Si presenta giovedì 23 gennaio a
Grottaglie (Ta), Convento dei Paolotti, ore 19.00, il saggio a più voci: “Il
Principe. Il Machiavelli di un secolo di mezzo” (Pellegrini editore) a cura di
Micol Bruni, con Introduzione, nel testo, del Rettore dell’Università degli
Studi di Bari Antonio Felice Auricchio e Conclusione del politologo Alessandro
Campi dell’Università degli Studi di Perugia.
Il saggio verrà presentato dal
Presidente del Tribunale di Taranto Antonio Morelli con i saluti di padre
Salvatore Palmino, del Dirigente scolastico del Liceo Moscati Anna Sturino,
coautrice con un capitolo su Hobbes, Maria Pia Ettorre, Assessore alla Cultura
del Comune di Grottaglie. Concluderà la curatrice del saggio Micol Bruni.
Coordinerà i lavori la saggista e docente oltre ad essere coautrice con un
capitolo sugli aspetti linguistici e antropologici.
Segue un breve saggio, inedito,
di Micol Bruni sul rapporto tra Machiavelli e Moro che rientrerà nella nuova
edizione del libro che sarà arricchita di ulteriori capitoli.
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Aldo
Moro e la lezione di Machiavelli:
la necessità
e il bisogno nella Ragione della politica
di Micol Bruni
Tra
il realismo politico (e la ragione della politica) di Machiavelli e l’utopia
(ovvero la conservazione di uno stato morale della ragione) di Tommaso Moro c’è
la sintesi più estrema e più definita, (e direi avvincente che riguarda la
modernità), nel dare alla politica una ragione nella realtà e nell’essere
testimoniata da Aldo Moro.
Aldo
Moro, che porta nella sua visione critica alla politica la formazione di
Tommaso Moro, non fa mai venir meno alla concezione dell’utopia il senso della
“ragione politica”. Si può governare (governare senza sottolineare la necessità
e il bisogno di gestire il potere) con la consapevolezza dell’incontro tra la
necessità della ragione e il bisogno di non perdere l’orizzonte della morale.
Aldo
Moro è come se dicesse che si ha bisogno della concretezza della ragione di
Machiavelli, ma non si può prescindere dal tessuto morale al quale ci ha
avviato Tommaso Moro. Il concetto di “prassi” non ha mai il sopravvento nella
ragione politica di Aldo Moro perché c’è sempre, oltre la Ragione di Stato, una
ragione dell’essere.
Ciò
lo ha evidenziato nei suoi Discorsi e lo ha fortificato nelle Lettere dei
cinquantacinque giorni del suo rapimento chiuso con la morte (1978).
Aldo
Moro non può prescindere dal mezzo o dallo strumento che la ragione può
applicare nello Stato. Recuperando Machiavelli recupera un pensiero filosofico
che trova in Kant un intreccio nevralgico, il quale diventa precursore di uno
Stato di diritto che, comunque, supera, per il senso dell’umanità dello Stato
stesso, qualsiasi ragion di Stato o diritto di ragione di Stato.
Il
punto centrale è che Aldo Moro non ha mai accantonato la visione di
Machiavelli. Pur consapevole, da cattolico, che non si governa con il “padre
nostro” (affermazione laicamente machiavelliana) è, comunque, consapevole che
occorrono sempre dei criteri morali per governare attraverso la politica
(chiave di lettura nella visione di Tommaso Moro).
Il
concetto di ragione politica diventa, in Aldo Moro, fondamentale. Nel suo
Discorso alla Camera dei Deputati dell’11 marzo del 1977 Aldo Moro sottolinea,
più volte, la necessità della ragione legandola, comunque, al bisogno della
coscienza.
Nel
Discorso citato, che riguardava lo scandalo Lockheed, ebbe a dire: “Di
coscienza, dico, e non già di utilità, che anzi forse la ragione politica
potrebbe suggerirci un atteggiamento dilatorio, anche se sappiamo che
l'ulteriore momento processuale, unico e definitivo, potrebbe riservare, per il
modo come esso è strutturato, incomprensioni ed impuntature non minori di
quelle (tutte politiche) di fronte alle quali sinora ci siamo trovati”.
Il
concetto di ragione è un perno centrale in Aldo Moro. Addirittura parla anche
di “ragione di disciplina”, di “ragione logica”, di “ragione di intrinseca
contraddizione”, di “eccezionale ragione politica”, di “illuminazione della
ragione”, di “una ragione di opposizione”.
Per
Aldo Moro i tempi della politica devono sempre confrontarsi con la “misura” e
con la “ragione” compenetrando il tutto in una “esigenza politica del
momento”.
Conclude
il suo Discorso sfrecciando su Tommaso Moro, ma riesce ad intrecciare la
lezione di Machiavelli con la “cognizione” dell’essere attraverso un tessuto
filosofico: “…noi non possiamo giungere per una ragione di coscienza. Di
coscienza, dico, e non già di utilità”.
Si
ritorna, dunque, all’intreccio tra la necessità e il bisogno al quale
Machiavelli, se pur non direttamente, fa spesso riferimento. Aldo Moro era
consapevole, per formazione, di praticare una politica basata sull’ideale e
sulla morale (e Tommaso Moro ci sta tutto), ma sapeva anche che la politica si
governa con la ragione del realismo.
Machiavelli,
pertanto, diventa interprete delle necessità e dei bisogni nel processi
politici studiati da Aldo Moro, il quale ha sempre, in modo parallelo, posto
delle direttrici, avendo conoscenza, a volte, delle incomunicabilità, tra
l’utopia necessaria e la ragione che muove i bisogni della realtà.
Fare
della necessità un bisogno e del bisogno una necessità. Una lezione sulla
ragione e sull’etica dell’essere: da Machiavelli ad Aldo Moro.
Un
machiavelliano che ha tentato di far incontrare “Il Principe” con l’Utopia di
Tommaso Moro. Ciò resta uno dei nodi (o un snodare l’idea e la forma)
prioritari che hanno guidato Aldo Moro nella comprensione di Machiavelli. E
diventa un capitolo aperto, o da aggiungere, al nostro “Il Principe. Il
Machiavelli di un secolo di mezzo”.