Celebrazioni dannunziane
D’Annunzio tra il mondo albanese e il
Mediterraneo
Per celebrare i 150 anni della
nascita
di Pierfranco Bruni
L'Albania in D'Annunzio. Gabriele D’Annunzio, di cui ricorrono i 150 anni
dalla nascita, ha molto amato la cultura albanese. Quella “albanesità” sospesa
tra l’Adriatico e il Mediterraneo. Un richiamo che è evidente nelle
testimonianze e nella scrittura. D’Annunzio aveva studiato e conosceva bene le
imprese del condottiero e del personaggio Skanderbeg. Era nato a Pescara il 12
marzo 1863 e morto a Gardone Riviera il 1º marzo 1938. La presenza di D’Annunzio
nella letteratura albanese è ben specificata, negli studi di Koliqi, attraverso
una visione artistica e culturale che pone al centro una dimensione di cultura
orientale.
“Si trovano palesi testimonianze della simpatia di Gabriele D’Annunzio
verso l’Albania e gli albanesi visitando l’interno del Vittoriale. Nella Stanza
delle Reliquie, proprio sull’altare dei cimeli di guerra e dei simboli
religiosi, si può ammirare un rarissimo esemplare rilegato in pelle dell’opera
su Scanderbeg dell’abate scutarino Barletio, in versione tedesca del 1561. E’ se
la memoria non mi falla, uno dei quattro o cinque libri ammessi dal Poeta in
quella parte mistica della sua dimora”. E’ ciò che scrive Ernesto Koliqi in
Saggi di Letteratura Albanese (Olschki, 1972), nel capitolo dedicato a
“Gabriele D’Annunzio e gli Albanesi”.
Molti scrittori albanesi lo
consideravano un maestro. La poesia albanese risente del battuto lirico
alcionico. Fu il poeta Lazzaro Shantoia a tradurre "La pioggia nel pineto" nel
1942 sul giornale letterario "Tomorri i' vogel (ovvero "Il piccolo Tomorri"). Ma
tutta l'impostazione letteraria di Shantoia è strutturata sulla lezione
dannunziana. Così pure la formazione di un altro scrittore quale fu Bernardino
Palaj (1887 - 1946) o le traduzioni di Masar Sopoti (1916 - 1945), il quale
tradusse D'Annunzio nella pagina letteraria in lingua albanese della "Gazzetta
del Mezzogiorno" di Bari dove Sapoti rivestì il ruolo di redattore.
Ma non è soltanto questo che ci fa stabilire il rapporto tra D'Annunzio e
l'albanesità. D'Annunzio ebbe rapporti anche con il poeta Giorgio Fishta.
Comunque, Ernesto Koliqi, come si è già sottolineato, ha dedicato al rapporto
D'Annunzio e mondo albanese delle pagine singolari che restano nella storia di
questa letteratura. D'Annunzio aveva, in fondo, uno "spirito islamico" forgiato
su una visione quasi bizantina di un modello storico e culturale che aveva
caratterizzato molti suoi scritti.
C'è proprio una testimonianza del Koliqi nella quale si sottolinea:
"Partendo dall'insegnamento dannunziano, alcuni fra i più dotati giovani
scrittori intorno al 1930 aumentarono le possibilità espressive della maschia
lingua schipetara e, senza lederne il sano midollo eroico - patriarcale, che ne
testimonia l'antica nobiltà, la piegarono a esprimere con più sottile perizia i
moti interiori e a descrivere con più lucida precisione vicende e ambienti
moderni fino allora sconosciuti alla vita e alle lettere albanesi, a evocare con
toni sfumati epoche e momenti suggestivi del passato, a soffondere di vaporosità
sognanti il bisogno d'evasione della vita quotidiana".
Da Bala in poi questa letteratura è stata attraversata da un mosaico sul
quale i tasselli di una eredità favolistica hanno avuto un valore metafisico. Si
pensi sia a Girolamo De Rada e a Giuseppe Schirò. A volte ci si trova di fronte
ad una letteratura che sembra priva di una preoccupazione
storica.
Sostiene sempre Koliqi: “Il D’Annunzio come spirito eclettico e per la
particolare paganeggiante concezione di vita poteva considerarsi il più vicino
alla mentalità e al gusto albanesi”. D’altronde la cultura orientale ha sempre
affascinato il Vate. Ancora Koliqi: “Quella parte, oggi considerata la più
caduca della produzione letteraria dannunziana, in cui si raffigurano personaggi
violenti e nel contempo raffinati, in cui si descrivono ambienti circonfusi di
fasto orientale, rispondeva al gusto bizantino infuso profondamente negli
Albanesi, specie delle città, da secoli di attiva
appartenenza prima all’Impero di Bisanzio e poi a quello ottomano il quale
conservò, permeandoli di spirito islamico, le fogge e le usanze della civiltà
bizantina”.
Su questo argomentare ho avuto la possibilità di soffermarmi in molti
saggi. Per l’occasione dei 150 anni della nascita di D’Annunzio è in
preparazione un lavoro sul tragico e sui modelli estetici dannunziani e il suo
rapporto con l’Oriente e la cultura albanese è parte
integrante di un legame che comprende la visione letteraria e antropologica del
Novecento tra le sponde mediterranee e balcaniche.
Giovanni Papini ebbe a dire, a tal proposito, che in D’Annunzio si
intreccia “un misto di grecità decadente e d’orientalismo: Alessandria o
Bisanzio”. Un mondo in cui l’atto poetico è un tracciato il cui senso del
sublime resta letterariamente (sul piano estetico) emblematico. Una
testimonianza che propone ancora Koliqi ha una grande portata esistenziale e
culturale “… ciò che meraviglia e appassiona nel Vittoriale il visitatore
albanese è di vedere proprio sul tavolo di lavoro del Poeta, nello studio detto
Officina, nel quale carte e documenti e libri rimangono com’egli li
lasciò, un dizionario albanese – italiano, e precisamente quello della Società
Bashkimi, edito a Scutari nel 1908. (…) L’opera… la inviò Hasan Pristina
in dono al Comandante, non so se su richiesta o di spontanea iniziativa.
D’Annunzio l’ebbe a portata di mano, fra gli ultimi libri di cui si circondò
prima di morire”.
Pierfranco
Bruni