Nello areopago dove aveva
predicato San Paolo si incontrano, per volere degli Dei o dello sciamano Anima
in Volo, Plutarco e Leopardi.
Si osservano e dialogano.
Si scontrano e si incontrano.
Leopardi resta appoggiato su una
mezza colonna. Si allontana e poi con una mano resta fermo sulla mezza
colonna.
Da lì ascolta e dialoga.
Plutarco con la testa alta sembra
guardare, sempre fisso, un punto oltre l’infinito. Non si ferma un solo
istante. Camminante tra gli spazi dell’areopago.
Si parla di morte, di vita, di
oblio e di bellezza…
Plutarco fu un grande viaggiatore.
Dalla Grecia all’Asia, dall’Egitto a Roma. Visse tra il 46 dopo Cristo e il
120 dopo Cristo.
Leopardi visse tra il 1798 e il
1837. Da Recanati a Napoli, da Roma a Firenze.
Il tempo non ha orologio.
Il tempo metafisico è in un
cerchio.
Non si racconta la storia con la
cronaca e la realtà è solo una finzione.
Plutarco… Leopardi… è come se si
sfidassero lacerando gli orizzonti di tempo…
Chi ha vissuto solo nella cronaca
non resta e chi abita il viaggio dell’eterno è un intreccio di infinito
nell’ascolto…
Il vento agita le pagine dei
ricordi.
Il dialogare così ha
inizio…
E c’è un debole vento che
attraversa il teatro della vita…
Plutarco: "Non si muore soltanto perché siamo arrivati
al punto in cui il tempo, il nostro tempo, è scaduto. Si muore per una
tempesta d’anima. Si può morire per una anima che vive la tempesta e si
trasforma in naufragio".
Leopardi: "Già, la Tempesta… il Naufragio. Io per
non restare nella siepe sono andato oltre. Si può morire anche di noia. Ma tra
il tempo e la noia c'è sempre un cammino parallelo".
Plutarco: "Vivi come se il silenzio non fosse soltanto
l'ascolto perché nella mia Grecia la Parola è un tocco di campana e poi il
resto è un corteo di ombre. Tu, oltre il tuo rimembrare e i tuoi sabati nelle
melanconie hai conosciuto le ombre? Anzi il corteo delle ombre o ti se
rifugiato nell’oblio…".
Leopardi: "Perché usi queste parole? Io porto le
ferite nell’anima e la mia solitudine ha pieghe di infinito. Non ho più troppe
virtù. La virtù appartiene a chi non conosce la bellezza del vizio. Io ormai
vivo solo il vizio perché mi allontana dal suono della campana".
Plutarco: “Un tempo ho amato la tua poesia. Ti dirò
che mi specchiavo in alcuni tuoi versi e il tuo venditore di almanacchi mi
sembrava un mercante tra gli spazi dell’agorà. Poi ho capito che la poesia è
un gioco per tentare di placare ciò che non si vede. La poesia come tutta la
letteratura è una finzione. Anzi è la maschera che non riesce però a
mascherare tutto il viso e dal viso si legge l’anima, si leggono le passioni,
si leggono le bruttezze, si rigano le bellezze e tu sei stato un grande
incannatore di malinconie perché nel tuo infinito si vive il
finito…”.
Leopardi, molto sorpreso,
interrompe Plutarco e con uno sguardo incavato risponde gesticolando con la
mano destra.
Leopardi: “Io non ho maschere perché ogni mia parola,
ogni mio verso, ogni mio inciso è sangue e il mio essere inquieto non è mai
stato un giocare con lo specchio e neppure un duellare cercando vite
parallele. Io ho vissuto con il dolore nel cuore…”.
Plutarco, ferma alzando le braccia, il discorrere di
Leopardi e dice: “Silvia… Nerina… Ranieri… Conte Monaldo… La vita è sempre un
discorrere tra una pagina bianca e una giornata perduta cercando di capire ciò
che l’altro non ha cercato di dirti e tu ancora sfogli il cielo con i colori
del luogo natìo.. Non esiste la nostalgia del luogo natìo… Noi restiamo in
ascolto soltanto della morte che non consola e non libera ma è l’unica forma
d’arte che non ha eguali e neppure il tempo può misurarsi con la morte ma tu
hai sfiorato con le parole la morte ma non hai ascoltato la
morte…”.
Leopardi: “Ti sento irrequieto. Lo sei, ma è come se
tante vite ti abbiano attraversato ed ora che sei giunto ad un’età in cui gli
anni non dovrebbero più raccogliersi nel giro delle lancette diventi
impaziente…”.
Plutarco: “Ti sbagli, mio caro. Puoi dire che non
credo più al giochetto della pazienza o delle impazienze, delle tolleranze o
della ragione. Tu cosa sei? La maschera della Ragione o la Ragione che
intreccia l’anima alle cose? Sai qual è la differenza tra noi
due?”.
Leopardi: “Non credo che ci siamo molte diversità…
Siamo entrambi alla ricerca della bellezza…”.
Plutarco: “Tu vivi ponendoti troppe domande…mentre la
malinconia ti attraversa. Io vivo troppo in ascolto tanto che anche il
silenzio è un ascolto metafisico oltre la storia e oltre la nostalgia della
fine…”.
Leopardi: “Mi pongo domande sula bellezza? Bene. Ed è
proprio questo che ci accomuna. Oltre a tutto il resto. Io mi pongo domande.
Tu resti in ascolto. La bellezza ci lega. La ricerca della bellezza o la
bellezza…”.
Plutarco: “Non sei tu che scrivi: ‘Cara bellezza… fai
sobbalzare il mio cuore…tu che forse hai reso felice l’età dell’oro…’, ed è
una dichiarazione della necessità della bellezza…”.
Leopardi: “Certo. Ma non sei tu che scrivi: ‘Come in
un’opera d’arte la bellezza è il risultato di vari fattori…’ e vivi ascoltando
la bellezza. La bellezza come necessità…”.
Poi Plutarco e Leopardi smettono
le parole perché le parole, sono entrambi convinti di ciò,
sono maschere di vetro.
Mentre seduti al centro del teatro
della vita San Paolo, Anima in Volo e gli Dei… abitano il silenzio.
Giocano a carte scoperte intorno
al duettare di Plutarco e di Leopardi.
San Paolo: “La Bellezza? Ci condurrà alla
salvezza…”.
Anima in Volo: “La Bellezza è uno scavo nella
Pazienza… e la storia è un precipitato nel Tempo”.
Gli Dei hanno una voce sottile.
Osservano il fuggire del vento.
Sono in coro e sono un coro.
Recitano: “Bellezza, Salvezza, Pazienza… La morte ha
una vita lunga e noi restiamo in ascolto… L’ascolto ha la pazienza del
silenzio…”.