Siviglia vale una notte nella letteratura che si
frammenta nella vita
mentre gli uomini si perdono nei ricordi
di Pierfranco Bruni
Sono
stato a Siviglia. Le strade hanno spazi ancorate alle acque. Si vive il tempo
tra i versi di Becquer, di Vincente Alexandre, di Antonio e Manuel Machado, di
Cernuda e i colori di Velàzquez e di Alejio Fernàndez. Ma le voci e gli scenari
hanno un Rinascimento e un Secolo d’Oro che raccontano il mistero e la storia.
Tra
questi labirinti ci sono tracce del mio poeta Abshu che ha tanto amato Becquer
e poi di Pedra Francisca de La Valle , la quale pare che sia nata proprio a
Siviglia nel 1555 o 1556 e sulla quale ho scritto pagine di pensieri intorno
alle sue “poesie ritrovate”. Di queste poesie ho già pubblicato alcuni
frammenti.
Ma
perché a Siviglia? Sono stato a Siviglia per raccontare dei miei percorsi
letterari e del mio viaggio tra le parole della poesia. Il mio vagabondare mi
lancia sfide. Ci sono sfide nella vita che si intrecciano ai luoghi e Siviglia è
un luogo magico dove ho incontrato l’Andalusia degli amori perduti.
Conosco
la Spagna tra gli intagli di altre geografie, ma qui l’Oriente è un Occidente,
come dico spesso, che conosce bene cosa è stato il Mediterraneo e le donne
hanno il fascino delle danzatrici di veli, ma anche di ballate che hanno il
ritmo del tango. Tango per una sera di marzo. Danzatrici d’Oriente sulle sponde
del Marocco.
A
Siviglia per raccontare i linguaggi che intreccio nei miei libri e nei miei
studi. Non c’è città più Mediterranea della Spagna. Siviglia. I colori sono
Oriente e le parlate hanno un accento che scava tra le onde del Guadalquivir.
Qui
ho rivisto Sara. Ci siamo dati appuntamento sulla porta centrale della Torre
dell’Oro. Ha attraversato con me storie di città in anni passati ed ha recitato
tutto ciò che io non ho detto nelle mie conferenze. Un patto per raccogliere
rischi ed emozioni. Lei è stata la mia traduttrice nei Paesi di lingua
spagnola.
Con
me a Cuba.
Con
me la prima volta a Santo Domingo.
Con
me a Madrid. E a Siviglia abbiamo afferrato il gioco delle parole come se
fossero ali nel vento. Pezzi di letteratura per raccogliere esistenze.
Ho
raccontato la vita attraversando la letteratura ed ho attraversato la
letteratura penetrando le vie. Sono stato sempre convinto che non si può
separare la vita dalla scrittura. Per uno scrittore la parola è la vita e la
vita diventa il suo linguaggio. Nel momento in cui la scrittura si sfilaccia si
comincia a sgretolare anche il doloroso mosaico della vita.
Di
questo ho parlato a Siviglia. Forse non ho fatto altro che raccogliere le mie
emozione e trasferirle a chi cercava di capire il senso del mio sguardo. Ho
sempre detto che tutto ha un senso. Forse è vero. Si arriva al punto in cui uno
scrittore non ha più nulla da dire e neppure riesce a ripetere ciò che ha già
detto. Porto, in fondo, la mia esperienza.
Ho
scritto tanto e tutto ciò che resta ha la ricchezza dell’incompiuto. Alla fine,
questo è il vizio, forse, come dice Pavese, “assurdo”, mentre cerchi di tracciare
i destini di un viaggio letterario, tra le pareti della storia letteraria, non
fai altro che raccontarti. Ecco perché continuo ad avere bisogno di Sara. Sara
traduce quello che io non dico e lo fa per dare un senso altro all’articolato
mio linguaggio tra la letteratura e la vita.
Mi
conosce così bene che potrebbe raccontare l’amore di Asmà e Shadi o disegnare
con frasi catturate il disegno onirico del dio che cerca il Sole.
Sono
stato a Siviglia. Lì dove il Mediterraneo è Andalusia e Africa. Ho passeggiato
tra gli intagli delle strade. Nella piazza della Casa di Pilatos ho osservato
ed ho ascoltato lo scorrere dell’acqua tra le mani di Pilato. Ho ascoltato le
voci giungere dal Teatro di Lope de Vega. Ma Sara mi ha recitato i versi di
“Soledades” di Antonio Machado ed io ho raccolto la sua affascinante voce:
“Cantaban
los niños/canciones ingenuas,/de un algo que pasa/y que nunca llega;/la
historia confusa/y clara la pena”.
Già,
c’è sempre qualcosa che passa. Qualcosa che non arriva mentre le storie si sbiadiscono.
E
poi guardandomi negli occhi, bloccando il suo sguardo nel mio, la sua voce mi
ha riportato a Gustavo Adolfo Becquer:
“La
noche se entraba,/reinaba el silencio;/perdido en las sombras/medité un
momento:/Dios mio, qué solos/se quedan los muertos!”.
Poeta
letto nei giorni del mio inquieto Liceo. Poeta amato tra l’Andalusia che ha i
balli della sera e vive i tramonti nell’alba.
Siviglia
non mi lascia ricordi.
Mi
raggiungono tre versi di Pedra Francisca de La Valle :
“A
ricordar non è possibile/A memoria de li venti/Il mio sguardo a consegnar ne lo
silenzio io vivo”.
Qui
ora mi distanzio da ogni pensiero e mi consegno ad un volo di gabbiani lungo la
Plaza de la Encarnaciòn. La vita è una letteratura frammentata. Ma è già notte.
Gli uomini si perdono nei ricordi, ma i ricordi sono macerie di palazzi.