la sua conversione nel segreto
del mistero e la fa vivere come misericordia e come grazia offrendoci esempi.
Mi
pongo la domanda prezzoliniana del “Dio è un rischio?”. Non si può stare con
Cristo e con questa chiesa. Io non mi considero credente nella chiesa ma in
fede con il Cristo che la chiesa definisce nel suo immaginario ma che non vive
il suo esempio.
Le
retoriche di queste ore restano demagogie. C'è un Papa che ha abbandonato il
trono pietrino. E quella pietra non si è sfaldata. E' lì in attesa di essere
riempita da altri poteri.
Sono
un eretico. Orgoglioso di essere eretico vivendo il mio Cristo e con la
consapevolezza di non accettare le "ambiguità cristiane" ben
raccontatae da Diego Fabbri. Ma ho bisogno di confrontarmi con il tempo che
vivo e con la speranza di un viandante che va oltre il potere.
I
simboli non sono un raccordo tra la ragione e la fede. Non può esserci alcun
dialogo riconciliante tra ragione e fede.
Recitava
Prévert: "Padre nostro che sei nei cieli/Restaci pure/Quanto a noi
resteremo sulla terra...". Provocazione? E' possibile.
La
cultura occidentale si è infiltrata in quella ipocrisia clerico - dandesca che
continua a dominare il nostro mondo. Una cultura delle categorie e delle
classificazioni. Ma quando avremo il coraggio di affermare che le qualificazioni
e le classifiche volute da Dante, in un mondo di ambiguità e reticenze
cattoliche, hanno permesso di creare timore e tremore.
Inferno,
Purgatorio e Paradiso. Che bruttezze sono state create. Ma potremmo andare
avanti. Noi che cerchiamo di vivere la bellezza abbiamo accettato per secoli un
Dante proposto da un cattolicesimo senza scrupoli. I Dossetti i don Milani sono
venuti dopo. Personaggi che non sono nel mio cammino. Io cerco di andare sempre
al di là del bene e del male. E la chiesa che ha dettato l'esilio nella
redenzione dantesca, nonostante Bonifacio VIII, resta in un immaginario in cui
la fede è un simbolo puntato con il dito.
Convertiti
o troverai l'Inferno. E Dante in quale Inferno degli inverni peggiori lo
avremmo dovuto collocare? Credo che con l'esempio di Benedetto XVI si possa
aprire una discussione a tutto tondo sulla chiesa. Io sono il primo a mettere
sotto processo la chiesa romana apostolica e con essa confrontarmi/ci con
Giordano Bruno, Gioachino da Fiore, Giovanna d'Arco, Ernesto Bonaiuti, Natuzza,
Padre Pio.
La
chiesa istituzione non è la chiesa di Cristo. Vorrei che si leggessero, per non
penetrare i sottosuoli delle coscienze della memoria, alcune lettere di Aldo
Moro quando mette sotto accusa le strategie della chiesa sotto il papato di
Paolo VI. Moro condannato a morte per l’indifferenza del mondo cattolico.
La
chiesa non si salva perchè rappresenta Cristo. Questa chiesa non rappresenta
Cristo neppure tra le vie del mistero e della teologia.
Sono
abbastanza eretico? Bruciatemi pure. Tanto molti hanno cercato di farlo ma io
amo i giganti della vera santità e non le tuniche rosse o nere con i mantellini
bianchi e le coppole rosse che aprono le braccia davanti ad una preghiera che,
recitata da questa chiesa, non mi appartiene.
Benedetto
XVI è l'esempio di una cristianità. Chiudendo il suo dramma Ignazio Silone ci
fa vivere questo terribile dialogo. Parla Gioachino (a fra Tommaso).
"Dimmi, che ne faranno? Cosa pensi?". Risponde Fra Tommaso (con voce
lenta e incerta quasi un balbettio per l'intimo sgomento): "E' probabile
che torneranno di nuovo a offrirgli un compromesso. Non c'è dubbio che lui lo
rifiuterà. E allora temo che l'uccideranno... E poi, poi lo faranno santo. Non
cerchiamo di capire. Il destino di certi santi, da vivi, è tra i misteri più
oscuri della Chiesa". Chiudo qui il mio destino da eretico vero, candidato
alle fiamme della chiesa e alle prediche dei sacerdoti candidabili ai gradini
di soglie più avanzate. Eretico nell’onore della mia eresia. Anzi di uomo che
non crede ai compromessi e alle ambiguità nel coraggio di una scelta forte
senza porre due piedi in una sola scarpa.
Dante
sarebbe da cancellare. La chiesa da processare. Cristo da viverlo fino in
fondo. Gli ebrei da raccontare tragicamente insieme agli infoibati e al
genocidio degli Armeni magari dedicando gli stessi spazi senza aprire i portoni
ideologici.
La
storia da riscrivere completamente.
La
ragione è niente davanti alla carità, alla misericordia, a Cristo.
Non
mi appartengono la tolleranza e neppure il porre in modo dialogante fede e
ragione. Io sono nella fede in Cristo. Il resto non mi interessa. Per
formazione, per speranza, per il deserto che vivo accompagnato dal mio Cristo
dentro il mio Cristo e fuori dal pietrismo. Ma con le mie solitudini di
pellegrino nelle fede.