Rocco
Scotellaro a 90 anni dalla nascita e a 60 dalla morte. Un poeta nella magia e
nell’alchimia del Sud contadino con inediti raccolti dal Centro Studi e
Ricerche “Francesco Grisi”
Pierfranco
Bruni
Rocco
Scotellaro nasce a Tricarico, in provincia di Matera, novanta anni fa. Muore a
Portici sessant’anni fa. È necessario ripensare il poeta delle “tomaie” e della
madre che cuciva con la sua “Singer”. È
fatto giorno... Una pioggia a fili e un paese vuoto che cerca a stento di ricordare.
Un paese ormai come tanti di una Basilicata che si raccoglie tra le pietre e le
tondeggianti colline. Gli sguardi dei vecchi hanno onde di nostalgia e sembrano
raccontare fatti di secoli, avvenimenti lontanissimi, giorni in cui
appartengono ad epoche distanti. Eppure sono passati solo pochi decenni.
E qui tra
queste case, tra i vicoli stretti, in un paesaggio di angoli affollati, la
gente lo ricorda, perché è necessario ricordarlo. Una strada dedicata a lui. La
vecchia Via Roma. La casa natale, lungo questa strada, con una lapide. Un’altra
lapide ancora in una piazza dove vi è il monumento dei caduti di tutte le
guerre, una scuola che porta il suo nome. Ma neanche un busto per dire che
questo paese è il paese dove è nato e vissuto, tutto sommato, il poeta.
Un libro dal
titolo “Rocco Scotellaro. Poeta del
Mediterraneo contadino”, curato da Gerardo Picardo,raccoglie testimonianze
importanti e significative (per il Centro Studi e Ricerche "Francesco
Grisi"), oltre che delle pagine inedite dello stesso Scotellaro, della
madre Francesca, di Leonardo Sciascia e di lettere ancora di Scotellaro
indirizzate ai coniugi Leone - Padula. Il tutto si deve a Gerardo Picardo che
ha lavora sugli inediti ed ha dato la possibilità di pubblicare il materiale.
Il poeta dei
“Contadini del Sud”. Il poeta di “È
fatto giorno”. Il poeta di “Margherite e rosolacci”. Il poeta di “L’uva
puttanella”. E sì, voglio ricordare il poeta e non il sindaco. Voglio
ricordare: “Mamma, tu sola sei vera. / E non muori perché sei sicura”.
Rocco
Scotellaro. Amico di Carlo Levi. Il Levi della Lucania dai volti stanchi e dei
paesi abbandonati in una conca di terra. Tricarico. Si trova quasi a metà
strada tra Potenza e Matera. Nel materano. Percorrere la strada che va da
Potenza a Tricarico è un penetrare la campagna fitta, gli alberi che
visualizzano immagini silane con la pioggia lenta e un vento leggero ma
pungente. Aria fresca e ancora volti contadini e contadine nelle terre. E Rocco
Scotellaro è ancora tra questa gente. Ma non lo si riconosce abbastanza. È un
qualcosa che c’è e basta.
Sulla
lapide dove è nato si legge questa scritta: “A Rocco Scotellaro - Sindaco
socialista di Tricarico - Poeta della libertà contadina”. Via Rocco Scotellaro,
numero civico 37. Tricarico. E poi? Era nato il 19 aprile 1923 e morto a
Portici il 15 dicembre 1953.
Sono
stato a Tricarico. Tanta solitudine e i versi di Rocco nel vento e tra le
margherite e i rosolacci e le ginestre avevano la violenza del giallo. Il
giallo da queste parti inonda le campagne. Le viti basse e le terre hanno
colori nell’arcobaleno. E questo paese dove “siamo entrati in gioco anche
noi/ con i panni e le scarpe e le facce che avevamo” si raccoglie nella
storia in questa Basilicata che sembra recintare la favola dei contadini del
Sud. Ma Scotellaro voleva renderla realtà, quella favola: “Noi non ci
bagneremo sulle spiagge/ a mietere andremo noi / e il sole ci cuocerà come la
crosta del pane”. Il fatalismo, il sonno, il sogno, la stanchezza: “Ognuno
ha le ossa torte /non sogna di salire sulle donne / che dormono fresche nelle
vesti corte”. Il racconto di un mondo che recita una preghiera antica è
nell’immagine di un paese che intreccia presente e memoria: “Dormono sulle
aie / attaccati alle cavezze dei muli”. “Si sente l’asina nel
sottoscala, / i suoi brividi, il suo raschiare./ In un altro sottoscala / dorme
mia madre da settant’anni”.
È tutto
passato. Si potrebbe dire: è proprio passato il tempo. Ma resta a filigrana una
pioggia che tocca le pietre della piazza e i vicoli dai quali, come fantasmi,
compaiono gli uomini e vanno oltre. Ci sono ricordi che restano e che si
perdono. Ma ci sono ricordi che sono ancora realtà.
I segni
di quel mondo sono onde vellutate. Ci parlano e le parole sono fiumi di
silenzio che tracciano destini. “Ho capito fin troppo gli anni e i giorni e
le ore / gli intrecci degli uomini, chi ride e chi urla / ... / Sole d’oro,
luna piena, le ore dell’inverno / le mattine degli uccelli a primavera / le
maledizioni e le preghiere”.
È come se
il tempo fosse ieri. Tricarico è immobile. E nelle stagioni ascolta il vento.
Il vento che viene da Portici. Lì, dove Scotellaro è morto, lì dove cercava
qualcosa di diverso dalle sue colline tondeggianti e dal giallo delle ginestre.
Il tempo
che cerchiamo in Scotellaro è il tempo della poesia che vive anche tra le
pagine di saggistica. Ed è quello lo Scotellaro che lascia tracciati, che
continua nella sua storia letteraria, che ci ha spinto sino a Tricarico a
vivere per un pomeriggio il fascino che non c’è mai ma che si ascolta solo nei
suoi versi e nelle sue malinconie.
Ancora
sassi. Anzi più sassi. Un camminare lento.
“... ognuno
canta una storia / e insieme viene l’armonia”. “... il paese continua la
sua storia / sotto il cielo stellato a foglia a foglia / per chi parte se vuol
ritornare”.
Tricarico
deve riscoprire il suo poeta. E forse deve amarlo di più. Si agita nella
memoria, nei ricordi di alcuni o di molti; ma occorre altro. Di più.
Si è fatto
notte. Il giorno lo si è depositato dietro i monti. Entriamo nella città dei
sassi. Il caso o il destino? La prima strada che incocciamo è quella che
porta il nome di Rocco Scotellaro. Strano? È il segnale preciso in questa terra
di contadini antichi e di amori folli. Amori folli.
Questa
Basilicata è anche la terra di Isabella Morra, la poetessa cantata da Benedetto
Croce. Il castello di Valsinni, quelle strade che angustiano. Un altro paese
nella poesia e nei ricordi. Siamo stati anche lì. In un’altra occasione. Il
tempo scorre e traccia colori nella memoria delle parole. Ma questa è un’altra storia
che non so se racconterò.
“È rimasto l’odore / della tua carne nel mio
letto. / È calda così la malva / che ci teniamo ad essiccare / per i colori
dell’inverno”. Era il 1948 quando Scotellaro scriveva questi versi. Il
destino si fa avventura e i ricordi non bastano più se la memoria non li
raccoglie. Forse mi appartengono. Sono parte di una mia storia. Della mia
storia.